Archiviazione nel vetro 5D: fino a 360 TB su un disco grande quanto una moneta, il futuro dello storage si avvicina alla realtà

Disco di vetro 5D per archiviazione dati fino a 360 TB

Negli ultimi giorni del 2025 il panorama della tecnologia di archiviazione dati ha visto emergere risultati che qualcuno definisce già come una rivoluzione potenziale per i data center e i sistemi di conservazione a lungo termine. Secondo quanto riportato dalla stampa tecnologica internazionale, una startup britannica ha portato avanti la tecnologia 5D Memory Crystal su vetro, che promette di immagazzinare quantità di dati incredibilmente elevate — fino a 360 terabyte su un disco di vetro di pochi centimetri di diametro — con una stabilità teorica che supera persino l’età stimata dell’Universo.

La tecnologia sfrutta un vetro di silice fusa su cui i dati vengono impressi tramite un laser a femtosecondi, creando nanostrutture interne che codificano l’informazione in cinque dimensioni. Questo nome deriva dal fatto che la memorizzazione non si limita alle classiche tre coordinate spaziali, ma incorpora anche l’orientamento e l’intensità delle nanostrutture, aumentando enormemente la densità di dati che possono essere conservati.

Un salto quantico nella conservazione dei dati

Questa innovazione non è semplicemente un perfezionamento delle tecnologie di storage attuali, ma rappresenta una possibile nuova categoria di archiviazione “a freddo” destinata a conservare enormi volumi di informazioni che non richiedono accesso immediato ma devono essere preservate per decenni, se non secoli o millenni. I dischi di vetro 5D non necessitano di energia per mantenere i dati scritti: una volta impressi, rimangono stabili senza alimentazione esterna, rendendoli particolarmente adatti ai data center che gestiscono archivi a lungo termine e backup critici.

Nonostante la densità estremamente elevata, le tecnologie attualmente in fase di prototipo non raggiungono ancora le velocità di lettura e scrittura dei sistemi tradizionali basati su semiconduttori o dischi magnetici. I prototipi esistenti presentano velocità di scrittura di circa 4 MB/s e lettura di circa 30 MB/s, con obiettivi di sviluppo che mirano a raggiungere livelli più elevati nei prossimi anni.

Perché questa tecnologia potrebbe rivoluzionare il settore

Il potenziale impatto di questo approccio è enorme soprattutto nel contesto dei data center moderni e delle crescenti esigenze di archiviazione di dati “freddi” o raramente accessibili, come le copie di backup, gli archivi digitali di istituzioni culturali, biblioteche nazionali o servizi di conservazione storica. Grazie alla sua capacità di immagazzinare dati per periodi estremamente lunghi — alcune proiezioni suggeriscono che le informazioni potrebbero persistere teoricamente per circa 13,8 miliardi di anni — questa tecnologia va ben oltre la durata di un normale supporto di memoria.

Va sottolineato che non si tratta di un prodotto già commercializzato per il consumatore, ma di una tecnologia che sta uscendo dalla fase di laboratorio e potrebbe entrare in uso pratico nei prossimi anni, dandosi obiettivi di test pilota nei data center reali. Le prove su larga scala e l’integrazione completa con infrastrutture esistenti saranno la chiave per capire se questa forma di storage potrà davvero competere con le soluzioni attuali per il “cold storage” di massa.

Verso un archivio digitale eterno

In un’epoca in cui la quantità globale di dati cresce in modo esponenziale e dove la conservazione sicura e sostenibile diventa sempre più critica, tecnologie come il vetro 5D potrebbero ridefinire il concetto stesso di memoria digitale permanente. Non si tratta più solo di archiviare grandi quantità di informazioni, ma di farlo in modo tale che quelle informazioni possano sopravvivere alle generazioni e alle trasformazioni tecnologiche. Questo approccio apre la strada a un futuro in cui la conoscenza umana, dalle opere letterarie alle basi di dati scientifici, potrebbe essere custodita per sempre, scolpita in cristalli di vetro più duraturi di qualunque supporto finora conosciuto.

Fonte: The Register

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