
Death Stranding 2: On the Beach – la recensione del ritorno di Sam e Lou
Sarò sincero. Quando qualche anno fa giunsi ai titoli di coda del primo Death Stranding, tutto mi sarei aspettato, tranne che Hideo Kojima avesse intenzione di proseguire con un secondo capitolo. D’altronde la storia di Sam, di Lou e delle UCA poteva dirsi chiusa perfettamente. Il corriere leggendario era riuscito a rinviare il Last Strand di qualche migliaio di anni e, dopo aver reciso le proprie connessioni con il governo, si allontanava per cominciare una nuova vita con la BB che aveva imparato ad amare lungo il viaggio. L’annuncio di Death Stranding 2: On The Beach tre anni fa mi ha dunque colto alla sprovvista. Cosa restava da raccontare oltre a quanto già fatto? La soluzione di quei – pochissimi – punti in sospeso poteva essere tranquillamente lasciata alla fantasia del videogiocatore che avrebbe avuto libertà di immaginare in autonomia come il mondo sarebbe andato avanti.
Un nuovo viaggio, tra continuità e incertezze

Affrontare l’intera trama di Death Stranding 2: On the Beach senza fare spoiler è pressoché impossibile. Dato che molti di voi che state leggendo sono – presumibilmente – interessati a godersi l’esperienza senza che nessuno rovini loro le sorprese mi limiterò a riassumere alcune delle informazioni già disponibili da tempo in rete tra trailer e anteprime e aggiungere appena poco altro.
Sono trascorsi 11 mesi da quando Sam ha reciso i suoi contatti con le UCA. Insieme a Lou, ora libera dal suo pod, ha cominciato una nuova vita in un rifugio non connesso alla rete chirale. Il quadro è quello di una piccola ma felice famigliola. La loro tranquillità è turbata dall’improvviso arrivo di Fragile – la cui pelle pare miracolosamente ringiovanita – che racconta a Sam come gli ex-USA se la stiano cavando dopo la sua fuga.
Die-Hardman, dopo il suo insediamento è stato presidente delle UCA per pochissimo tempo e, dopo aver lasciato l’incarico al suo successore, è sparito senza lasciare traccia. Ora, al vertice, un nuovo Presidente, esponente dell’APAC, società privata che ha ereditato alcuni compiti della Bridges occupandosi della gestione delle consegne – ora automatizzate – e della solidità della rete chirale.

Fragile, nel mentre, ha chiuso la sua Fragile Express per dare vita alla Drawbridge, organizzazione indipendente foraggiata da un misterioso benefattore che si fa chiamare Charlie. Le UCA, racconta Fragile, sarebbero interessate a estendere la rete chirale al di fuori dei confini, così da poter ristabilire le connessioni anche con altri paesi e continenti. Dato che un intervento diretto verrebbe visto come interferenza con le varie sovranità nazionali, questo compito andrà portato avanti per conto invece di APAC con la Drawbridge come realtà cui è stato affidato “l’appalto” dell’operazione.
La connessione delle UCA ha finito col generare un “geo-varco”, un portale che si sospetta possa condurre fino in Australia (avete mai visto Stargate? Stesso principio, circa). È però necessario rendere il passaggio stabile connettendo alcune altre strutture alla rete. Riluttante, Sam finisce con l’accettare una missione che, nelle intenzioni iniziali, dovrebbe comunque essere piuttosto breve. D’altronde, dice Fragile, si tratterebbe solo di collegare alcuni nodi in Messico, fino a un impianto di ricerca a Sud. La donna si offre di badare a Lou durante l’assenza di Sam e questi, tranquillizzato, mette lo zaino in spalla e parte alla volta del primo nodo da connettere.
Gli eventi immediatamente successivi sono quelli che danno il via vero e proprio all’avventura. Sebbene molti di questi siano già stati mostrati in diversi trailer, sono dell’idea che raccontarli qui in ordine cronologico possa essere da qualcuno considerato spoiler e che, dopotutto, non sia poi del tutto necessario ai fini di questa recensione.
Ambientazioni più varie e scenari dinamici

Poste le basi della missione di Sam, ora è possibile parlare di ciò che concerne il mondo di Death Stranding 2: On the Beach. Se la mappa del nord America costruita dal team di Kojima era caratterizzata da una certa scarsità di biomi – oltre le distese rocciose ricoperte di muschio e i monti innevati v’era pochissimo spazio per altro – per DS2 il team ha optato per una varietà decisamente maggiore. Come già anticipato da diversi provati di altri colleghi, avremo a che fare dapprima col Messico e, successivamente, con l’Australia.
La quantità di scenari è in questo caso notevole. Se le distese sabbiose del Messico forse sanno ancora da stereotipo di Hollywood, l’Australia è invece ricca di ambienti diversi: ci sono ancora cammini rocciosi, ma ora questi si alternano ad alte montagne, piccole foreste, distese di calde dune desertiche, corsi d’acqua eccetera.
Questo significa, ovviamente, un maggior numero di variabili di cui tener conto durante la pianificazione di un percorso. Operazione resa più complicata non solo dal meteo dinamico (con sole, pioggia e neve), ma anche fenomeni naturali più aggressivi. La pioggia può in alcuni casi ingrossare i corsi d’acqua e causare una inondazione; il vento può generare tempeste di sabbia o tormente di neve che limitano la visibilità; sporadici terremoti compromettono l’integrità delle strutture costruite; il fuoco si propaga nella vegetazione; troppo caldo, troppo freddo o l’aria rarefatta in alta montagna incidono sulla barra di stamina di Sam. Chiude il cerchio l’introduzione di un ciclo giorno/notte che, in alcune missioni, può essere utilizzato a nostro vantaggio.

Il mondo di Death Stranding 2: On the Beach risulta anche più vivo per un altro motivo. Sebbene a ragion di world-building questo non dovrebbe essere possibile, in Australia non mancano flora e fauna. Anzi, a dirla tutta in DS2 sono previste missioni dedicate al salvataggio di animali (più o meno come accadeva in The Phantom Pain). Un dato piuttosto strano se si considera che la cronopioggia è ancora un problema in questo mondo (a parte nella scena iniziale, quanti animali avete incontrato nel primo Death Stranding?).
Oltre i normali animali infine, nelle mappe è possibile imbattersi in quelle che vengono definite “Creature Chirali”. Assenti sul suolo americano, questi particolari animali sembrano provenire direttamente dal catrame. Essi si muovono in nutriti branchi che attaccheranno Sam in massa se questo si avvicina troppo. Sebbene il danno causato a Sam sia minimo, l’elevato numero di esemplari le rende fastidiose da incontrare. È sempre preferibile evitarle, se possibile.
Gameplay familiare, ma con aggiunte interessanti

Death Stranding 2: On the Beach non stravolge la formula del predecessore ma, anzi, ne ripropone tutte le meccaniche di base. Ancora una volta l’intero gameplay ruota attorno alle consegne, alla gestione del carico e alla pianificazione del percorso che da punto A condurrà Sam a punto B. Ritorna ovviamente anche il sistema di multiplayer asincrono: le strutture costruite in un determinato server vengono condivise fra tutti i videogiocatori presenti che, però, continueranno a non incontrarsi mai e a interagire tra loro solo attraverso i like dati o ricevuti in base a quanto una determinata struttura verrà ritenuta utile per la collettività.
In tal senso, dunque, non ci sono rivoluzioni vere e proprie. Chi ha già apprezzato il primo gioco per questi elementi ritroverà qui un impianto familiare. Nel tentativo di conquistare anche quella fetta di utenza che invece aveva trovato tedioso il primo viaggio di Sam, On the Beach presenta una componente action più marcata. Il capitolo precedente – lo ricorderete – tentava di scoraggiare l’utilizzo di armi per quasi metà del gioco. Qui, invece, l’uso del “bastone” viene quasi promosso: a Sam vengono fornite armi (non letali, ovviamente) fin da subito consentendogli di difendersi dalle minacce rispondendo al fuoco dei nemici se lo desidera.
Esperimento riuscito? Non del tutto. Durante la campagna marketing tra gli aspetti decantati v’era anche una maggior fluidità nel combattimento, con uno snellimento nel processo di equipaggiamento delle armi. Ciò nonostante, il sistema non appare troppo diverso da quello già implementato nel gioco precedente. Durante i combattimenti più concitati, durante i quali non è difficile trovarsi a corto di munizioni, il procedimento di cambio arma resta macchinoso al punto da spezzare il ritmo stesso dell’azione. Sensazione accentuata dalla lentezza del protagonista di riprendere la posizione.

Facendo un esempio: per cambiare arma con una presente in inventario è necessario accedere allo specifico menù, scorrere fino a trovare l’arma desiderata e selezionarla. Tutto qui? In realtà diventa anche auspicabile sbarazzarsi dell’arma col caricatore ormai vuoto così da alleggerire il carico sulle spalle di Sam. Lo stesso può essere detto per la gestione delle sacche di sangue utili a ripristinare i parametri ematici di Sam. Nessuna modifica rispetto al gioco precedente: è ancora necessario sbarazzarsi manualmente delle sacche vuote se si vuole recuperare spazio in inventario. I movimenti di Sam non sono sempre fluidi, subire colpi che lo mandano a terra mette il giocatore in svantaggio in quanto il protagonista resta piuttosto lento nella sua capacità di recuperare la posizione, riequipaggiare l’arma e riprendere lo scontro.

Resta presente la possibilità di procedere in modalità stealth evitando lo scontro diretto. In questo senso, oltre alla capacità di nascondersi alla vista – liberandosi anche dello zaino, qualora questo fosse d’intralcio ai movimenti – Sam può disporre nel proprio arsenale di trappole ed esche che gli permetteranno di aggirare i nemici, stenderli silenziosamente o attirarli lontani dalle loro posizioni Attraverso le torri di guardia – o sfruttando le abilità di Dollman – è possibile taggare la posizione degli avversari così da seguirne gli spostamenti. Anche le tute di Sam giocano un ruolo. Ora, oltre personalizzare quella di base, sarà possibile svilupparne altre con effetti specifici (più o meno come accadeva in Snake Eater).
Dunque, se molti di questi sono elementi già presenti nel primo Death Stranding, cosa rende particolare questo secondo capitolo? Come ulteriore aggiunta, Kojima Productions ha pensato di implementare anche un rudimentale sistema RPG. Le “statistiche” di Sam verranno influenzate dallo stile di gioco. Un approccio più action farà salire le abilità di combattimento; trasportare più carico farà gradualmente salire il limite di peso trasportabile eccetera. Esistono poi azioni specifiche da poter compiere per poter migliorare altre capacità: trattenere il respiro più volte, ad esempio, farà sì che Sam sia in grado di farlo sempre più a lungo.

A supporto di tale meccanica, in DS2 sono stati introdotti anche alberi delle abilità. I perk permanenti possono essere sbloccati spendendo appositi punti APAS guadagnati connettendo nodi su nodi. Questi vantaggi possono essere molto utili (come miglioramento della mira assistita), o puramente accessori (come la possibilità di estendere la finestra temporale entro cui fornire like).
L’obiettivo è chiaramente quello di offrire un senso di progressione continuo a ogni consegna effettuata. Aumentando il livello di connessione con una determinata struttura possiamo aspettarci sempre dei punti APAS aggiuntivi e in tanti casi progetti per nuova attrezzatura o update cosmetici. Alcuni degli ordini secondari – non necessari per la main quest – offrono di tanto in tanto qualche diversivo dalle solite missioni di consegna.
Trama profonda, ma meno sorprendente

Sappiamo tutti che Hideo Kojima ha spesso riciclato idee dai suoi stessi giochi. Nel caso di Death Stranding 2: On the Beach però l’impressione è che tolte piccole variazioni lo schema generale sia stato preso e ripresentato 1:1. Non intendiamo similitudini tra gameplay – è chiaro che una certa continuità debba esserci – ma, semmai, il modo in cui questo è proposto, le modalità con cui la narrazione si svolge, persino la divisione delle mappe o il numero di scontri con uno specifico avversario il cui passato sembra intrecciato a quello del protagonista, sembrano essere stati copiati pedissequamente dal primo Death Stranding.
Il mondo di Death Stranding continua a mancare di una certa coerenza interna, con regole introdotte, apparentemente stabilite, e poi piegate alla necessità del momento. Le Dooms, presentate come caratteristica rara e speciale, ora sono pressappoco l’equivalente del gene-X della Marvel: lo hanno in tanti e per ognuno significa avere poteri diversi. Personaggi come Tarman, Rainy e di nuovo Heartman, servono più a incarnare un solo tema, invece che presentarsi come persone complesse con cui empatizzare davvero. C’è però, almeno in quest’opera, uno sforzo maggiore di umanizzare maggiormente alcuni dei comprimari attraverso scene da “everyday life”. Nel primo gioco Sam interagiva quasi esclusivamente con ologrammi. Qui abbiamo almeno la convivenza del protagonista con il resto dell’equipaggio della DHV Magellan.

Nota dolente i colpi di scena. Chi conosce un minimo l’autore – o chi ha una cultura cinematografica/letteraria media – riuscirà a individuare alcuni dei risvolti di trama già a colpo d’occhio. Il problema è che, esattamente come nel precedente, dopo un inizio accattivante (anzi, più accattivante va detto), la trama si trascina lenta e le soluzioni alle varie storyline vengono rimandate a poco prima dei titoli di coda. A differenza del gioco precedente però, l’attesa viene ripagata con scene dal forte impatto visivo. Dinamismo e azione spezzano un percorso – quello della main quest – altrimenti pedante. Non mancano i momenti in cui Kojima cita sé stesso. Anzi, a essere precisi di questi momenti se ne notano anche troppi. Tra piccoli hint, parallelismi, riproposizione in salsa nuova di vecchi temi, anche il più sfegatato ammiratore potrebbe reputare eccessivo il fanservice.
Death Stranding 2: On the Beach. Le nostre conclusioni

Death Stranding 2: On the Beach è un prodotto che farà quasi certamente presa sul pubblico già catturato col primo capitolo e sui” fan di Kojima a prescindere”. A dispetto di recenti dichiarazioni di Woodkid (che firma buona parte della colonna sonora), lo sforzo di ampliare la platea di “Porters” è evidente. Secondo il musicista, Kojima avrebbe modificato parte del gioco perché accolto troppo positivamente dai tester.
Restano però alcuni dei difetti del primo: poca varietà nelle missioni principali e nelle boss-fight, gestione delle armi durante le fasi di combattimento ancora macchinosa, una trama e un mondo di gioco che richiedono un notevole sforzo di sospensione dell’incredulità in molti punti, personaggi spesso appiattiti su una loro singola caratteristica. Lo schema generale con cui svolgono gli eventi sembra inoltre copiato pedissequamente dal primo con poche variazioni reali.
Migliore la varietà di ambientazioni, biomi e situazioni atmosferiche che possono mettere alla prova i videogiocatori. Per gli amanti della photo-mode non mancheranno scorci interessanti. L’aver scelto di limitare i contenuti testuali come le mail del primo Death Stranding, sostituite dal Social Strand System (una specie di feed simil Instagram) è un miglioramento. Cutscene molto più dinamiche e d’impatto aiutano a tenere alta l’attenzione.






Il Decima Engine offre il meglio di sé sia nelle cinematiche che nelle situazioni di gioco (fatto salvo qualche sporadico caso di stuttering di elementi più lontani). Ancora ottima la scelta dei brani che compongono la colonna sonora, più variegata nei toni. Alcune delle canzoni, tra l’altro, sono state riprese dal gioco precedente. Considerata però la loro bellezza riascoltarle non ci è affatto dispiaciuto.
In generale Death Stranding 2: On the Beach è un buon gioco, pieno di pregi ma non esente da difetti. Sta poi ai giocatori decidere – sulla base di questa recensione o più semplicemente dei propri gusti – cosa far pesare di più prima di procedere all’acquisto e dopo aver terminato l’avventura pad alla mano.
Death Stranding 2: On the Beach sarà disponibile in esclusiva PlayStation 5 a partire dal 26 giugno 2025.















