
In un mondo tormentato da una sconcertante escalation di conflitti, annunciare la formale conclusione di una guerra è roba da far battere il cuore: peccato che, nel caso specifico, ci si riferisca soltanto allo scacchiere videoludico. Dato che ogni segnale di pace, per quanto piccolo, valga sempre come acqua nel deserto, siamo comunque lieti di certificare che, dopo mezzo secolo di belligeranza nel corso del quale Oriente e Occidente sono entrati più volte in collisione, il proverbiale concetto di Console War possa finalmente passare agli archivi. Chi si aspetterebbe la proclamazione di un vincitore resterà tuttavia deluso: a conti fatti, le ostilità cesseranno soltanto perché è oramai venuta meno la ragione per cui contendersi il territorio. La totale apertura di Microsoft alla libera circolazione delle sue storiche esclusive, ha in effetti portato al crollo di ogni residuo confine politico, gettando le premesse per un futuro prossimo senza barriere, in cui la contesa si sposterà dal versante hardware all’ecosistema delle piattaforme digitali e gli utenti orienteranno le proprie scelte in base alla qualità dei servizi offerti piuttosto che in relazione al culto dei brand.
Sebbene siano in molti ad aver interpretato l’adozione di un modello di business così inclusivo come una resa incondizionata da parte della Major di Redmond, è opportuno sottolineare che, per quanto brusco, il cambio di rotta potrebbe addirittura averne rinforzato la posizione strategica. Come puntualmente rimarcato dal suo CEO Saya Nadella, nell’intervallo di tempo incorso tra il debutto di Forza Horizon 5 su PS5 e quello Indiana Jones e l’Antico Cerchio, i titoli a trazione Xbox avrebbero ad esempio superato già la soglia dei 500 milioni di utenti mensili globali, proiettando Microsoft in cima alla catena alimentare dei publisher in fatto di prenotazioni e pre-installazioni. Logicamente, gli effetti della manovra non mancheranno di riflettersi anche e soprattutto sul futuro del Game Pass, assicurandogli margini di sostenibilità ben maggiori di quelli osservati al termine degli ultimi due anni fiscali. Non a caso, le previsioni di crescita indicano in tal senso che, assicurando una libreria di titoli sempre più ricca e versatile, i proventi derivati dai soli abbonamenti potrebbero raggiungere la soglia degli 8 miliardi di dollari entro il 2030. E ciò al netto di ogni eventuale aumento di prezzo ipotizzabile nell’arco dei prossimi 5 anni.
E Sony? Quali piani starebbero vagliando i Signori di Tokyo in vista di una nuova Era commerciale basata su regole e princìpi radicalmente diversi da quella che l’ha vista sgominare ogni minaccia? Difficile trovare una risposta soddisfacente. Di certo, l’arrivo delle esclusive Xbox avrà generato legittimo entusiasmo e, almeno per ora, nessuno pare preoccuparsi troppo del fatto che buona parte dei profitti legati alla vendita dell’edizione PS5 di un qualsiasi Gears of War finirà nelle tasche del nemico. Ironiche congetture a parte, le perplessità dei grandi investitori starebbero invece convergendo sulla manifesta volontà di continuare a investire nell’hardware: una scelta in piena controtendenza con i segnali che giungono dal mercato che rischierebbe di ostacolare il necessario potenziamento di un PS Plus ad oggi incapace di costituire un’alternativa credibile alle principali piattaforme di contenuti digitali in gioco.
Fossimo nella scomoda posizione di consiglieri, suggeriremmo pertanto ai vertici Sony di non rimandare oltremodo la ristrutturazione del modello Plus e accettare, come dovremmo del resto fare anche noi tutti, che l’età delle console è tramontata così come tutti i costumi socioculturali che ne hanno segnato la parabola.
















