
Tra le tante indicazioni che ci lascia in eredità un 2025 ormai agli sgoccioli svetta sovrano l’ulteriore calo registrato dal mercato fisico. Negli ultimi 12 mesi, oltre l’80% dei videogiochi acquistati in Europa è stato acquistato in forma digitale, lasciando al settore retail un margine di rilevanza pressoché residuale. In termini strettamente economici, quest’ultimo ha infatti accumulato “solo” 8.5 miliardi di dollari, i quali rappresentano meno di un decimo del fatturato annuale della sfera software globale. Si tratta di cifre che parlano da sole e descrivono gli ultimi spasmi di un’Era giunta ai titoli di coda. Come preannunciato dalle proiezioni statistiche più accreditate, nel 2026 il trend dovrebbe segnare, per l’appunto, un’ulteriore ampliamento della forbice che separa gli acquisti virtuali da quelli in negozio, tanto trascinare questi ultimi a un passo dalla soglia critica del 10%. Tradotto dall’aritmetica detta proiezione certificherebbe che, nell’arco del prossimo triennio, quella confezione fisica che è stata per decenni il sacro ponte d’accesso all’universo videoludico diverrà un artefatto raro nella stragrande maggioranza del continente… Con qualche eccezione legata alla fascia mediterranea e, nel dettaglio, all’Italia.
In piena linearità con l’atavico ritardo che il nostro Paese ha accumulato nei confronti del resto del mondo videoludico, i prodotti da banco continuano in effetti a godere di buona salute in penisola. Fonti attendibili riportano che oltre il 40% dei titoli acquistati nel corso degli ultimi 12 mesi vantasse ancora forma fisica: una percentuale che anglosassoni, teutonici e scandinavi avevano abbattuto già alla fine degli anni ‘10. Piuttosto che attribuirci una seducente aria da ultimi romantici, questo dato dipingerebbe piuttosto il ritratto di un acquirente arenatosi su una concezione superata della fruizione del mezzo. Viste le controversie legate al concetto di proprietà abbinato all’acquisizione di software digitale, si sarebbe tentati di attribuire al trend toni quasi eroici e inquadrare il consumatore italiano come ultimo baluardo di integrità nei confronti di un sistema che ci chiede di investire a ritmo sostenuto, senza però assicurarci la certezza di possedere alcunché. A ben vedere, questa forma di resistenza non rappresenterebbe però altro che la conseguenza di una pregiudiziale molto meno ideologica, ovverosia la diffidenza che l’italiano medio continua a nutrire nei confronti dell’acquisto liquido. In base a questa chiave di lettura, il tutto si riduce così ad una mera questione di fiducia, figlia a sua volta del timore che diffondere via rete dati sensibili come quelli di una carta di credito costituisca un rischio inaccettabile. Tra gli altri elementi che sembrino dirottare la scelta degli acquirenti verso i videogame da scaffale, subentrerebbe poi una concezione conservatrice della compravendita rea di spingere molti di noi a effettuare una transazione solo in cambio di un bene tangibile e accumulabile. Di certo, in quel 40% e passa di individui che prediligono il retail vi saranno poi anche tante persone convinte che quest’approccio possa escludere la possibilità che, un dì più o meno lontano, un dato videogame venga rimosso da cataloghi online e reso quindi inutilizzabile. Peccato che, già allo stato attuale, il fatto di possedere un prodotto in forma solida non escluda affatto la possibilità di perdere il controllo sulla sua fruizione.
A prescindere da ogni chiave di lettura, questa ritrosia nei rispetti del digitale dovrebbe comunque avere i mesi contati anche entro i nostri confini. Curva di investimenti alla mano è infatti evidente che, pur con numeri e tempistiche differenti, il fatturato del fisico sia in costante calo da ben sei anni di fila. Magari ci impiegheremo qualche annetto in più degli altri, ma la transizione definitiva ai contenuti liquidi non è pertanto in discussione.
Ciò significa che, entro un quinquennio, il retail videoludico verrà dichiarato estinto? No di certo. Come rilevato in altre sfere dell’home entertainment in cui il processo di digitalizzazione può dirsi sostanzialmente compiuto, esso perderà il proprio ruolo nel commercio di massa, per ricollocarsi in una ristretta nicchia di mercato. In questo senso, il vero cambiamento interesserà i prezzi al dettaglio che, molto probabilmente, registreranno un’impennata equiparabile, in rapporto, a quella che ha portato il costo di un LP in vinile dai 15 euro dell’anno 2000 agli attuali 60. Confinata entro le mura di un club d’elite, la compravendita del fisico dovrebbe a quel punto risolversi tra pochi intenditori col portafogli gonfio, i quali saranno ben disposti a pagare anche 500 Euro per una Deluxe Edtion da sfoggiare in salotto proprio come fosse un pièce di Lego Architecture a tiratura limitata.
Con ogni probabilità, un giorno si dirà che in virtù di questa metamorfosi il titolo da scaffale si liberò una volta per tutte la sua identità commerciale per elevarsi a celebrativo cimelio della cultura del videogame e tanti fra noi finiranno per crederci davvero… Nel frattempo, a costo di doversi turare il naso, toccherà abbracciare il cambiamento e pure in fretta, perché il mercato non aspetta nessuno e l’Italia ha già troppa strada da recuperare.









