
A cinque anni dall’uscita di Mafia: Definitive Edition, un remake che sul momento mi lasciò entusiasta per poi, a mente più fredda, essere rivalutato negativamente, Hangar 13 è tornata sul franchise con Mafia: The Old Country, distribuito in Italia come Mafia: Terra Madre. Questa volta, si torna indietro nel tempo, agli inizi del 1900 e, cosa ancora più importante, si abbandona del tutto l’America per spostarci in Sicilia, regione che avevamo solo potuto assaggiare durante una missione di Mafia 2. Lo studio ha però voluto fare le cose per bene, studiando accuratamente la Sicilia dell’epoca e dando al giocatore un videogioco con un’atmosfera di rara fattura e con una cura che ti aspetteresti più da un titolo nostrano.
Un assaggio di questa ricerca ci fu dato quando, all’annuncio, venne confermato il doppiaggio siciliano. Lì, l’hype per il gioco crebbe un po’, interesse che si espanse quando si venne a sapere che sarebbe stato un videogioco più contenuto. Insomma, per quanto sapessimo per certo che non si trattasse di un GOTY – e andrebbe benissimo così, non tutti i giochi devono esserlo –, tutto portava a pensare a un titolo capace di evolvere una serie che, ludicamente parlando, è rimasta ferma a Mafia II. Purtroppo, però, quel passo in avanti non c’è stato.
Hangar 13 ci porta nella Sicilia di inizio ‘900



In Mafia: Terra Madre impersoniamo Enzo Favara, un ‘carusu‘ di umili origini che insieme a Gaetano e decine di altri minatori rischia quotidianamente la vita in miniera al servizio della famiglia Spadaro, proprietaria della cava di Collezolfo. Sin da subito ci rendiamo conto che la situazione non può migliorare e, dopo alcuni eventi, Enzo si ritrova a essere nemico della famiglia in questione. Viene salvato in extremis da alcuni sgherri di Don Torrisi, un proprietario terriero che si scoprirà ben presto avere ben più di un semplice vigneto da gestire. Partirà quindi la classica storia di mafia, con il ragazzo che da pesce piccolo finirà col diventare un elemento chiave dell’organizzazione. Un’organizzazione dove il giuramento si fa col sangue.
Una storia valida, ma manca il guizzo dei predecessori
Non mancheranno intrecci amorosi, morti drammatiche e inevitabili tradimenti. Hangar 13 si conferma brava nel caratterizzare storie e personaggi, anche se qui mancano sia i picchi come la fenomenale intro di Mafia III – realizzato dallo stesso studio – sia la consistenza e profondità dei primi due capitoli, tuttora inarrivabili e forse uno dei punti più alti della narrativa videoludica in generale, o quantomeno di quella legata al mondo della criminalità organizzata. Con Terra Madre, la storia rimane piacevole e ben congegnata, ma non sorprende davvero: risulta prevedibile e con alcune scelte di trama, quelle principalmente legate al finale, che continuano a lasciarmi perplesso.



La storia vi terrà impegnati per circa 13 ore, che possono salire a 15 se vi dedicate alla ricerca di collezionabili, con missioni che riprendono alla lettera gli stilemi della serie Mafia. Avremo missioni dove dovremo semplicemente fare da scorta, intervallate da missioni dove dovremo ‘menare le mani‘, missioni di stampo furtivo dove sarà vietato farci sgamare e, ovviamente, le classiche sparatorie. Inoltre, essendo un Mafia, non può mancare una gara, in questo caso ispirato alla Targa Florio. Gradita anche l’introduzione di casseforti da scassinare, con una chiara ispirazione a The Last of Us. Potremo addirittura scassinarle sentendo il click della serratura, senza necessariamente conoscere il codice. Carino.
La Sicilia di Mafia è fedelissima. E che doppiaggio!
La vera meraviglia di Mafia: Terra Madre non è però la narrativa, bensì l’ambientazione. Questo pregio, a dire la verità sempre uno dei punti di forza della serie, qui risulta ancora più sorprendente proprio per l’accuratezza con cui è stata ricreata questa porzione fittizia della Sicilia. San Celeste (già apparsa in Mafia 2) e limitrofi, per quanto inesistente, presenta tutti i tratti caratteristici della terra della Trinacria in quello che è un perfetto mix del meglio che la Sicilia ha da offrire. Questa accuratezza la si vede anche nelle case degli abitanti, nell’abbigliamento e nei collezionabili, come i vari Santini e la Trinacria, nelle insegne dei vari negozi e nelle varie manifestazioni sportive.



Cosa ancora più notevole, però, è la scelta di Hangar 13 di voler doppiare il gioco in siciliano. Chiariamoci: io, umile ragazzo del Sud Pontino a metà tra Roma e Napoli, non ho le competenze per giudicare a fondo la resa linguistica. E infatti non l’ho fatto, bensì ho preferito affidarmi a un amico, Federico S., che ringrazio. Come mi ha spiegato, nel gioco emerge una cura notevole su quello che è il doppiaggio siciliano: i personaggi hanno inflessioni distinguibili e convincenti. Figurano addirittura modi di dire tipici della Sicilia e che solo un siciliano potrebbe conoscere.
A spiccare sono Luca Trapani (Ivano Calafato) e soprattutto Leo Galante (Giuseppe Lino), due personaggi importanti nel videogioco – e nella serie – che impressionano per fedeltà al dialetto. Il protagonista Enzo, doppiato da Riccardo Frascari, l’ha convinto un po’ meno, ma resta un dettaglio minore, soprattutto considerato quanto il siciliano sia davvero difficile da imparare. Se non siete siculi, i sottotitoli sono un obbligo, in quanto certe parole sono davvero incomprensibili.
In un mercato in cui il doppiaggio italiano è sempre più raro, avere un videogioco doppiato in siciliano con questa attenzione – lontano dalla caricatura tipica di tante serie TV – è un elemento che merita di essere lodato, sia per la volontà nell’aumentare il coinvolgimento, sia anche per il coraggio di volersi concentrare su un dialetto parlato da una percentuale bassissima di persone. Non biasimiamo però chi si è lamentato per l’assenza di un doppiaggio italiano vero e proprio, che forse avrebbe aiutato chi odia i sottotitoli. Insomma, per quanto si apprezzi il siciliano, esso è comunque tutt’altra cosa rispetto all’italiano.
Mafia: Terra Madre vanta tracce sonore di qualità, che spaziano dal classico motivo drammatico tipico di Mafia a qualcosa di più vicino alla tradizione sicula. Insomma, gli sviluppatori non hanno in alcun modo lesinato sul discorso “fedeltà”, offrendo qualcosa di altissimo livello, soprattutto per un gioco AA.
Mafia: Terra Madre graficamente convince, ma non esalta



Altrettanto pregevole è la resa grafica delle ambientazioni. La già citata San Celeste ha un impatto notevole e lo stesso vale per le aree rurali, sia per quel che riguarda le strutture che per la vegetazione. Peccato per la quasi totale assenza di fauna, c’è da dirlo. Pazzesca inoltre la resa del cibo e, in particolare, della frutta. Mi è venuta una sincera voglia di arance mentre giocavo la creatura di Hangar 13, e apprezzabili anche i particellari e gli effetti delle armi da fuoco (potete addirittura vedere i pallettoni sparati dai fucili a pompa).
Meno convincenti il framerate, che presenta qualche calo visibile anche nella modalità 30fps, e i personaggi: alcuni dettagli, come bocca e occhi, sono ben curati, ma altri tradiscono una resa “old gen”, pur trattandosi di un videogioco che gira comunque in Unreal Engine 5. Nei filmati, invece, le animazioni sono di ottimo livello: si notano tic dati dal nervosismo, micro espressioni facciali e gestualità assenti in Mafia: Definitive Edition. Il passo avanti nello studio del motion capture è evidente e rende le cutscene, alcune in particolare, davvero di impatto. Di riflesso, però, le animazioni in-game sono deboli, al limite del passabile, e persino inferiori a quanto visto in titoli dell’ottava generazione. Forse, anche alcuni della settima.
Il vero punto debole del gioco Hangar 13? Le meccaniche di gioco



Purtroppo a risultare davvero poco apprezzabile è quasi tutto il resto. Mafia: Terra Madre presenta infatti un impianto di gioco davvero vecchio, a tratti dando l’impressione di essere non solo più vetusto di quello di Mafia: Definitive Edition, ma dello stesso Mafia 2 che abbiamo citato nel primo paragrafo. Forse anche del primo Mafia: The City of Lost Heaven. “Esagerato“, direte voi. Io però voglio giusto ricordarvi, casomai ve lo foste dimenticato, che in quel gioco gli NPC oltre a sapervi aggirare, erano equipaggiati con munizioni finite e addirittura capaci di afferrare armi da terra o decidere di andare di corpo a corpo qualora si trovassero a secco. Davano una parvenza di intelligenza. Senza considerare che c’era più libertà d’azione e interazione. E parliamo del 2002!
Questo, in Terra Madre, non succede. Le fasi di shooting sono appena sufficienti, con le bocche di fuoco che sono davvero poco differenziate le une dalle altre, mentre i nemici cercheranno di stanarvi dalle coperture e aggirarvi, o in alternativa proveranno a farvi fuori con le granate (dettaglio carino: potete colpirle al volo o mentre sono in mano al picciotto di turno). Ci sono anche nemici “speciali” dotati di lupara e che reggono un po’ di più. In generale, però, non è nulla di davvero diverso da quanto visto con Mafia: Definitive Edition. Anzi, forse è pure peggiore.



Mafia: Terra Madre, come i suoi predecessori, presenta delle meccaniche melee dove usiamo un coltello, con una chiara ispirazione a grandi dell’action come, ad esempio, The Last of Us. Avremo diverse scelte sull’arma bianca, con coltelli più adatti allo scassinamento (più duraturi, con la lama che andrà ripristinata con una cote) e altri che possono essere lanciati. L’importanza del coltello è anche narrativa, visto che è proprio con quello che i confronti si risolveranno. Anche qui, il gameplay non brilla. Ci sono meccaniche di parata e schivata, ma spesso i colpi vanno a vuoto e in generale lo scontro risulta poco convincente. In più, spesso vengono inserite discussioni legate alla trama che però finiscono con lo spezzarsi dopo un attacco, ed è un peccato. Sarebbe stato meglio lasciare queste frasi nei filmati di intermezzo durante lo scontro.



Lo stealth, elemento importante della produzione, è pessimo. IA non pervenuta
Le fasi stealth sono, invece, nettamente insufficienti sia per IA, qui quasi del tutto assente, che per posizionamento degli stessi. I nemici raramente guarderanno nella vostra direzione e i loro path sono tutti fatti in modo tale da permettervi di aggirarli facilmente o di metterli KO. Questo rende inutile anche la meccanica della distrazione, possibile mediante bottiglie che troveremo nell’area o tramite monete.
Il loro cono visivo è inoltre ridottissimo, a tal punto che in una sequenza mi è capitato di essere stato ‘tecnicamente‘ visto dal nemico, però lui non mi ha sgamato. Ero a 4 metri da lui, sotto luce diretta del sole. Insomma, non ci siamo per nulla. Vorrei pure dire “è un difetto, ma non così grave“, ma purtroppo almeno metà dei livelli sono stealth e di conseguenza questo problema si percepisce particolarmente. È troppo presente per essere sottovalutato o sminuito.



Tra auto e cavalli: Hangar 13 vi dà un po’ di scelta
Più pregevoli invece le fasi in auto, ma anche qui siamo lontani dai picchi visti con i precedenti capitoli. Le auto continuano ad avere la loro importanza e continuano a essere simulative – relativamente al genere, chiariamoci, ma per ovvie ragioni temporali sono meno predominanti che in passato. Apprezzabile però la resa estetica, curata tanto negli esterni quanto nell’abitacolo, a tal punto da portarmi a pensare quanto siano sprecati vista l’assenza di una modalità in prima persona da usare durante le sessioni di guida. Altrettanta cura è stata, in realtà, riposta anche nella meccanica.
Chiariamoci, non parliamo di chissà quale simulazione. Quel che il team ha fatto è stato, infatti, provare a immedesimare il videogiocatore nel contesto dei primi del ‘900 e ciò significa che le auto, per essere avviate, necessitano della manovella posta sul motore. In alternativa, è possibile anche metterle in moto facendole prendere velocità. Insomma, la cura per il dettaglio, anche qui, non manca, però appunto… non hanno la stessa importanza.
In totale ci saranno una decina di veicoli, tra camion, utilitarie e vetture da corsa difficilissime da domare, tutti personalizzabili nel colore della carrozzeria. Una di queste vetture da corsa verrà utilizzata nella già citata imitazione della Targa Florio. Purtroppo, questa gara è decisamente brutta dal punto di vista ludico. Lo script per far vincere il giocatore è ovvio ed è quasi impossibile perdere, complice anche l’enorme e innecessaria presenza di checkpoint per quella che è una gara da appena otto minuti. Buono per chi odia le sessioni di guida, meno per chi di Mafia amava anche questa voglia di rendere queste sessioni qualcosa di più di un semplice “vai da A a B“. Insomma, se vi aspettate le gare di Mafia 1, potete stare tranquilli… o tristi.



L’auto non è però l’unico mezzo di trasporto. In Mafia: Terra Madre troviamo infatti i cavalli, i quali ricoprono un ruolo altrettanto importante. Con i cavalli possiamo spostarci in zone che con le auto sarebbero difficili da raggiungere e addirittura tagliare per i campi, accorciando di molto il tragitto. Come per le auto, anche i cavalli saranno acquistabili e personalizzabili. Ogni cavallo avrà inoltre caratteristiche uniche, nonché un numero di sprint specifico. Tutto interessante sulla carta, ma nella pratica risultano… sprecati. Perché sì, salvo rare occasioni, alla fine vi sposterete con veicoli offerti dal gioco o che vi verranno fatti guidare dopo appena 5 minuti. Non fai davvero in tempo a goderti il cavallo o l’auto che avete pagato con i vostri amati Dinari.
Una Sicilia tanto bella quanto vuota
Certo, potete usarli per farvi un giro. Il problema, però, è che non hai davvero motivi per farti questo giro, se non ammirare la resa estetica della Sicilia realizzata da Hangar 13. Oltre ai collezionabili, il Free Roam non offre letteralmente altro. Non hai NPC con cui interagire, e quei pochi sono pure impossibili da uccidere. Non c’è polizia, dunque non devi stare attento e rispettare la legge.
Addirittura, si sono lasciati sfuggire l’occasione di sfruttare di più i briganti e inserirli in qualche incontro casuale. Invece, questi spariscono dopo poche ore di gioco. È uno spreco davvero importante. Nessuno si aspetta un Red Dead Redemption 3 in chiave siciliana. Sappiamo benissimo delle enormi differenze economiche e di grandezza del team e sappiamo che Mafia: Terra Madre è un titolo a basso/medio bduget. Ci si aspetta però dell’effettivo contenuto? Beh, questo sì. In caso contrario, che senso ha farmi vagare per queste terre? Fai un gioco interamente lineare, a questo punto.



Conclusioni: si poteva pretendere di più?
Ed è forse questo il vero problema di Mafia: Terra Madre. Dopo un Mafia 3 che, storia a parte, era a malapena sufficiente, un Mafia: Definitive Edition che, a mente fredda, distruggeva il significato dell’iconico finale del primo Mafia e diciamolo, una Remastered di Mafia 2 abbastanza scialba, si sperava che Hangar 13 facesse finalmente quel passo avanti. Che osasse. Purtroppo, con Terra Madre non è così.
Resta un titolo valido dal punto di vista narrativo, con momenti anche importanti – e un finale un po’… discutibile (?) -, ma che da giocare risulta obiettivamente insufficiente, ad eccezione del modello di guida che continua a essere un riferimento (ad averlo un GTA 6 con questo sistema di guida, ad esempio). E ahimé, l’aspetto videogioco conta tanto in un videogioco, a tal punto che non basta una bella storia né auto belle da guidare per raggiungere qualcosa che vada chissà quanto oltre la sufficienza.
In più, abbiamo una componente Free Roam che al momento non ha senso di esistere e che, per quanto sia effettivamente poco incentivata, è comunque presente nel gioco e va valutata. Fra qualche mese verrà lanciato un update con la modalità Fatti un Giro. Che sia questa la modalità che darà quantomeno un senso ludico alla splendida mappa di Mafia: Terra Madre e a dare un boost di rigiocabilità? Può darsi. È rilevante ai fini del gioco che è oggi? Non particolarmente, anche perché non possiamo sapere come sarà.
















