Dopo diverse decine di ore pad alla mano su PlayStation 5, siamo riusciti a farci un’idea abbastanza precisa di Dragon’s Dogma 2. Il gioco Capcom – in uscita il 22 marzo 2024 su console e PC – rappresenta il seguito del capitolo datato 2012. Il parere che troverete di seguito è da considerarsi come preliminare e possibilmente soggetto a variazioni se ritenute necessarie. Ulteriori informazioni sono contenute – oltre che nel testo di seguito – anche nella nostra anteprima. La trovate a questo link.
Dragon’s Dogma 2: alcune premesse
Nel preistorico 2012, l’anomalia chiamata Dragon’s Dogma nacque dal grembo di una Capcom in forma tutt’altro che smagliante, fra capitoli di Resident Evil improbabili e sequel come quelli di Lost Planet che barcollavano rischiosamente su una fune sottile. Conquistarsi uno spazio fra gli action GDR dopo uscite del calibro di Skyrim e Dark Souls non era qualcosa che quella Capcom sembrava in grado di fare. Eppure, Itsuno e il suo team riuscirono comunque a forgiare qualcosa capace di attrarre l’attenzione di un certo pubblico. Una strana chimera, una fusione di cognizioni open world e action inusuali.
Poi, dopo ben dodici anni di buio totale, abbiamo finalmente tra le mani un sequel. Perché sì, il primo Dragon’s Dogma fu una gemma, ma comunque figlia del suo periodo: ovvie limitazioni tecniche e produttive portarono a numerose mancanze. Lo scopo di Dragon’s Dogma 2 è di riparare ai torti, ai rimorsi passati in tutto e per tutto, senza perdere le qualità originarie mai davvero riviste altrove in più di un decennio. Ci è riuscito? Non è ancora tempo di un parere finale, ma possiamo stillare le prime considerazioni a fronte di trenta ore di gioco.
Si parte subito con un colpo di scena
L’opera si apre con un preludio semplice: creato il personaggio, viene rivelato in un flashback che siamo diventati l’arisen (colpo di scena per chiunque conosca la trama del prequel) affrontando il Drago, ma… qualcuno ci ha fregato il posto? Già, nonostante ci venga ripetuto più di una volta che ci può essere un solo arisen allo stesso tempo (il Drago ne sceglie uno e basta, forse per non doverne affrontare ogni settimana), sembra proprio che ne sia apparso un secondo, ed è vicino all’essere incoronato sovrano.
Questa parte introduttiva è piuttosto lunga, e varie ore di viaggio e missioni di ogni tipo – dall’azione all’infiltrazione – vengono dedicate unicamente al cercare di capire come spodestare quello che evidentemente è un imbroglione. Troviamo che la premessa funzioni meglio di quella del predecessore, in quanto si attiene meglio a una convenzione classica nella narrativa, ossia di porre una domanda interessante all’inizio, così da spingerci a continuare per ascoltare la risposta. La domanda iniziale posta da Dragon’s Dogma era sostanzialmente: un drago ti ha fregato il cuore, devi sconfiggerlo per riprenderlo, ma ci riuscirai?
Chi abbia avuto più di cinque minuti di esperienza con gli stereotipi della narrativa fantasy, sa che la risposta sia abbastanza scontata, e questo lasciava i due terzi del racconto alla mercé di una certa banalità. Ci si può sempre riprendere con un twist dopo venti ore, ma intanto la frittata è fatta. In questo caso l’incipit mette il drago in secondo piano e ci chiede di ragionare su cosa succederà una volta confrontato l’impostore.
Per ora, comunque, fra una quest secondaria e l’altra, esplorazione ed enormi boss, la risposta non è arrivata, e nessun’altra ispirazione narrativa si è messa in mezzo a rimpolpare una sceneggiatura che si scioglie piano piano sotto una certa stanchezza. Dopo varie quest principali e un cambio drastico di ambientazione, i personaggi sono ancora abbozzati, immobili, gli eventi secondari brevi e di contorno. È ancora troppo presto per dire dove il tutto andrà a parare e c’è tutto il tempo di salvare la baracca, diciamo solo che attualmente il titolo soffre grossomodo dello stesso problema del primo capitolo: una sostanziale porzione di trama è scarna e si trascina.
Ma fermarsi a dissertazioni sulla storia non renderebbe l’idea di cosa sia Dragon’s Dogma 2 nello spirito. Infatti, non importa troppo il motivo, l’Arisen è chiamato a creare la sua “pedina” – fedele compagno portato a obbedirci – con lo stesso editor usato in precedenza, per poi imbracciare le armi e intraprendere un viaggio tra Vermund e Battahl che attraverseremo ricoperti del sangue dei mostri lungo la strada.
Combat System e gameplay. Indicazioni generali
Uno dei fondamenti del gioco è il combat system, intrinsecamente legato alla scelta della classe. Le quattro di base iniziali (combattente, arciere, ladro e mago) a cui ne vanno aggiunte due ‘avanzate’ (guerriero e stregone) a disposizione delle pedine, offrono meccaniche diverse, ma lo stabile dell’azione è sempre uno: questo non è Dark Souls, e certamente non è Skyrim.
Non c’è un vero e proprio lock on e la maggior parte delle classi non può schivare e, sebbene fra scudi e magie difensive ed evasive non sarete inermi – non potrete mai prescindere dal posizionamento sul campo di battaglia, di quando entrare e uscire all’azione e da che lato, o quando affidarsi di più ai propri compagni.
Per chiunque abbia già goduto del prequel, il feeling è estremamente simile, con un’ottima resa della mole dei nemici e delle bordate tremende che potrete infliggere. Esseri giganteschi come grifoni e ciclopi si muovono in una miriade di modi, scuotono e si sbilanciano fino a sbattere persino sull’ambiente circostante o cascare in un lago e annegare, comportamenti che nessun altro open world aveva mai reso così bene, e il tutto arriva a compimento nella possibilità di spingere, tirare e lanciare i corpi dei mostri, con effetti diversi a seconda della loro natura. Quelli grandi, se siete abbastanza forti potrete sperare di farli cadere quando presi da un momento di disequilibrio, con quelli piccoli invece potrete prendervi la libertà di sollevarli e buttarli nel vuoto.
Ma, ovviamente, non sarebbe Dragon’s Dogma se non si potesse scalare un orco o salire sulla testa di un drago, per infliggere colpi critici o staccare parti specifiche. Tutte queste cose, anche i vostri compagni possono farle e, parlando di loro, ne potrete avere fino a tre, per un party di quattro in totale, selezionandoli una volta entrati nella loro dimensione oscura (le pedine non sono propriamente umane). Possono ricoprire i quattro ruoli di base più due avanzati, ma i restanti saranno esclusivi dell’Arisen, e le opzioni di ricerca vi permettono di discriminare fra singole abilità, livelli e persino temperamenti e conoscenze. Le pedine sono infatti distinte anche dalla loro propensione, sia il modo di parlare, di agire più o meno aggressivamente in combattimento, di badare ai compagni, o da specializzazioni precise come craftare automaticamente risorse, indicarne di importanti nello scenario, o guarire più efficacemente i compagni.
Tornano le ‘pedine’, alleati fondamentali
Le pedine sono assolutamente essenziali nel corso del gioco, visto che i combattimenti vi vedranno spesso contro un numero generoso di nemici o di tipologie che richiedono attacchi particolari (per esempio, nemici volanti o con vulnerabilità elementali) o addirittura conoscenze di approcci vantaggiosi; le pedine possono infatti imparare, attuare nuove strategie, osservando voi o imparando da altri giocatori.
Sì, perché la vostra pedina principale potrà essere usata anche da altre persone, e in seguito riceverete un resoconto dell’avventura compiutasi, o anche dei regali. La sensazione è più o meno quella promessa, di avere al fianco persone vere, realmente competenti, e non I.A. banali. Sono chiaramente ancora lontane da rappresentare la flessibilità di un vero intelletto, ma relativamente a un videogioco si dimostrano tempestive, capaci di cambiare comportamento a seconda della situazione e del loro carattere (per esempio, se inclini alla gentilezza, molto spesso molleranno tutto in combattimento per tirarvi su da terra, ripristinare il vostro vigore quando esausti o anche trasportare compagni feriti così che possiate riportarli all’azione). Inutile dire che la magia si rompa inevitabilmente nei dialoghi, perché a prescindere dall’impegno dichiarato dal team nell’evitare ripetizioni, queste si presentano eccome. Non in misura eccessiva, per carità, ma è uno dei limiti più evidenti.
L’esplorazione in Dragon’s Dogma 2
Combattimento e party si legano poi all’esplorazione, divisa in due parti distinte dal ciclo giorno/notte; nuovi nemici, ricompense e soprattutto un buio debilitante cambieranno il vostro approccio al gioco, e talvolta il pericolo maggiore potrebbe risiedere in qualche dirupo, siccome I danni da caduta non perdonano.
L’uso della lanterna, che dovrete ricaricare con dell’olio, è quindi inevitabile, ma potrete anche accamparvi attorno ad appositi falò in caso abbiate l’equipaggiamento necessario, così da cucinare e far passare il tempo in fretta. La struttura della mappa stessa incoraggia il ragionamento, dato che fino ad ora non abbiamo incontrato reali spazi aperti, il che significa che se volete raggiungere un luogo dovrete cercare di azzeccare le strade giuste, e non solo andare nella direzione generale.
Il tutto converge in elementi di tipo situazionale, fra cui agguati (anche di boss), pioggia e masse d’acqua – che vi appesantiranno inzuppando i vestiti – o saranno direttamente invalicabili, il peso dell’equipaggiamento che vi rallenta per gradi, addirittura l’inclinazione e conformazione del terreno incidono sul vostro modo di muovervi e non sono solo per bellezza, senza contare la barra della vita che potrà guarire solo fino a un certo punto, una volta presi troppi danni, sicché dovrete affidarvi a una locazione di ristoro.
In questo ci viene ad aiutare il sistema di viaggio rapido, che prende due forme: la prima è quella ripresa identica dal primo, che concerne piazzare un cristallo in un punto a piacere e teletrasportarsi vicino a esso nel momento del bisogno tramite una risorsa alquanto limitata. Il suo punto di forza è ovviamente la duttilità, col tempo avremo la nostra rete personale di teletrasporti.
La seconda funziona attraverso la novità dei carri, veicoli in continuo viaggio su tratte prestabilite di cui potremmo usufruire per una somma sostanzialmente irrilevante. Una soluzione assai più abbordabile, ma che ci impone di viaggiare solo per certe strade e di fermarci solo al solito punto di arrivo, salvo non vogliate davvero assistere all’intero, lentissimo viaggio senza dormire. Sono quindi due implementazioni opposte dello stesso concetto, che dovrete saper usare a convenienza. Una terza poi è disponibile, ma vi lasciamo la sorpresa…
Insomma, che sia a piedi o meno, viaggiare in Dragon’s Dogma 2 concerne preparazione e strategia di momento in momento, sapere quando spingere oltre o ritirarsi, perché ogni scelta ha la sua fregatura. Anche il semplice atto di accamparsi (o di viaggiare coi carri, badate bene) descritto in precedenza può attirare mostri durante il riposo ed esporvi a situazioni difficili. La curva di difficoltà del gioco sa essere morbida, ma solo se agirete con furbizia, senza strafare. Se, presi da un coraggio irragionevole, vi avventurerete troppo in là, qualcosa potrebbe farvi a pezzi e riportarvi ai più miti consigli.
Essere cauti è comunque difficile, non solo per la natura imprevedibile del gioco (per pura sfiga, ci è capitato che un terzo boss apparisse dove già ce ne erano due), ma semplicemente perché la mappa è costellata di curiosità. Dungeon più o meno grandi, forzieri disseminati ovunque, accampamenti, case, fortezze, rovine, ogni cosa attira l’occhio. La sensazione è che di avere tra le mani un contenuto più vario, denso e stratificato rispetto al primo capitolo, e non è quindi solo un fatto di dimensione dell’area di gioco.
Certo, una buona percentuale di questi sono toccata e fuga, Dragon’s Dogma non ha mai fatto del suo forte la caratterizzazione stellare di ogni singolo luogo, ma lontani sono i giorni di rammarico in cui ci si aggirava per Gransys chiedendosi lo scopo di questo o quello. Soprattutto le quest secondarie sono frequenti e sorprendetemente originali, con twist inaspettati o scelte nascoste, e spingono sull’utilizzo della materia grigia anziché indicarvi esattamente cosa fare. Certe location apparentemente innoque potrebbero ritagliarsi un posto nella vostra memoria col succedersi di rivelazioni inaspettate, e la nuova ambientazione propone uno scenario del tutto differente rispetto al passato. Purtroppo, la varietà dei nemici in queste trenta ore ha visto poche new entry, pur con alcune variazioni sul lavoro già svolto, ed è uno dei punti deboli che vorremmo venir smentiti col rinnovarsi dell’avventura.
Comparto tecnico: qualche incertezza di troppo, aspetto da migliorare
Parlando di nei, purtroppo il lato tecnico è uno dei più ambigui riscontrati in questa generazione. Nonostante la risoluzione delle texture non sia sempre il massimo, lo scenario complessivo è ottimo in termini puramente estetici. Fermarsi a guardare l’orizzonte e notare l’estensione del nostro sguardo è qualcosa che non ci ha mai stancato, e dona un aspetto molto concreto, solido, all’ambiente.
Creature ed equipaggiamento sono finemente realizzati, e le animazioni degli attacchi, l’effettistica degli impatti, della polvere, il sonoro e i ragdoll (sebbene a tratti un po’ buffi) sono di prim’ordine, per non parlare del fatto che persino gli alberi possono essere abbattuti dalle avversità più forti, e la potenza dei colpi scuote erba e fogliame.
Anche il comparto artistico è un centro pieno, poiché riprende perfettamente le tinte passate e ne aggiunge di nuove; girare in ambientazioni simili a quanto siamo già stati abituati nel 2012 significa rivivere quell’estetica, quei colori, quelle architetture, eppure tecnologicamente molto più avanzate. Non esagereremmo nel dire che l’area iniziale attorno alla capitale (a sua volta chiaramente ispirata alla Gran Soren di settima generazione) potrebbe convincere qualcuno di ritrovarsi in un remake, sebbene di ampio respiro interpretativo, ed estremamente riuscito fra l’altro.
Quel misto di medioevo, ampie campagne un po’ oniriche, Dungeon’s and Dragon’s, una palette spenta che rifugia dalla solita fiaba allegra, è tutto lì, ricomposto pezzo per pezzo da un lavoro che ci riporta indietro nel tempo, andando avanti. Girare in ambientazioni nuove, piuttosto, rivela la quantità di sforzo aggiuntivo riposta nel team per elevare la produzione, di variegarla, espanderla, ed è superfluo dire che se dopo decine di ore ancora non vediamo la fine manco da lontano e non abbiamo che sfiorato la mappa totale, lo sforzo fatto abbia fruttato alla grande.
A trovare una mancanza, a detta di chi scrive, essa sta nelle melodie. Non perché siano inascoltabili, ma perché fino ad ora non si sono stampate nel cranio come dovrebbero. In special modo, i giorni dell’epico menù iniziale sono finiti, sostituito da una variante più generica che nulla ha a che fare con la scelta musicale e le inquadrature del precedente, ma anche nei piccoli esercizi di note contestuali manca di originalità. In combattimento, fortunatamente, hanno usato tracce identiche all’orecchio, e sono quindi praticamente perfette, specie quando si abbatte il bestione di turno e parte l’orchestra trionfale. Anche gli effetti sonori in sé per sé sono molto simili (per esempio quelli dei menù) e in questo caso seguire il detto “squadra che vince non si cambia” ha fatto solo che bene.
É facile notare, però, l’anacronismo delle animazioni facciali fuori dai filmati, e il caricamento degli NPC nelle aree urbane che tocca il ridicolo. Addentrarsi in piazze e vicoli significa vedere persone in carne ed ossa (si fa per dire) comparire a pochi metri di distanza come fossero spiriti richiamati dall’oltretomba, e con cali di frame rate visibili. Anche quando la fluidità non subisce drastici cali, non è mai esaltante.
Sono ormai noti i discorsi relativi al framerate sbloccato del gioco, che non va mai molto oltre i 30 fps. A tratti, guardando il cielo o in certi locali chiusi, si assaggia qualcosa di più vicino ai 60, ma questo è quanto. La sensazione non è terribile, ma mai veramente comparabile alle modalità performance di molti altri giochi.
Per giunta, il gioco sembra girare a una risoluzione relativamente alta – 4K ottenuti con checkerboard rendering – che a fronte della situazione framerate risulta una scelta abbastanza incomprensibile. Un 2K dinamico (quindi anche a costo di scendere a 1080p) in una modalità opzionale potrebbe essere sensato, ma non sappiamo nulla a riguardo. Una situazione un po’ paradossale se si considera che il menù di opzioni sia piuttosto ricco, di tutto tranne che della cosa più importante.
In conclusione: Dragon’s Dogma 2, tante luci e poche ombre
Per ora, Dragon’s Dogma 2 è ricolmo di idee vincenti. Il combattimento pesante che premia il tempismo, le pedine argute, l’esplorazione imprevedibile e metodica, il contenuto strabordante ma curato, l’estetica riconoscibile e altro ancora: funziona, ed evolve secondo le aspettative. Purtroppo ci sono ovvie sbavature narrative e tecniche difficili da ignorare, ma alcune di queste potrebbero incontrare una valutazione diversa al completamento del gioco.