Nota bene: questo articolo va inteso come un ulteriore approfondimento delle considerazioni già espresse nella recensione pubblicata il 20 marzo. Abbiamo infatti già avuto modo di parlare di Dragon’s Dogma 2 nella recensione arrivata in concomitanza col lancio del gioco. La potete trovare a questo link.
Dragon’s Dogma 2: la nostra recensione. Abbiamo provato la versione PlayStation 5 del gioco Capcom
Nel preistorico 2012, l’anomalia chiamata Dragon’s Dogma nacque dal grembo di una Capcom in forma tutt’altro che smagliante, fra capitoli di Resident Evil improbabili e sequel come quelli di Lost Planet che barcollavano rischiosamente su una fune sottile. Conquistarsi uno spazio fra gli action-RPG dopo uscite del calibro di Skyrim e Dark Souls non era qualcosa che quella Capcom sembrava in grado di fare. Eppure, Itsuno e il suo team riuscirono comunque a forgiare qualcosa capace di attrarre l’attenzione di un certo pubblico. Una strana chimera, una fusione di cognizioni open world e action inusuali.
Poi, dopo ben dodici anni di buio totale, abbiamo finalmente tra le mani un sequel. Perché sì, il primo Dragon’s Dogma fu una gemma, ma comunque figlia del suo periodo: ovvie limitazioni tecniche e produttive portarono a numerose mancanze. Lo scopo di Dragon’s Dogma 2 è di riparare ai torti, ai rimorsi passati, in tutto e per tutto. Senza perdere le qualità originarie mai davvero riviste altrove in più di un decennio. Ci è riuscito? Non è ancora tempo di un parere finale, ma possiamo stillare le prime considerazioni a fronte di trenta ore di gioco.
Si parte subito con un colpo di scena
L’opera si apre con un preludio semplice: creato il personaggio, viene rivelato in un flashback che siamo diventati l’Arisen (colpo di scena per chiunque conosca la trama del prequel) affrontando il Drago, ma… qualcuno ci ha fregato il posto? Già, nonostante ci venga ripetuto più di una volta che ci può essere un solo Arisen allo stesso tempo (il Drago ne sceglie uno e basta, forse per non doverne affrontare ogni settimana), sembra proprio che ne sia apparso un secondo, ed è vicino all’essere incoronato sovrano.
Questa parte introduttiva è piuttosto lunga, e varie ore di viaggio e missioni di ogni tipo vengono dedicate unicamente al cercare di capire come spodestare quello che evidentemente è un imbroglione. La struttura delle missioni segue più o meno quanto visto in passato, con una lista di incarichi che potremmo svolgere in un ordine a piacere. Quelle dedicate all’infiltrazione e scoperta di informazioni non sono esattamente brillanti, poiché fanno affidamento a un sistema stealth praticamente assente e un design lineare, che è facile bypassare indossando un abito, e che ci ha lasciato un po’ dubbiosi sul suo vago funzionamento. Narrativamente, troviamo che la premessa funzioni meglio di quella del predecessore, in quanto si attiene meglio a una convenzione classica nella narrativa, ossia di porre una domanda interessante all’inizio, così da spingerci a continuare per ascoltare la risposta. La domanda iniziale posta da Dragon’s Dogma era sostanzialmente: “Un drago ti ha fregato il cuore, devi sconfiggerlo per riprenderlo, ma ci riuscirai?“.
Chi abbia avuto più di cinque minuti di esperienza con gli stereotipi della narrativa fantasy, sa che la risposta sia abbastanza scontata, e questo lasciava i due terzi del racconto alla mercé di una certa banalità. Ci si può sempre riprendere con un twist dopo venti ore, ma intanto la frittata è fatta. In questo caso l’incipit mette il drago in secondo piano e ci chiede di ragionare su cosa succederà una volta confrontato l’impostore.
Purtroppo, però, i pregi a favore della narrativa si fermano qui. Nessun’altra ispirazione narrativa si è messa in mezzo a rimpolpare una sceneggiatura che si scioglie piano piano sotto una certa stanchezza. Dopo varie quest principali e un cambio drastico di ambientazione, i personaggi sono ancora abbozzati, immobili, gli eventi secondari brevi e di contorno. Le premesse iniziali vengono abbandonate con a malapena una chiusura per poi passare alla parte più consueta del nostro viaggio contro il Drago; villain e personaggi importanti presentati in pompa magna da Capcom nei trailer appaiono letteralmente un paio di volte, hanno una manciata di dialoghi, fanno poco e quel poco lo fanno di nascosto, il loro storico è lasciato completamente da parte e le loro motivazioni risultanti abbozzate all’inverosimile. Come se non bastasse, intere sezioni (persino missioni che si intrecciano direttamente con quelle della trama principale) sono del tutto aggirabili senza manco accorgersene, svuotando ulteriormente un racconto che francamente non può permettersi di giocare su finezze quali variabili narrative basate sul caso delle vostre azioni, pena l’indebolimento ulteriore del cemento che tiene le varie fasi attaccate. Per quanto un paio di sorprese ci siano, si spengono in pochi minuti e si raggiunge un finale fiacco, guidato da un’esposizione che riesce a essere sia banale che vaga nei riguardi della cosmologia (seppur interessante) accennata qui e là, per poi concludersi senza quasi nessun intervento da parte del giocatore. I filmati sono pochi e molto brevi e, a detta di chi scrive, la regia si accascia per terra e fatica ad alzarsi anche in momenti che vorrebbero prenderla a calci, per poter esprimere la loro potenziale epicità. Potrebbero volare ipotesi affascinanti sulla natura del mondo di Dragon’s Dogma 2 – che è praticamente una modificazione di quello di Dark Arisen – ma riteniamo sia un po’ troppo scusare la narrativa disgiunta e dalle premesse non mantenute con paragoni verso uno stile più aleatorio alla Soulslike, perché qui la trama c’è, prende spazio, chiede cose al giocatore e non dà risposte, e inframezza il gameplay, rallentandolo.
Ma fermarsi a dissertazioni sulla storia non renderebbe l’idea di cosa sia Dragon’s Dogma 2 nello spirito. Infatti, non importa troppo il motivo, l’Arisen è chiamato a creare la sua “pedina” – fedele compagno portato a obbedirci – con lo stesso editor usato in precedenza, per poi imbracciare le armi e intraprendere un viaggio tra Vermund e Battahl che attraverseremo ricoperti del sangue dei mostri lungo la strada. A proposito dell’editor, sicuramente si tratta di un punto alto. Dozzine di opzioni permettono di cambiare quasi ogni aspetto del corpo, compresa corporatura, altezza, proporzioni di gambe, braccia, busto, viso, con altrettanti tatuaggi, segni particolari, posture e voci.
Combat System e gameplay. Indicazioni generali
Uno dei fondamenti del gioco è il combat system, intrinsecamente legato alla scelta della classe detta “Vocazione“. Inizialmente ne avrete quattro base (combattente, mago, ladro e arciere), poi ne sbloccherete di avanzate (distruttore e stregone) e le ultime quattro saranno utilizzabili solo dall’Arisen, per buona pace delle pedine. La sensazione di bilanciamento fra di esse sembra essere migliore, ciascuna in grado di essere forte praticamente in egual misura, e alcune abilità sbloccabili sono ora integrate nel sistema di controllo e utilizzabili a prescindere da quelle che dovrete invece scegliere e mettere negli slot disponibili, che sono però diminuiti. Lo sblocco avviene attraverso il livellamento delle vocazioni che è separato da quello del personaggio, e proprio la scelta di quali fra le tante affibbiare ai quattro slot disponibili è un fattore chiave della vostra build. Oltre alle abilità integrate e quelle esclusive alle singole classi, otterrete anche dei perk passivi che potrete condividere con tutte le altre.
Sebbene dieci classi totali non sia un numero enorme rispetto a quanto già visto, la composizione risulta sensata. Certo, l’assenza del vecchio cavaliere mistico ‘mazza, scudo e magie‘ fa un po’ male al cuore, ma bisogna pur tenere conto che con la migliore resa della classe Distruttore (il barbaro con armi a due mani, in sostanza) abbiamo già due classi adibite all’avanguardia e al tanking. E il nuovo cavaliere mistico, ristrutturato come glass cannon in grado di balzare qua e là anziché essere un altro bestione in armatura, è probabilmente cosa buona. Anche l’Assassino è assente, ma essendo quest’ultimo basato sulla fusione di più equipaggiamenti diversi, l’Eroe Leggendario lo rimpiazza più che bene grazie alla sua abilità di equipaggiare tutto e usare qualunque abilità, seppur con statistiche e slot ridotti. Anche la progressione risulta più sensata, con un sistema di statistiche rivisto che ci permette di sfruttare qualunque classe al meglio in qualunque punto della partita. Bilanciamento a parte, lo stabile dell’azione è sempre uno: questo non è Dark Souls, e certamente non è Skyrim.
Non c’è un vero e proprio lock on e la maggior parte delle classi non può schivare, e – sebbene fra scudi e magie difensive ed evasive non sarete inermi – non potrete mai prescindere dal posizionamento sul campo di battaglia, di quando entrare e uscire dall’azione e da che lato, o quando affidarsi di più ai propri compagni.
Per chiunque abbia già goduto del prequel, il feeling è estremamente simile, con un’ottima resa della mole dei nemici e delle bordate tremende che possono infliggere. Esseri giganteschi come grifoni e ciclopi si muovono in una miriade di modi, scuotono e si sbilanciano fino a sbattere persino sull’ambiente circostante o cascare in un lago e annegare, comportamenti che nessun altro open world aveva mai reso così bene, e il tutto arriva a compimento nella possibilità di spingere, tirare e lanciare i corpi dei mostri, con effetti diversi a seconda della loro natura. Quelli grandi, se siete abbastanza forti potrete sperare di farli cadere quando presi da un momento di disequilibrio, con quelli piccoli invece potrete prendervi la libertà di sollevarli e buttarli nel vuoto. Va detto che, per quanto alcune sensazioni ritornino quasi identiche, la risposta dei controlli differisce per via della natura molto più avanzata delle animazioni. Il vostro personaggio non è più un manichino che procede a scatti, ma un corpo più reale che ha una risposta naturale (circa) agli ostacoli che lo circondano, e ad alcuni potrebbe non piacere.
Ma, ovviamente, non sarebbe Dragon’s Dogma se non si potesse scalare un orco o salire sulla testa di un drago, per infliggere colpi critici o staccare parti specifiche. Tutte queste cose, anche i vostri compagni possono farle e, parlando di loro, ne potrete avere fino a tre, per un party di quattro in totale, selezionandoli una volta entrati nella loro dimensione oscura (le pedine non sono propriamente umane). Come detto, possono ricoprire i quattro ruoli di base più due avanzati, ma i restanti saranno esclusivi dell’Arisen, e le opzioni di ricerca vi permettono di discriminare fra singole abilità, livelli e persino temperamenti e conoscenze. Le pedine sono infatti distinte anche dalla loro propensione, sia il modo di parlare, di agire più o meno aggressivamente in combattimento, di badare ai compagni, o da specializzazioni precise come craftare automaticamente risorse, indicarne di importanti nello scenario, o guarire più efficacemente i compagni.
Tornano le ‘pedine’, alleati fondamentali
Le pedine sono assolutamente essenziali nel corso del gioco, visto che i combattimenti vi vedranno spesso contro un numero generoso di nemici o di tipologie che richiedono attacchi particolari (per esempio, nemici volanti o con vulnerabilità elementali) o addirittura conoscenze di approcci vantaggiosi. Le pedine possono infatti imparare, attuare nuove strategie, osservando voi o imparando da altri giocatori.
Sì, perché la vostra pedina principale potrà essere usata anche da altre persone, e in seguito riceverete un resoconto dell’avventura compiutasi, o anche dei regali. La sensazione è più o meno quella promessa, di avere al fianco persone vere, realmente competenti, e non I.A. banali. Sono chiaramente ancora lontane da rappresentare la flessibilità di un vero intelletto, ma relativamente a un videogioco si dimostrano tempestive, capaci di cambiare comportamento a seconda della situazione e del loro carattere (per esempio, se inclini alla gentilezza, molto spesso molleranno tutto in combattimento per tirarvi su da terra, ripristinare il vostro vigore quando esausti o anche trasportare compagni feriti così che possiate riportarli all’azione). Inutile dire che la magia si rompa inevitabilmente nei dialoghi, perché a prescindere dall’impegno dichiarato dal team nell’evitare ripetizioni, queste si presentano eccome. Non in misura eccessiva, per carità, ma è uno dei limiti più evidenti. Un dettaglio che va sicuramente apprezzato è come ora le pedine possano chiacchierare con botta e risposta, o citare avvenimenti passati che fanno parte della vostra avventura e magari non di quella di altri giocatori.
Un’altra novità è la cosiddetta Dragonplague, la malattia che può colpire le pedine tirate fuori dalla faglia. Inizialmente saranno solo un po’ aggressive nei dialoghi, per poi disobbedirvi. L’ultimo stadio, attivabile dormendo da qualche parte, può avere conseguenze disastrose.
L’esplorazione in Dragon’s Dogma 2
Combattimento e party si legano poi all’esplorazione, divisa in due parti distinte dal ciclo giorno/notte; nuovi nemici, ricompense e soprattutto un buio debilitante cambieranno il vostro approccio al gioco, e talvolta il pericolo maggiore potrebbe risiedere in qualche dirupo, siccome i danni da caduta non perdonano.
L’uso della lanterna, che dovrete ricaricare con dell’olio, è quindi inevitabile, ma potrete anche accamparvi attorno ad appositi falò in caso abbiate l’equipaggiamento necessario, così da cucinare e far passare il tempo in fretta. La struttura della mappa stessa incoraggia il ragionamento, dato che gli spazi aperti sono rari, il che significa che se volete raggiungere un luogo dovrete cercare di azzeccare le strade giuste, e non solo andare nella direzione generale. Non a caso, un intero mare divora la parte centrale della mappa, costringendovi ad aggirarlo per andare dove prestabilito. Risulta un peccato dover constatare come i premi per l’esplorazione siano spesso risorse anziché equipaggiamento, in maggioranza risposto nei negozi.
Il tutto converge in elementi di tipo situazionale, fra cui agguati (anche di boss), pioggia e masse d’acqua che vi appesantiranno inzuppando i vestiti o saranno direttamente invalicabili. Il peso dell’equipaggiamento che vi rallenta per gradi, addirittura l’inclinazione e conformazione del terreno incidono sul vostro modo di muovervi e non sono solo per bellezza, senza contare la barra della vita che potrà ristorarsi solo fino a un certo punto una volta presi troppi danni, sicché dovrete affidarvi a una locazione di ristoro. A tal proposito, fate attenzione al sistema di salvataggio, perché ogni volta che dormirete da qualche parte salverete la partita senza possibilità di tornare indietro, e il salvataggio automatico potrebbe non perdonare errori come spreco di risorse o l’uccisione di NPC. L’assenza di slot multipli vi ricorda ulteriormente che la vita è solo una, e scorre (quasi) inesorabile. Praticamente tutti gli NPC infatti possono morire e potrete portarli in vita solo con un consumabile piuttosto raro e solo entro un limite di tempo, il che significa che un passo falso può distruggere la progressione di quest anche principali, una cosa che ricorda i ‘bei‘ tempi andati di quel Morrowind.
Comunque, nelle nostre peripezie ci viene ad aiutare il sistema di viaggio rapido, che prende due forme: la prima è quella ripresa identica dal primo, che concerne piazzare un cristallo in un punto a piacere e teletrasportarsi vicino a esso nel momento del bisogno tramite una risorsa alquanto limitata. Il suo punto di forza è ovviamente la duttilità, col tempo avremo la nostra rete personale di teletrasporti.
La seconda funziona attraverso la novità dei carri, veicoli in continuo viaggio su tratte prestabilite di cui potremmo usufruire per una somma sostanzialmente irrilevante. Una soluzione assai più abbordabile, ma che ci impone di viaggiare solo per certe strade e di fermarci solo al solito punto di arrivo, salvo non vogliate davvero assistere all’intero, lentissimo viaggio senza dormire. Sono quindi due implementazioni opposte dello stesso concetto, che dovrete saper usare a convenienza. Una terza poi è disponibile, ma vi lasciamo la sorpresa…
Insomma, che sia a piedi o meno, viaggiare in Dragon’s Dogma 2 concerne preparazione e strategia di momento in momento, sapere quando spingere oltre o ritirarsi, perché ogni scelta ha la sua fregatura. Anche il semplice atto di accamparsi (o di viaggiare coi carri, badate bene) descritto in precedenza può attirare mostri durante il riposo ed esporvi a situazioni difficili. La curva di difficoltà del gioco sa essere morbida, ma solo se agirete con furbizia, senza strafare. Se, presi da un coraggio irragionevole, vi avventurerete troppo in là, qualcosa potrebbe farvi a pezzi e riportarvi ai più miti consigli.
Essere cauti è comunque difficile, non solo per la natura imprevedibile del gioco (per pura sfiga, ci è capitato che un terzo boss apparisse dove già ce ne erano due), ma semplicemente perché la mappa è costellata di curiosità. Dungeon più o meno grandi, forzieri disseminati ovunque, accampamenti, case, fortezze, rovine, ogni cosa attira l’occhio. La sensazione è che di avere tra le mani un contenuto più vario, denso e stratificato rispetto al primo capitolo, e non è quindi solo un fatto di dimensione dell’area di gioco.
Certo, una buona percentuale di questi sono toccata e fuga, Dragon’s Dogma non ha mai fatto del suo forte la caratterizzazione stellare di ogni singolo luogo, ma lontani sono i giorni di rammarico in cui ci si aggirava per Gransys chiedendosi lo scopo di questo o quello. Soprattutto le quest secondarie sono frequenti e sorprendentemente originali, con twist inaspettati o scelte nascoste, e spingono sull’utilizzo della materia grigia anziché indicarvi esattamente cosa fare. Il modo in cui il quest log punta a guidarvi è guidandovi il meno possibile, e varie volte vi troverete a dover esplorare un’area in cerca di qualcuno o qualcosa senza troppi indizi. Certe location apparentemente innocue potrebbero ritagliarsi un posto nella vostra memoria col succedersi di rivelazioni inaspettate, e la nuova ambientazione propone uno scenario del tutto differente rispetto al passato. Purtroppo, la varietà dei nemici ha visto poche new entries, pur con alcune variazioni sul lavoro già svolto. L’ennesimo goblin, sauro o arpia non bastano a sorreggere completamente il ritmo di apparizioni continue nell’open world e nei dungeon, e anche lato boss fight non ci sono affatto molte sorprese, persino il Drago incarna praticamente lo stesso identico scontro. In una scelta alquanto strana, le novità più rilevanti sono quasi tutte condensate in un endgame che definiremmo particolare e inaspettato, per buoni e brutti motivi, senza andare troppo a fondo con gli spoiler. Endgame, però, che non propone un contenuto rigiocabile ‘stile Everfall‘ del gioco precedente, e perarltro chiude fin troppe possibilità a livello esplorativo per poter almeno ripiegare su quanto rimasto da fare. Questo, e una curva di difficoltà che cede nell’ultimo terzo del gioco, ci ha lasciati abbastanza freddi nella decina di ore finali. Per non parlare di un “New Game Plus” che si ostina a non apporre cambiamenti alla sfida e ci getta in una sorta di God-Mode. Il gioco è ragionevolmente grande, il problema è la mancanza di regolazione del contenuto e dell’assenza di un certo contenuto specifico; trovare il solito ciclope nelle aree limitrofe della mappa e non avere un’attività che spinga seriamente a testare i party più forti è, in parte, addirittura un passo indietro rispetto all’opera del 2012.
Comparto tecnico: qualche incertezza di troppo, aspetto da migliorare
Parlando di nei, purtroppo il lato tecnico di Dragon’s Dogma 2 è uno dei più ambigui riscontrati in questa generazione. Nonostante la risoluzione delle texture non sia sempre il massimo, lo scenario complessivo è ottimo in termini puramente estetici. Fermarsi a guardare l’orizzonte e notare l’estensione del nostro sguardo è qualcosa che non ci ha mai stancato, e dona un aspetto molto concreto, solido, all’ambiente.
Creature ed equipaggiamento sono finemente realizzati, e le animazioni degli attacchi, l’effettistica degli impatti, della polvere, il sonoro e i ragdoll (sebbene a tratti un po’ buffi) sono di prim’ordine, per non parlare del fatto che persino gli alberi possono essere abbattuti dalle avversità più forti, e la potenza dei colpi scuote erba e fogliame.
Anche il comparto artistico è un centro pieno, poiché riprende perfettamente le tinte passate e ne aggiunge di nuove; girare in ambientazioni simili a quanto siamo già stati abituati nel 2012 significa rivivere quell’estetica, quei colori, quelle architetture, eppure tecnologicamente molto più avanzate. Non esagereremmo nel dire che l’area iniziale attorno alla capitale (a sua volta chiaramente ispirata alla Gran Soren di settima generazione) potrebbe convincere qualcuno di ritrovarsi in un remake, sebbene di ampio respiro interpretativo, ed estremamente riuscito fra l’altro.
Quel misto di medioevo, ampie campagne un po’ oniriche, Dungeons & Dragons, una palette spenta che rifugia dalla solita fiaba allegra, è tutto lì, ricomposto pezzo per pezzo da un lavoro che ci riporta indietro nel tempo, andando avanti. Girare in ambientazioni nuove, piuttosto, rivela la quantità di sforzo aggiuntivo riposta nel team per elevare la produzione, di variegarla, espanderla, ed è uno sforzo che ha fruttato.
A trovare una mancanza, a detta di chi scrive, essa sta nelle melodie. Non perché siano inascoltabili, ma perché non si sono stampate nel cranio come dovrebbero. In special modo, i giorni dell’epico menù iniziale sono finiti, sostituito da una variante più generica che nulla ha a che fare con la scelta musicale e le inquadrature del precedente. Per giunta, anche nei piccoli esercizi di note contestuali l’originalità latita. In combattimento, fortunatamente, hanno usato tracce che suoneranno identiche ai fan, e sono quindi praticamente perfette, specie quando si abbatte il bestione di turno e parte un’orchestra trionfale. Anche gli effetti sonori in sé per sé sono molto simili (per esempio quelli dei menù) e in questo caso seguire il detto “squadra che vince non si cambia” ha fatto solo che bene.
É facile notare, però, l’anacronismo delle animazioni facciali fuori dai filmati, e il caricamento degli NPC nelle aree urbane che tocca il ridicolo. Addentrarsi in piazze e vicoli significa vedere persone in carne ed ossa (si fa per dire) comparire a pochi metri di distanza come fossero spiriti richiamati dall’oltretomba, e con cali di frame rate visibili. Anche quando la fluidità non subisce drastici cali, non è mai esaltante.
Sono ormai noti i discorsi relativi al framerate sbloccato del gioco, che non va mai molto oltre i 30fps. A tratti, guardando il cielo o in certi locali chiusi, si assaggia qualcosa di più vicino ai 60fps, ma questo è quanto. La sensazione non è terribile, ma mai veramente comparabile alle modalità performance di molti altri giochi.
Per giunta, il gioco sembra girare a una risoluzione relativamente alta – 4K ottenuti con checkerboard rendering – che a fronte della situazione framerate risulta una scelta abbastanza incomprensibile. Un 2K dinamico (quindi anche a costo di scendere a 1080p) avrebbe potuto avere senso. Siccome le difficoltà sembrano principalmente lato CPU, ridurre la risoluzione avrebbe sicuramente effetti minimi, ma visto il risultato anche guadagnare tre o quattro frame non sarebbe stato male (come ha dimostrato l’ultima analisi di Digital Foundry).
Per chiudere, la questione microtransazioni: sì, ci sono, no, non ne avrete bisogno salvo non vogliate trasformare il gioco in qualcosa che non vuole essere. Un trafiletto che senza ombra di dubbio rivela l’ipocrisia della scelta Capcom, ma ciò non toglie che potrete cambiare aspetto al vostro personaggio o spostarvi con un minimo di comodità senza pagare valuta reale.
In conclusione: Dragon’s Dogma 2, tante luci e tante ombre
Dragon’s Dogma 2 è ricolmo di idee vincenti. Il combattimento pesante che premia il tempismo, le pedine argute, l’esplorazione imprevedibile e metodica, il contenuto strabordante ma curato, l’estetica riconoscibile e altro ancora: funziona, ed evolve secondo le aspettative. Purtroppo ci sono ovvie sbavature narrative, di struttura e tecniche difficili da ignorare. Fan o meno, va detto, questo spezza in due la possibilità di essere il vero seguito che i giocatori appassionati avrebbero voluto. Dragon’s Dogma 2 non è perfetto, non rispetta appieno le aspettative, e non è la versione espansa e migliorata in assoluto che tanto si sognava, punto e a capo. Detto ciò, l’unico paragone diretto rimane un gioco che non ha trovato imitatori e che, se vogliamo dirla senza mezzi termini, nonostante le grosse sbavature aveva un core due generazioni avanti rispetto al suo periodo. Prendere quel core e costruirci sopra di tutto e di più senza distruggerlo o andare completamente fuori scope non è un progetto semplice, e non a caso nessuno sembra averci mai neanche provato in dodici lunghi anni, quando le persone intente a scrivere le recensioni del seguito avevano un’altra età e magari andavano ancora alle superiori. Un’eredità simile non si raccoglie con mani comuni, e (in parte) ci si è forse fatti prendere troppo dai sogni in grembo all’attesa. Vari difetti (come il lato tecnico, la varietà dei nemici o l’efficacia dell’endgame) sono poi sistemabili attraverso delle patch o con dei DLC ben integrati nel gioco base, e non macchie indelebili. Con questa lente critica e senza voler perdonare troppo mancanze palesi, un giocatore che prende in mano Dragon’s Dogma 2 si ritrova un titolo capace di presentare meccaniche uniche, u ritmo particolare che va gestito con logiche del tutto anormali rispetto all’action-rpg mainstream, riempiendo un vuoto che pochissimi altri giochi sono in grado di colmare.