“Io non so se dobbiamo pentirci di avere allargato il suffragio popolare prima di aver educato le plebi. Abbiamo dato un’arma pericolosa in mano a coloro che non sanno servirsene e creato i presupposti per il dilagare del disordine morale e della corruzione” – Francesco Crispi.
Così scriveva l’onorevole Francesco Crispi, uno dei principali fautori dell’Unità d’Italia e fiero sostenitore di Garibaldi, riguardo i rischi legati all’estensione del diritto di voto. Erano gli anni ’20 dell’Ottocento: un periodo storico cruciale che, per quanto arcaico sotto tanti punti di vista, consentiva ancora a uomini di Stato e liberi pensatori di palesare dubbi su princìpi ritenuti oggi intoccabili.
Circa duecento anni dopo, complici Rete e Social Network, il concetto di suffragio universale ha acquisito dimensioni e rilevanza ben più ampie di quanto si potesse immaginare, delineando i contorni di uno scenario distopico in cui l’uomo comune si erge a giudice, giuria e boia di ogni genere di questione, con una predilezione del tutto speciale per quelle di cui sa poco o nulla. Mentre gli scienziati si ritrovano costretti a smontare lo scetticismo mostrato da tanti riguardo evidenze che Niccolò Copernico aveva già dimostrato in pieno Rinascimento e politici d’ogni ala assecondano qualsiasi assurdità purché invocata a furore di popolo, la realtà oggettiva delle cose è stata via via ridotta a mera opinione e la stessa verità trasformata in un optional di cui fare a meno ogni qual volta non rifletta la soggettiva visione del singolo.
Nel mondo videoludico contemporaneo, questa deriva ideologica consuma gran parte del proprio male entro i confini delle più note piattaforme di meta-valutazione, dove i capricci dei fanboy, le rivendicazioni dei bastian contrari e gli isterici boicottaggi invocati dai capipopolo delle più disparate frange estremiste hanno trasformato un affascinante esperimento di democratizzazione del giudizio in un’oscena fabbrica della disinformazione. Non ci trovassimo dinnanzi a un movimento in grado di spostare radicalmente gli equilibri del sistema, verrebbe da far spallucce: che il popolo non fosse in grado di esprimere una preferenza senza che biechi interessi personali ci mettessero lo zampino lo si sapeva, del resto, dai tempi della clamorosa vittoria registrata da Barabba nel referendum più importante della cristianità. Nel momento in cui dette valutazioni finiscono per incidere radicalmente sul destino di migliaia di produzioni e persino sulle carriere dei rispettivi responsabili, liquidare il tutto con un ghigno irrisorio diventa però più difficile. Checché se ne dica, la media dei voti elargiti dagli utenti vanta infatti un peso significativo sotto diversi punti di vista: oltre a ripercuotersi sull’andamento dei brand quotati in borsa e alterarne i bilanci, detti numeri finiscono anche per influenzare le scelte di milioni di acquirenti, con conseguenze tangibili su quei dati di vendita che penzolano sul capo degli sviluppatori alla stregua di una spada di Damocle. La faccenda potrebbe acquisire connotati meno foschi qualora i videogiocatori fossero almeno disposti a leggere le recensioni; purtroppo, la maggior parte di essi preferisce tuttavia basare i propri acquisti sulla base di meri principi aritmetici prediligendo, peraltro, la media popolare rispetto a quella della critica specializzata giacché ritenuta “più affidabile” o magari “libera dalle ingerenze di produttori e distributori“.
Paradossi a parte, diventa a questo punto cruciale rimarcare che, proprio come accade in mille altri campi, il problema non sia costituito dallo strumento di meta-valutazione in sé e per sé, bensì dall’utilizzo che se ne faccia… E duole, in tal senso, riconoscere che troppe persone tendano ad abusare del potere che viene loro concesso. Sebbene il dito punti anche in direzione del semplice bambinone che affibbi un punteggio basso a una data esclusiva per fare un dispetto al brand avversario, è ovvio che l’obiettivo primario dell’accusa siano i promotori del review bombing. Laddove il primo si limita sostanzialmente a sottovalutare le conseguenze delle proprie marachelle, questi ultimi sono difatti ben consci del ruolo che un voto alterato possa rivestire nella grande equazione del mercato e, proprio per questo, decidono di servirsene come un’arma. Al netto di chi lo faccia per imporre sistematicamente le proprie preferenze in fatto di piattaforme, disturba notare che alcuni credano davvero di farlo in nome di un bene superiore. Eppure, che si tratti di punire le multinazionali per la rispettiva avidità o bacchettare gli artisti per non aver rispettato a dovere il bon ton etico vigente oggigiorno, un sabotaggio resta un sabotaggio e cioè la più subdola forma di violazione dei diritti altrui. Eh già, i diritti. Il bene più prezioso di una società civile il quale, se non corroborato da un profondo senso di responsabilità, ha però il cattivo vizio di precipitarla nel caos.