Acquistare al Day One è un diritto, non una colpa

Editoriale Acquistare al Day One un diritto

Nell’editoriale della scorsa settimana abbiamo posto l’accento su una problematica ben nota ai videogiocatori contemporanei, vale a dire l’ormai sdoganato malvezzo di pubblicare sul mercato di titoli incompleti o difettati a prezzo pieno. Nel condividere la preoccupazione per un fenomeno che ha da tempo superato i limiti del comune buon senso, molti lettori hanno dichiarato di non acquistare mai software al Day One per evitare brutte sorprese, finendo talvolta per rifilare un ricco “ben gli sta” a tutti coloro che sono invece soliti portarsi a casa i videogame al giorno del lancio.

Per quanto la strategia prudenziale di cui sopra abbia una sua validissima logica, che si traduce anche in un vantaggio economico, occorre tuttavia distribuire le responsabilità del problema in modo lucido, evitando di attribuire la colpa di questa deriva ai ‘bambini viziati‘ che non saprebbero resistere alle sirene del marketing.

Un equivoco rischioso

Vale la pena di ribadire con forza che chiunque compri un videogame al Day One non faccia altro che esercitare il più che legittimo diritto di acquisire un prodotto ufficialmente lanciato sul mercato e pertanto ritenuto idoneo per la vendita dai rispettivi creatori. Il principio è francamente elementare e abbraccia l’intera sfera del commercio globale: in quale altro settore dell’industria i consumatori dovrebbero del resto attendere settimane oppure mesi per godere appieno di un bene che sia stato già distribuito? Schernire il cliente del Day One equivale, in tal senso, a invertire i ruoli di vittima e colpevole, nonché riservare implicitamente al produttore un’indulgenza che, nella sua posizione, non gli spetterebbe affatto. A ben vedere, si tratta di una logica trasversale: qualora vi ritrovaste ad acquistare un’automobile difettosa, la responsabilità del danno ricadrebbe sulle vostre spalle o sull’azienda che l’ha messa in commercio senza effettuare i dovuti controlli? Ecco, e c’è persino di più. Nel momento in cui un videogame viene pubblicato a prezzo pieno, l’utente non ha soltanto il sacrosanto diritto di acquistarlo, ma anche e soprattutto la facoltà di pretendere che esso rispetti i parametri qualitativi di un prodotto cui è stato attribuito quel valore. Sminuendo questi due cruciali fattori, si rischia infatti di alimentare un paradosso pericoloso in base al quale diffondere sul mercato merce difettata sia normale ed esigere che funzioni costituisca la vera anomalia.

Back to basics

Alla luce di quanto chiarito, l’onere di ristabilire i princìpi cardinali del rapporto tra consumatore e produttore spetta quasi unicamente a quest’ultimo: piuttosto che indugiare in questo odioso processo di normalizzazione dell’incompiuto, è imperativo rimodulare i piani di sviluppo sulla base di obiettivi e tempistiche credibili, smettendola una buona volta di speculare sul concetto di patch. Quest’ultima deve ritornare a essere uno strumento cui ricorrere in casi estremi e non rappresentare più fattore intrinseco del processo di commercializzazione. A consumatori si chiede, al contempo, di concentrare gli sforzi sulla tutela dei propri diritti, senza andare più in cerca di capri espiatori tra le rispettive fila. Anche se ad oggi il concetto Day One ha ormai assunto una connotazione negativa, forse siamo ancora in tempo per adoperarci affinché esso torni ad essere quel che era sempre stato: un giorno di festa per tutti i videogiocatori, piuttosto che uno squallido spartiacque tra stupidi e furbi.

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