Caso Xbox Game Pass: oltre la polemica

Editoriale Xbox Game Pass aumento ottobre 2025

Non esistono rincari che possano incontrare il favore del pubblico e questo principio costituisce una delle poche certezze che interessano la sfera dell’economia. Sbollita ogni legittima irritazione per l’impennata che è andata a interessare il costo del Game Pass, è tuttavia necessario definire gli estremi di questa manovra, nel tentativo di trovare una logica a una decisione che Microsoft non ha certo preso a cuor leggero e che non può certo essere ricondotta a un semplice atto di avidità. Piuttosto che scagliare l’ennesima pietra contro il colpevole, cercheremo pertanto di identificare il senso di questa manovra e, per quanto possibile, delinearne gli eventuali sviluppi.

Per comprendere appieno le dinamiche della svolta occorre innanzitutto specificare che, dal suo varo all’annuncio della settimana appena conclusasi, Game Pass ha rivestito un ruolo prevalentemente promozionale. Venduto intenzionalmente sotto costo e supportato da un catalogo in evoluzione costante che implementava l’accesso immediato a molti titoli tripla A che questo servizio aveva, in tal senso, l’obiettivo primario di allargare il bacino d’utenza Xbox: un traguardo che Microsoft avrebbe inseguito pur essendo ben conscia del grado di sostenibilità di un modello di business che stava già mostrando la sua fragilità nel settore delle più note piattaforme streaming. Superati con risultati soddisfacenti, ma non eccelsi, i primi otto anni di attività, la major di Redmond ha dovuto tuttavia fare i conti con il passivo accumulato, ritrovandosi costretta a trasformare un amplificatore mediatico in perenne perdita in un asset finalmente in grado di generare profitto.

Dal punto di vista strettamente finanziario, l’aumento dei prezzi costituisce dunque uno step obbligato nonché l’unica soluzione disponibile per arginare un’emorragia di fondi che, sulla lunga distanza, neanche un colosso miliardario come Microsoft si può più permettere… Non con le attuali congiunture economiche; non con le fluttuazioni di un mercato destabilizzato da continue crisi socio-politiche e non certo al netto dei miliardi già investiti in acquisizioni rischiose come quella che ha interessato Activision Blizzard.

O bere o affogare

L’impellente necessità di far quadrare i conti risponde pressoché automaticamente al quesito che si sono posti in molti e cioè come sia stato possibile ignorare il contraccolpo che detta iniziativa avrebbe registrato sull’opinione pubblica. C’era, in altre parole, davvero qualcuno ai piani alti della grande M convinto un rialzo così deciso dei costi non avrebbe spinto migliaia di clienti a disdire il proprio abbonamento? Ovviamente no. Sarebbe dopotutto ingenuo anche solo ipotizzare che questi ultimi potessero incassare il colpo senza batter ciglio. In base a dinamiche alquanto comuni nel campo della finanza, i colletti bianchi di Redmond hanno così scelto di bruciare capitale reputazionale, per rafforzare quello economico. Quella che potrebbe apparire come una mossa suicida, vanta in realtà un margine di sicurezza molto più ampio di quanto non si creda. Come ampiamente dimostrato dai periodici ritocchi che Netflix, Disney+, Amazon Prime e Spotify sono soliti applicare ai prezzi dei rispettivi servizi, l’onda d’urto delle disdette immediate tende infatti a stabilizzarsi piuttosto in fretta, per poi appianarsi grazie alla fedeltà di quella fetta di pubblico che si concentrerà sui benefici assicurati dai rincari, piuttosto che sulle relative criticità. In termini tecnici, si tratta dunque di correre un rischio calcolato in base alla consapevolezza che i danni legati al proseguimento di una politica tariffaria infruttuosa fossero molto più ingenti di quelli determinati dall’eventuale fuga degli abbonati. Dato che l’economia rimane una delle poche scienze inesatte, ma elaborate dal genere umano, nessuno può prevedere con certezza che tra uno o due anni ci ritroveremo a concludere che questa strategia si sia rivelata vincente. Allo stato attuale il fattore di incognita è irrilevante, giacché non esistevano alternative percorribili.

Molti di noi, potrebbero a questo punto rivendicare di aver avvistato l’iceberg a dritta con ampio anticipo: era del resto chiaro che la struttura del Game Pass fosse troppo esile per resistere al continuo aumento dei costi. Che piaccia o meno, il mercato internazionale vive in ogni caso di scommesse analoghe e non c’è brand di alto livello che, nel corso della sua parabola, non si sia trovato a intraprendere decisioni controverse.

Futuro incerto

Ciò detto, non resta che stabilire i margini di successo di quest’azzardo e va da sé che, al momento, risulti complesso formulare previsioni credibili. Probabilmente, il futuro del Game Pass dipenderà dalla capacità di trovare un equilibrio tra la necessità di alimentare un modello di business molto esoso e il grado di tolleranza mostrato da un pubblico sempre più sensibile al rapporto qualità/prezzo. Se Microsoft riuscirà a dimostrare all’utenza che il rincaro degli abbonamenti sia giustificato da un’offerta impareggiabile, questa strategia potrebbe addirittura rinforzare il ruolo rivestito dal servizio nella gaming industry del domani. Viceversa, occorrerà pagare dazio a un autogol di dimensioni tanto clamorose far saltare in aria l’intero banco.

In attesa di sviluppi concreti, il sospetto è che lo slogan “All you can play” eserciti un fascino relativo sull’abbonato, anche perché le giornate dureranno pur sempre 24 ore e non vi sarà mai il tempo per godere della quantità di titoli garantita dal livello Ultimate. Non di meno, è verosimile che questo rincaro non sarà che il primo di una periodica serie di ritocchi all’eccesso determinata anche e soprattutto da banali adeguamenti inflazionistici. I prossimi sei mesi ci diranno senz’altro di più sull’andamento del progetto, fino ad allora non sarà possibile escludere alcuno scenario.

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