Resident Evil Village – Recensione (PS5): Il RE è tornato!

Resident Evil Village non è un vero Resident Evil. Sembra già di sentirle le vibranti proteste di una bella fetta d’utenza, rimasta ancora attaccata a dei canoni che non lo sono più da quasi due decenni.

Perché cos’è il vero Resident Evil? Quali sono le caratteristiche che lo rendono tale? Tolte alcune costanti di gameplay, come la gestione di un inventario limitato e un certo animo arcade e da speedrunner, la serie ideata da Shinji Mikami nel lontano 1996 è cambiata più e più volte nel corso delle generazioni.

Ha accolto generi diversi, a volte anche istituzionalizzandoli o rivoluzionandoli, come nel caso di Resident Evil e Resident Evil 4; ha cambiato più volte l’inquadratura principale, ha ampliato a dismisura il suo bestiario e ha abbracciato setting e toni anche parecchio lontani tra loro: dallo slasher-movie/found footage dello spaventoso Resident Evil 7 all’action puro e fracassone di Resident Evil 5. Una serie insomma in continua evoluzione e mutazione, proprio come gli abomini che la caratterizzano, che in venticinque anni ha cambiato la sua pelle di continuo, nel bene e a volte nel male.

Possiamo quindi essere davvero turbati dal fatto che, con Village, Resident Evil sia stavolta diventato una fiaba dark/gotica europea con vampiri e licantropi, in prima persona, e mai così ampia da esplorare? Noi no. Gli altri invece possono subito smettere di leggere e tornare ad accarezzare la confezione di Resident Evil Director’s Cut sulla mensola, perché Village non è di sicuro quello che cercano.

Resident Evil Village 1

Come ci sono finiti Ethan e Mia Winters, con l’aggiunta della piccola Rosemary, dalla Louisiana dell’ottimo Resident Evil 7 all’est europeo di Village? Sebbene l’incipit della storia sia noto da tempo preferiamo non svelarvi niente, ma è abbastanza chiaro che l’apparente tranquillità familiare non durerà a lungo, costringendo Ethan a intraprendere un viaggio mortale per salvare la sua bambina.

Anche il villaggio dove riprenderà i sensi però non se la passa affatto bene, con buona parte della popolazione trasformata in feroci licantropi, e cinque strane figure che sembrano riuscire a dominarli. Tra queste c’è ovviamente Lady Dimitrescu, un personaggio così riuscito e affascinante da aver “rotto l’internet” degli ultimi mesi, ma anche il deforme Moreau, Donna Beneviento con la sua bambola, il misterioso Heisenberg e quella che sembra essere la più alta nelle gerarchie: Madre Miranda. Tutti hanno poteri molto particolari, e cosa vogliano dalla famiglia Winters, come prima, preferiamo lo scopriate da soli.

Come nel predecessore quindi è la famiglia a muovere Ethan, ma in Village la storia ha un minutaggio molto più ampio e cerca al contempo di farsi più intima, tentando a tratti di smuovere qualche emozione nel videogiocatore. A volte insomma dà l’impressione di volersi prendere sul serio, e non crediamo che sia stata una scelta particolarmente felice: la scrittura di dialoghi e personaggi infatti non si innalza abbastanza rispetto agli standard della saga, rimanendo quindi a un livello molto più basso del dovuto se si cerca di suscitare quel tipo di emozioni.

Resident Evil Village 2

Ethan in primis si riconferma un personaggio poco carismatico o interessante (con preoccupanti cadute nell’idiozia totale), e non regge granché la tesi che sia stato lasciato di proposito abbastanza neutro come accade in molti giochi in prima persona, nel tentativo di far sentire il videogiocatore come il vero protagonista della storia. Perché in realtà non è così, il protagonista di Village è proprio Ethan, che fa, pensa, parla, agisce. Ed è purtroppo debole.

Qualche problema si può riscontrare anche nella scrittura di parecchie situazioni di gioco: Ethan è infatti fin troppo spesso una pallina impazzita, lanciata letteralmente in giro per segrete e caverne dai suoi assalitori, dando una sgradevole sensazione di casualità al suo agire e spostarsi. Che in parte è pure giusto, dopotutto non è che un piccolo uomo alle prese con forze più grandi di lui, però l’espediente narrativo non è sempre credibile ed è usato troppo frequentemente per colpirci dopo le prime volte che lo abbiamo vissuto.

Ma alla fin fine tutto questo non è così invalidante. Rimane chiaramente qualcosa che fa storcere il naso, vista l’importanza che gli viene data in questo capitolo, ma se avessimo voluto una bella scrittura dai Resident Evil…avremmo smesso di giocarci venticinque anni fa. Dopo la battuta del Jill-sandwich probabilmente.

Resident Evil Village 3

E allora concentriamoci su quello che ha di buono da dare Resident Evil Village, perché non è affatto poco.

Come dicevamo in apertura è il Resident Evil con più libertà di esplorazione di sempre. Il villaggio infatti funge da hub centrale, da cui poi si dipanano tutte le strade da perlustrare. Ovviamente molte di queste saranno inizialmente bloccate da porte e meccanismi che, in netta controtendenza rispetto alla via di “realismo” (servirebbero più virgolette) e contestualizzazione intrapresa dai recenti remake di Resident Evil 2 e 3, tornano a essere particolarmente fantasiosi. L’ambientazione gotica/fantasy ha permesso a Capcom di tornare a sbizzarrirsi con marchingegni senza apparente senso e di implementare dungeon, fortezze, torri e antichi castelli. E non solo.

Resident Evil Village infatti è anche probabilmente il più vario della serie dal punto di vista artistico e delle location da visitare, superando il 4. Non vogliamo spoilerarvi neppure questo, ma fidatevi se vi diciamo che a un certo punto faticherete a riconoscere il gioco. Qualcuno potrebbe pensare a una direzione artistica senza particolare coerenza (e magari ha pure ragione), ma a noi invece è piaciuta molto. Sembra esserci dietro un certo spirito punk, quella voglia di osare e sperimentare strade nuove anche dal punto di vista visivo, senza seguire regole ferree o la strada già battuta in precedenza. La voglia di cambiare le carte in tavola insomma, che è poi l’anima della serie e buona parte del suo fascino.

Così come ci è piaciuto che il villaggio sia zeppo di zone opzionali, ognuna coi suoi segreti da scoprire, talvolta anche spiacevoli come dei miniboss duri come il ferro. Il backtracking insomma è all’ordine del giorno, e non è affatto garantito che una zona che avevamo lasciato pulita e sicura lo sia ancora al nostro ritorno, qualche ora di gioco più tardi.

Uno dei punti più deboli di Resident Evil 7 era la clamorosa mancanza di un bestiario adeguato, controbilanciata però da alcune delle boss fight più interessanti della saga. La situazione in Village è fortunatamente cambiata, nonostante il combat system rimanga sostanzialmente invariato, e quindi con un feedback dello shooting sui corpi meno soddisfacente di quello dei due recenti remake.

Il roster dei mostri è ampio a sufficienza adesso, e più impegnativo da affrontare: i Lycan sono molto più mobili e aggressivi rispetto alle muffe dello scorso episodio, e ai livelli di difficoltà più alti (ce ne sono quattro in totale) ci metteranno davvero in crisi. Andando avanti col gioco poi li rimpiangeremo i poveri Lycan, perché scopriremo che non sono affatto la minaccia peggiore.

Pure le boss fight risultano abbastanza toste, ma forse meno ispirate di quelle del predecessore, che eccelleva sotto questo punto di vista. Ci piacerebbe entrare nel dettaglio e raccontarvi cosa funzioni di più e cosa di meno, ma anche qui è meglio di no. Per incuriosirvi però vi diciamo che una in particolare è probabilmente la bossfight più “assurda” di tutta la saga. Pure troppo, al punto che potrebbe quasi imbarazzarvi leggermente, ma voi ignorate quello che vi sussurra la ragione e divertitevi.

Resident Evil Village è davvero divertente da giocare, c’è poco da fare. Tra esplorazione, segreti, backtracking e i numerosi scontri a fuoco con le peggiori bestie dell’est Europa, il titolo si riappropria di una dimensione più action e ludica rispetto all’orrore puro di Resident Evil 7, strizzando l’occhio a Resident Evil 4 per quanto riguarda il potenziamento dell’armamentario.

Di tanto in tanto infatti ci imbatteremo nell’ingombrante figura del Duca, che in cambio dei nostri Lei (la valuta rumena) potrà migliorare le nostre armi, vendercene di nuove o comprarci le risorse di cui possiamo fare a meno. Tra queste potrebbero esserci pure le armi stesse, dato che proprio come nel capolavoro di Mikami del 2005 mancano le casse in cui stoccare gli oggetti inutilizzati.

Occhi aperti quando andate in giro, perché dal quarto capitolo fanno il loro ritorno anche i tesori da scambiare col mercante. Se alcuni saranno evidenti, per altri bisognerà aguzzare la vista e scorgere i luccichii in giro per la mappa. È presente pure una componente di caccia agli animali selvatici (estremamente elementare, non aspettatevi Red Dead Redemption 2), con le cui carni potremo farci preparare dal Duca degli utilissimi potenziamenti permanenti alle statistiche di Ethan (salute, velocità di movimento, parata).

La diretta conseguenza di questa natura più action è un allentamento sul fronte della paura e della tensione (come dichiarato proprio in questi giorni dagli autori stessi), ma qui entra in gioco il gusto squisitamente personale: impossibile dire se sia un pregio o un difetto. Non pensiate comunque di giocare Resident Evil Village in totale rilassatezza come un Resident Evil 5 però, i momenti ad alto tasso di ansia e adrenalina sono presenti, solo più diluiti all’interno della campagna, che può durare tra le nove e le dodici ore circa a seconda del livello di difficoltà selezionato e della vostra voglia di esplorare.

Una volta finita, però, la longevità è assicurata dall’alto tasso di rigiocabilità tipico dei Resident Evil, alla ricerca del tempo e della performance migliore per sbloccare le consuete armi infinite (con le quali sarà molto più agevole affrontare i livelli di difficoltà più cattivi). Presente anche la modalità Mercenari, incentrata sul raggiungimento del punteggio più alto possibile.

Se dal punto di vista artistico Resident Evil Village ci è piaciuto un sacco ma può essere discusso, dal punto di vista tecnico c’è invece poco da obiettare. Pur rimanendo palesemente un gioco pensato per girare anche sulle console di vecchia generazione, il colpo d’occhio su PlayStation 5 è davvero eccezionale.

Il RE Engine è un motore che ormai conosciamo molto bene: fluido, versatile, capace di far girare a 60fps e con una qualità altissima anche i Resident Evil della scorsa generazione. Non avrebbe nemmeno più bisogno di complimenti, ma è inevitabile cascarci ogni volta. Per un analisi più approfondita su risoluzione, framerate e resa del Raytracing però vi rimandiamo al video preparato da Roberto Buffa, che trovate sulle pagine e sul canale YouTube di GameTime.

Quello che possiamo anticiparvi qui (ma non è ovviamente solo merito del motore), è che la cura per gli interni e gli arredamenti è eccezionale, potreste passare interi minuti solo a guardare mobili e suppellettili, e non sarà tempo buttato. Pure l’illuminazione è splendida, e gioca un ruolo fondamentale nel veicolare la tensione nelle sequenze più horror. Il buio è davvero buio in Village, e non sapremo mai cosa potrebbe esserci nascosto dentro.

Ottima anche la qualità dell’audio: giocato con le cuffie ufficiali Pulse3D di Sony il sound design offre feedback sonori precisi e puntuali, molto utili per orientarsi verso i pericoli. Il livello non è ancora quello delle esclusive Sony, costruite proprio intorno al loro headset ufficiale, ma sarebbe folle lamentarsene. Ben più ragionevole invece lamentarsi del doppiaggio italiano, presente ma di dubbia qualità: è un peccato che ancora molti videogiochi vengano doppiati con un tono troppo simile a quello dei cartoni animati.

Resident Evil Village, in definitiva, è davvero un ottimo gioco. Ed è anche un ottimo Resident Evil, partendo dal presupposto che ognuno di loro è diverso dagli altri.

Non tutto è andato come avremmo sognato: dare così tanto peso alla narrazione e alle emozioni dei protagonisti quando la scrittura è di questo livello non è proprio il massimo; e alcune fasi di gioco sono evidentemente meno ispirate di altre (riusciremo mai ad avere un Resident Evil che non cali nella seconda metà?). Il gameplay rinnovato e ampliato però è una ventata di freschezza che ci ha fatto davvero piacere, oltre che divertito da morire. Il tutto è poi accompagnato da un lato tecnico ed estetico di altissimo livello, che solo se messo sotto alla lente di ingrandimento tradisce la natura cross-gen della produzione.

In definitiva, Resident Evil Village non delude affatto le alte aspettative, proseguendo il cammino praticamente perfetto di Capcom degli ultimi anni.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
8.5
resident-evil-village-recensione-ps5Ogni Resident Evil è diverso dall'altro, e Village non fa eccezione. Ampliando la base di gameplay del settimo capitolo Capcom dà vita al Resident Evil più aperto di sempre e a uno dei più divertenti. Il RE Engine e una direzione artistica eccentrica ma di livello fanno il resto. Peccato solo per la scrittura di dialoghi e personaggi, per niente all'altezza dell'importanza che è stato deciso di dare alla trama, e per l'atavico calo nella seconda metà di gioco che affligge la saga da quando esiste.