Esiste ancora un futuro per la stampa di settore?

crisi del giornalismo e intelligenza artificiale minaccia al pensiero critico

Il vecchio profeta metropolitano che stamattina bazzicava il centro città annunciando la fine del mondo non era il solito fanatico religioso, bensì un giornalista qualunque: volto scavato dalla miseria, occhi cerchiati dall’affaticamento visivo da schermo, lo sguardo allucinato di chi ha visto troppo, cercava di avvertire i passanti che la critica, con ogni annesso diritto, sta vivendo la sua ora più buia dal dopoguerra ad oggi. Puntando l’indice ossuto verso un cielo color del metallo, questi ripeteva che una delle più grandi conquiste della civiltà moderna, nonché il motore di un processo di emancipazione sociale che mise la cultura a disposizione dell’uomo della strada, sta morendo di morte violenta. Soffocata da ingerenze politiche sempre più invadenti, ridotta ormai alla fame dalla continua riduzione dei compensi e braccata dall’inarrestabile progredire dei sistemi di automatizzazione della scrittura, la stampa così come l’abbiamo conosciuta avrebbe di fatto i minuti contati. Ciò nonostante, a giudicare dal disinteresse mostrato dai passanti, nessuno sembra preoccupato dalla prospettiva.

Una professione immolata sull’altare dell’usa e getta

Se la stampa tradizionale affoga in un mare di divieti imposti da politicanti allergici al contraddittorio e capi di stato che preferirebbero addirittura abolire ogni legittimo confronto, la sua cugina di settore – quella che, per capirci, parla di musica, cinema e videogame – è giunta al limite del definitivo collasso. Dati alla mano, scrivere di questi argomenti ha in effetti smesso di essere una professione già da tempo, per trasformarsi in un hobby oneroso, che vive di tempistiche e ritmi equivalenti a quelle di un lavoro vero e proprio. Va da sé che l’intero carrozzone continui a girare per opera e virtù di un manipolo romantici volontari, molti dei quali seguitano a farlo contro ogni buon senso, solo per impedire alla propria firma di scomparire per sempre.

Al di là di ogni sanguinosa responsabilità gravante sul capo di editori così miopi da aver ignorato per oltre due decenni i segnali provenienti prima dal web e poi dall’avvento dei sistemi di meta valutazione, questo scenario eschileo è figlio di molte madri. Quella più severa si è rivelata essere senz’altro la digitalizzazione forzata del settore: assicurando contenuti gratuiti, la transizione dalla stampa cartacea a quella digitale, ha infatti sottratto valore economico al servizio, spingendo gli imprenditori a tagliare gli stipendi dei dipendenti a colpi di machete e infine a confinare ogni speranza di ricavo negli annunci pubblicitari.

Intelligenza Artificiale e Ignoranza Funzionale

Ad infliggere il colpo critico all’intero sistema, sono tuttavia intervenute le Intelligenze Artificiali: utilizzate non come uno strumento complementare alla documentazione, bensì come un muto servo cui delegare il compito di realizzare approfondimenti che, nel mondo reale, avrebbero richiesto le competenze di un professionista vivo, vegeto e stipendiato, esse stanno difatti rimpiazzando l’individuo che occupa lo spazio tra sedia e monitor con una velocità sconcertante. Secondo un report di Reuters Institute,il 35% delle testate giornalistiche internazionali ha, ad esempio, già adottato forme di IA per ottimizzare il processo produttivo, mentre altre testate considerano l’uso dell’IA come un valido alleato nella scrittura di contenuti di routine… Con tanti, cari saluti al giornalismo di qualità, che richiede esperienza, formazione e una visione critica che nessun algoritmo può (ancora) replicare. Per quanto evolute o performanti, le IA non sono del resto in grado di elaborare analisi in autonomia, specialmente poi quando le si interpella per mera pigrizia, o peggio, allo scopo di risparmiare sulla forza lavoro. Sopraggiunge, in tal senso, il timore legittimo che il concetto di opinione specializzata e, con essa, il pensiero critico finiranno molto presto per appiattirsi su standard preconfezionati, la cui banalità potrebbe, alla lunga, invertire il processo di emancipazione delle masse cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. Ciò precipiterebbe nuovamente tutti noi in uno stato di ignoranza funzionale e, nel migliore dei casi, in un contesto nel quale il giornalismo di opinione assomigli sempre più alle pagine di Wikipedia e il concetto di recensione ai parametri di Trip Advisor. Di certo la prospettiva potrà apparire allettante per tutti coloro che hanno sempre guardato agli organi di stampa alla stregua di biechi manipolatori del pensiero finanziati sottobanco da chissà quale azienda… Prima di festeggiare, suggeriremmo tuttavia loro di guardarsi intorno, respirare l’odore del fanboysmo al mattino e immaginare quanto possa risultare oggettivo e indipendente un sistema di valutazione basato sulle percentuali di gradimento del pubblico.

Eppure, non tutto è perduto

Per quanto possa sembrare assurdo, è imperativo chiudere quest’amara riflessione sulla scena giornalistica contemporanea con un pizzico di ottimismo: sebbene sia maledettamente tardi per schivare l’Iceberg, esistono, a ben vedere, delle contromisure per contenere i danni e rimandare la catastrofe a data da destinarsi. Per sopravvivere, la professione giornalistica non dovrà innanzitutto opporsi ai cambiamenti tecnologici sopraggiunti, ma cercare di adattarvisi in fretta, onde sfruttare ogni singolo vantaggio assicurato dalla possibilità di effettuare in pochi minuti ricerche che avrebbero un tempo richiesto giorni di lavoro. Piuttosto che limitarsi ad assegnare un compito alla IA di turno per poi pubblicarne l’esito, è necessario che il giornalista sfrutti i dati ottenuti per elaborare tesi, considerazioni, opinioni e previsioni di proprio pugno, perché questo è l’unico, concreto vantaggio su cui l’uomo potrà contare nel confronto diretto con la macchina. Al fine di assicurare un’informazione più libera e affidabile sarà dunque necessario identificare nuovi criteri di monetizzazione dei contenuti: soluzioni che possano sottrarre chi scrive e il rispettivo veicolo di espressione al giogo degli sponsor, per accedere a introiti profusi da un pubblico incentivato a investire il proprio obolo perché ingolosito dall’esclusività del servizio fornito.

Come giusto che sia, gran parte dello sforzo da profondere grava sulle spalle di una categoria già vessata da anni di “volontariato”: quel che resta del malloppo dovrà fatalmente essere condiviso dai lettori. Un pubblico la cui fiducia va senz’altro riconquistata, cui va chiesto solo di riconoscere che un mondo senza pensiero critico, retto solo da gelide percentuali, schemi precotti e privato dell’opportunità di confrontarsi sulle questioni che ci sono più care, è un deserto senza oasi in cui finiremo inesorabilmente col perderci.

1 commento

  1. Interessante e condivisibile – nonchè di piacevole lettura, bonus ahimè, da non potersi dare sempre per scontato – quello che scrivi anche se temo che la carta stampata sia, ormai, un anziano moribondo e faccio fatica a condividere del tutto la speranza che mostri nel finale, perchè – io temo – che quelli che mancano siano proprio i lettori. Ma io sono solo un vecchio trombone e, magari, hai ragione tu.

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