Che succede in casa Microsoft?

Logo Xbox in fiamme a simboleggiare la crisi Microsoft nel gaming

Onde prevenire dolorose ricadute in borsa, manager e portavoce delle grandi aziende sono notoriamente abituati a ridimensionare segnali preoccupanti come continui tagli al personale, cancellazione di progetti e chiusure di intere divisioni. Se alcuni si limitano a ridurre il tutto a banali opere di riconfigurazione degli organici che ricordano la risibile “Pulizia Contatti” annunciata sui social dagli utenti più goffi, altri riescono addirittura ad attribuirgli connotati positivi sfruttando ipnotici giochi di parole.

Ciò nonostante vi sono comunque casi in cui nessun artifizio dialettico riesca a mascherare la scomoda verità e, a questo giro, è Microsoft a finire sul banco degli imputati. Benché il caro Phil Spencer continui a sottolineare che “l’azienda non sia mai stata così forte” e che le ultime misure adottate servano soli a “snellire i livelli manageriali e concentrare investimenti sull’IA” è infatti evidente che la corazzata Xbox stia imbarcando acqua. Viceversa, non sarebbe stato necessario tagliare oltre 10.000 posti di lavoro nel corso di due anni, né staccare la spina a studi di sviluppo in piena attività come Arkane Austin, Tango Gameworks, Alpha Dog Games e The Initiative. Ad un’occhiata superficiale, la breccia formatasi nello scafo della corazzata parrebbe dipendere unicamente dall’impatto con l’iceberg costituito dagli effetti collaterali del modello Game Pass. Aguzzando la vista, ci si accorge tuttavia che, al di là dei limiti di sostenibilità evidenziati col tempo da questo format, vi siano altre concause da prendere in esame. La prima di queste è senza dubbio legata alla controversa politica di espansione che portò all’acquisizione di Activision Blizzard e Bethesda: riproponendo dinamiche sovrapponibili a quelle patite da Disney in seguito a manovre di mercato analoghe, l’assorbimento di realtà aziendali così ingombranti ha generato ridondanze nei costi di gestione di tale entità che, in assenza di contromisure drastiche, avrebbero rischiato di scoraggiare gli azionisti e indebolire il valore dei titoli Microsoft. A questa problematica sarebbero dunque andati a sommarsi il drastico calo delle vendite rilevato in ambito hardware e un sensibile rallentamento nella crescita del bacino d’utenza Game Pass: se nell’ultimo quarto del 2024, i ricavi maturati dalla vendita di Xbox Series X ed S hanno difatti registrato un calo del 29%, la piattaforma digitale parrebbe aver raggiunto uno status di plateau che, in assenza di una ripresa favorita da investimenti ancor più ingenti e politiche commerciali più aggressive, finirebbe per compromettere l’efficacia dell’intera offerta. Che ci si creda o meno, persino un colosso come Microsoft deve però tener d’occhio il portafogli: come pretendere, dunque, l’iniezione di ulteriori capitali quando la platea degli utenti console è ferma da circa vent’anni sui 30 milioni di unità? Nel tentativo di trovare una soluzione più realistica alla stasi causata dalle circostanze appena citate, la major aveva deciso di rivoluzionare la propria politica circa le esclusive. Ritenuta da molti come un azzardo, l’apertura alla distribuzione delle proprie IP su PS5 e Nintendo Switch non sembrerebbe purtroppo assicurare vantaggi significativi: pur garantendo a Microsoft l’opportunità di moltiplicare i guadagni ottenuti dalla vendita del software, detta strategia potrebbe acuire la crisi del settore hardware, precipitando il fattore console ai margini delle priorità aziendali.

Al netto di quanto specificato finora, viene spontaneo chiedersi quale futuro si prospetterebbe per la divisione videoludica della Grande M. Stiamo, in altre parole, vivendo gli ultimi giorni del progetto Xbox? Risparmiandovi annosi giri di parole, la risposta è no. Benché sia palese che il brand viva un periodo particolarmente delicato della sua storia, Microsoft ha comunque spalle tanto larghe da poter sopravvivere persino alle 7 piaghe d’Egitto. Ciò detto, è chiaro che all’attuale contrazione seguirà una robusta fase di riassetto volta a rimpiazzare il vecchio modello Console+Esclusive con un programma più aperto a base di piattaforme streaming, servizi di abbonamento e supporto del cloud. Come implicitamente suggerito dall’assetto del progetto Ally, l’idea è che il brand Xbox sia destinato ad abbandonare in via definitiva la sua forma fisica, per ricavarsi nuovi habitat su qualsiasi sistema in grado di supportarne la fruizione, che si tratti di console targate Sony o Nintendo, dispositivi portatili alla Steam-Deck, smartphone e Internet TV.

Di certo, questa non è la notizia che molti volevano sentire, ma gli scenari industriali cambiano di continuo e chi si ferma è perduto. Giusto in proposito, è verosimile che prima o poi anche Sony si troverà nelle stesse acque e sarà chiamata a prendere decisioni altrettanto nette sull’evoluzione del marchio Playstation. Quanto a Nintendo, ci riserviamo il beneficio del dubbio: allo stato attuale, la casa di Mario si è ritagliata un ruolo complementare in acque dolci così da tenersi a debita distanza dai tumultuosi oceani del gaming Hi-Tech. Magari questo basterà a tenere il brand lontano dai guai ancora per un po’, ma al loro posto non dormiremmo in ogni caso sogni tranquilli, perché il definitivo tramonto del modello fisico è ineluttabile.

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