Poco più di un anno fa, abbiamo accolto caldamente l’arrivo di Man of Medan, il primo capitolo dell’antologia horror di Supermassive Games. Oggi invece è il turno di The Dark Pictures Anthology: Little Hope.
Come da copione, i due titoli non sono affatto l’uno il seguito dell’altro, ma due racconti distinti all’interno di un unico grande progetto di interactive drama horror che non sappiamo ancora quanti capitoli conterà alla fine. Ma visto quanto ci siamo divertiti, sia oggi che un anno fa, speriamo duri ancora a lungo.
In Man of Medan seguivamo la disavventura di cinque giovani ragazzi nei mari del Pacifico Meridionale, prima attaccati dai pirati e poi finiti su una vecchia nave da guerra che nascondeva più segreti del dovuto. In Little Hope non cambia il numero dei protagonisti, sempre cinque, ma la storia alza il tiro, toccando tematiche più importanti e intrecciando tra loro più linee temporali.
Non vogliamo svelarvi davvero niente però, e quindi vi lasceremo scoprire da soli come e quanto si leghino i tre periodi che vedremo durante l’avventura. Non vi diremo quello che succederà in una casa degli anni ’70, dove una famiglia apparentemente tranquilla sta vivendo un momento di difficoltà, sia dal punto di vista economico che da quello dell’unione familiare.
Non vi diremo neanche quello che accadrà nel presente a una classe di teenager (più il professore e una studentessa molto più attempata) dopo un incidente d’autobus che cita apertamente l’incipit del primo Silent Hill; o agli accusati di alcuni dei processi per stregoneria che hanno macchiato la fine del 1600.
E ancora meno vi diremo sul perché i protagonisti di tutti questi avvenimenti si somiglino così tanto, e perché tutto avvenga nel solito posto: Little Hope.
A parte la misteriosa figura del Curatore, narratore onnisciente della Dark Pictures Anthology, i punti in comune tra Man of Medan e Little Hope sono quindi davvero pochi, a meno che non parliamo ovviamente del gameplay.
Entrambi i titoli sono infatti basati sulle scelte del giocatore per quanto riguarda i dialoghi o le azioni, e queste andranno a impattare più o meno significativamente sulle relazioni tra i personaggi e su alcune situazioni di gioco. Raccogliere un’arma potrebbe fare tutta la differenza del mondo in un combattimento, ma non è detto che complessivamente si riveli una buona scelta. Di certo però, come direbbe il Curatore tra una citazione di un grande scrittore e l’altra, avrà delle ripercussioni. Perché ci sono sempre ripercussioni.
Il canovaccio principale della storia rimane chiaramente sempre lo stesso, così come i momenti chiave, ma la sorte dei cinque personaggi giocabili (proprio come in Man of Medan) sarà solo nelle nostre mani. La morte di uno o più personaggi non interrompe il gioco, ma semplicemente si prosegue senza di loro, con tutte le conseguenze del caso.
Rispetto ai precedenti lavori di Supermassive (Until Dawn, Hidden Agenda, Man of Junior), cambia lo sceneggiatore principale. La coppia Fessenden-Reznick lascia spazio a un nuovo autore, e questo si ripercuote chiaramente sulla trama, molto meno parodistica e più ambiziosa e matura. Almeno nelle intenzioni.
Il risultato finale ci è piaciuto, al netto di qualche ingenuità e di una certa incoerenza di fondo che, a seconda delle scelte fatte, potrebbe palesarsi nella fase conclusiva. Sappiamo di essere un po’ vaghi, ma ci è davvero impossibile entrare nel dettaglio per esporre le nostre perplessità, dato che significherebbe fare degli spoiler brutali.
Da segnalare anche una durata della campagna maggiore rispetto al precedente Man of Medan (per la prima run abbiamo impiegato circa quattro ore).
The Dark Pictures Anthology: Little Hope, è sostanzialmente diviso tra fasi di indagine, dove potremo raccogliere indizi fondamentali per saperne di più sugli avvenimenti della città; e fasi più action, dove la corretta pressione dei tasti a schermo (QTE) potrebbe fare la differenza tra la salvezza e una fine orribile. Tornano anche quei collezionabili che ci daranno presagi di eventuali sventure: a noi l’onere di interpretarli per evitare che accadano.
Durante le fasi esplorative, anche grazie a spazi più aperti rispetto all’angusta nave di Man of Medan, la telecamera è stata molto migliorata, e spesso è possibile anche ruotarla completamente intorno al personaggio. Le aree più grandi regalano una moderata libertà, sempre se avremo il coraggio di esplorarle nonostante quegli strani rumori e quella sensazione di disagio che corre lungo la schiena. I jump scare infatti sono dietro l’angolo, e non tutti così prevedibili.
Per quanto riguarda le fasi QTE si segnala una maggiore permissività. I tempi di reazione sono mediamente più lunghi che in passato, e prima del tasto da premere appare anche un simbolo che ci preannuncia il tipo di evento da affrontare. A questo vanno aggiunte le opzioni di accessibilità per chiunque abbia qualche difficoltà visiva o motoria.
Tecnicamente parlando, The Dark Pictures Anthology: Little Hope si difende discretamente bene. Durante la nostra prova abbiamo avuto qualche crash abbastanza tipico dei prodotti pre-day1, ma siamo certi che verranno risolti per il lancio. Il codice in generale sembra essere più pulito rispetto a Man of Medan, che ogni tanto faceva qualche bizza con modelli e illuminazione (curiosamente, più in tempi recenti che all’uscita).
Le animazioni, specialmente quelle facciali, risultano anch’esse mediamente più convincenti rispetto al predecessore, che alternava ottimi momenti ad altri abbastanza “robotici” e poco credibili (la cosiddetta uncanny valley). Non siamo ancora ai livelli dei top del settore (Death Stranding o i lavori di Naughty Dog), ma è più che normale, viste le differenze di budget. Little Hope, dopotutto, è un prodotto venduto a prezzo ridotto.
Le interpretazioni degli attori, che vedono come star principale Will Poulter (Midsommar, Detroit, Black Mirror) non fanno gridare al miracolo, ma risultano comunque più apprezzabili del doppiaggio italiano, fosse anche solo per il modo in cui si riesce a creare lo stacco tra presente e 1600 grazie all’inglese antico.
Solo belle parole invece per quanto riguarda la realizzazione degli ambienti e l’uso dell’illuminazione. In Supermassive ci sanno davvero fare sotto questo punto di vista, e le location risultano molto varie, dettagliate e di grande atmosfera.
Come nel caso di Man of Medan, anche in Little Hope è la cooperativa a farla da padrone.
Oltre alla storia in singolo è possibile infatti giocare nella modalità Serata al Cinema, dove si può scegliere quali personaggi interpretare e passarsi di volta in volta il pad dividendo lo stesso divano. Ma il vero punto forte è la coop online con un amico. In questa modalità si giocano spesso scene diverse in contemporanea, e le azioni di un giocatore possono influire su quelle dell’altro, interrompendone magari l’esplorazione anzitempo.
Durante le fasi action ci si può aiutare, rimediando a eventuali errori del compagno, o condannandolo definitivamente. In questa modalità si possono vedere anche più scene e situazioni di quanto sia possibile fare giocando da soli, approfondendo maggiormente le relazioni tra i protagonisti (scene che comunque possono essere recuperate anche in singolo con la Curator’s Cut, sbloccabile una volta finito il gioco se si è effettuato il preordine. Per tutti gli altri, sarà disponibile successivamente).
Purtroppo il tipo di storia raccontata impedisce quelle straordinarie situazioni di incertezza che caratterizzavano Man of Medan, e che rappresentavano il punto più alto e fresco della produzione. Non essere mai certi che quello che stavamo vedendo fosse la stessa cosa che vedeva anche il compagno, col rischio concreto di ammazzarsi a vicenda, era davvero eccezionale.
In The Dark Pictures Anthology: Little Hope la coop è molto più “ordinaria”, ma rimane comunque il modo migliore per fruire del gioco, senza alcun dubbio. Purtroppo il fatto è talmente evidente che lo si nota anche giocando singolarmente: in alcune scene la camera indugia molto sul volto dei protagonisti, lì dove in coop ci sarebbe stata un scelta da parte del compagno, e questo ha conseguenze abbastanza deleterie sui tempi della regia.
Tirando le somme, The Dark Pictures Anthology: Little Hope è un prodotto migliore del suo predecessore come ambizioni narrative e come realizzazione generale, ma perde il confronto in quanto a freschezza e novità, specie per quanto riguarda la cooperativa.
Qualche ingenuità e incoerenza nella trama, oltre a qualche sbavatura registica, gli impediscono inoltre di raggiungere il livello di Until Dawn, che rimane a oggi il lavoro migliore di Supermassive Games. Ciò non toglie che il titolo sia caldamente consigliato a tutti gli amanti degli interactive drama, specialmente se giocato in compagnia.
Il divertimento e qualche bel salto dalla sedia sono garantiti, la storia è misteriosa e interessante, e la voglia di giocarlo più e più volte per vedere altri snodi narrativi praticamente certa. Visto anche il prezzo budget a cui è venduto, non dovreste lasciarvelo scappare.