La nostra recensione, ASSOLUTAMENTE PRIVA DI SPOILER, di Elden Ring. Buona lettura, anime vuote.
Devo essere sincero: è passato proprio tanto, tanto tempo, dall’ultima volta che mi sono ritrovato davanti a uno schermo, con un cursore lampeggiante e pieno d’ansia, in attesa di un mio giudizio, un mio verdetto, un mio parere. Scalpitante quanto me, anche per un solo banale riscontro su di una delle saghe a me più care. Una saga di quelle che ti crescono, ti formano, e che finiscono col definire nel tempo la tua essenza di videogiocatore. Di quelle che cerchi di passare al tuo prossimo, ai tuoi cari; come un vassallo, un testimone. Di generazione in generazione.
Forse potrei quasi affermare che Miyazaki, per me, è come uno zio del gamepad. Un esempio, un eroe. Ma Hidetaka è anche più semplicemente un amico. Dal 2009 ha cambiato infatti la mia percezione del “divertirmi con un giochino”, e lo ha fatto per sempre. Al tempo, non convinse davvero tutti. E per “molti”, ancora oggi, il ritorno alle origini hardcore del videogioco segnato dal successo inaspettato di Demon’s Souls nelle classifiche di tredici (13!) anni fa, è davvero qualcosa di poco comprensibile. O accettabile.
Forse, però, quei “molti” nel corso degli anni, delle espansioni ed evoluzioni in lungo e in largo di quel concetto radicato di sfida, con quel sistema di parry che a volte s’inceppa tra uno scalpitio di dita, levette e tastini colorati…forse, ma dico forse, quei “molti” sono oggi meno allibiti al cospetto del (meritato) successo di mamma From.
Un successo pregno di sadomasochistiche battaglie contro nemici a prima vista impossibili, che hanno teso i nostri nervi come violini, prima di gioire come ragazzini dopo il primo goal della vita alla concessione di una sudata (e quanto!) anima di demone, ottenuta tra urla, sangue e imprecazioni come marchio di fabbrica.
Di sicuro, avranno avuto modo di ricredersi grazie al salto tecnologico e artistico riferito a quella meraviglia visiva e stilistica chiamata Bloodborne, per poi cominciare a carpire meglio i cardini delle sue soddisfazioni (meravigliose!) con Sekiro prima e, più recentemente, grazie al mastodontico remake di Demon’s Souls. Fosse anche solo per merito del suo magistrale comparto tecnico, capace di attirare finalmente l’attenzione di un pubblico non propriamente in target all’interno di una realtà nata di nicchia come From Software: quello di massa.
Sono qui con voi (e voi con me), per capire se il nuovo, attesissimo, chiacchieratissimo titolo di From sia riuscito in un’impresa a mio (modesto) parere ben più grande di tutti i suoi predecessori, che gli hanno faticosamente aperto la strada: quella di rientrare nelle grazie di un pubblico critico e attento, a tratti quasi ostico, e decisamente più esteso rispetto al passato.
Mi riferisco a quei fan degli open world fantasy dai tratti occidentali, quelli cresciuti giocando con titoli Bethesda e Blizzard, compilando tabelle di personaggi di Dungeons & Dragons e riempiendo di numeri a matita i libro-game di Lupo Solitario. Quelli che in spiaggia riguardano a ripetizione sui loro tablet serie TV come Game of Thrones (non a caso). Ma anche quelli che, in camicia e occhiali da sole, sul lettino dello stesso lido, accendono ancora e ancora la loro Switch per giocare a Zelda, mentre spiegano al bagnino quanto le avventure di Link continuino a rappresentare le migliori action-adventure rpg di tutto l’ecosistema videoludico (sì…parlano così i Nintendari, ma questa è un’altra storia).
Perché Elden Ring, oltre a catturare con il solo nome di Miyazaki il pool della vecchia guardia soulslike, cresciuta a pane e Berserk (sigh!), con questa pirotecnica firma sulla copertina che esclama a caratteri capitali “R.R. Martin!”, non è che stia mirando poi a un pubblico a caso. Ma su questo, ci soffermeremo più avanti.
Quello che sarà ancora più evidente, una volta scelta la nostra classe e selezionato il nostro dono (già, sono tornati), è che: “aspetta… wooooooow!” Mi spiego meglio: nessun soulslike ha aperto i battenti di un portone mastodontico che si affaccia verso un mondo orizzontalmente e verticalmente esteso oltre misura, come riesce a farlo Elden Ring nei suoi primi istanti di gioco. E non c’è Kratos che tenga, sebbene lui sappia decisamente come aprire per bene i portoni.
E la peluria delle vostre braccia si rizzerà, e l’adrenalina vi scaricherà in vena estasi di prima scelta, e le vostre alte aspettative si sentiranno già soddisfatte, non appena i vostri occhi si riempiranno dei confini infiniti, verdi e sterrati di Limgrave. E parliamo della sola prima area di gioco che incontreremo nel vastissimo mondo di Elden Ring, attenzione. Quella che nei precedenti soulslike poteva intendersi come l’area tutorial, sebbene non lo sia affatto. Anzi.
La sua natura va ben oltre la “trolling area” di Demon’s Souls, quella che ci derideva inginocchiati al suono del primo “You Died”, con quel grassone del Demone Adjudicator che si innalzava su di noi. E supera di gran lunga (sebbene a tratti la ricordi come un gatto dentro Matrix) anche il primo falò del primissimo Dark Souls. Sì, proprio quello dove potevamo impunemente scegliere di scendere verso le nefande acque di New Londo subito…per morire, e morire e morire ancora. Ebbene a Limgrave potremo fare molto di peggio, grazie al doppio taglio di un’arma come il mondo aperto in un soulslike.
Eppure, non ci sentiremo mai sconfitti da un gameplay forzato, o a causa di un nemico poco bilanciato. E questo non è poco: questo è tutto. Perché è inutile nascondersi dietro a un dito: sarà colpa nostra se falliremo. Sempre, e solo, colpa nostra. It’s a training day, mie anime vuote.
Sebbene alla fine della fiera (emozionale ed emozionante), tirando le somme, la mappa di gioco che ci troveremo a sviscerare non sia un open world moderno con tutti i suoi crismi (e sul perché ci arriveremo dopo), tutto quello che ci circonderà dal primo all’ultimissimo minuto di gioco è vivo, mutevole, fluttuante come foglie d’autunno che danzano circondate da fredda e pungente brina invernale.
Ecco, quello è il “wooooooow!” di cui parlavo qualche riga addietro. Quello che vi costringerà a fare screen, tirando fuori il telefono per riprendere lo schermo e mandarlo al gruppo dei vostri amici più stretti. Proprio quello che vi fa aspettare il tramonto davanti all’oceano come avevate già fatto decadi addietro, davanti al primo mondo virtuale che vi ha fatto saltare da una sedia: parlo ovviamente di Grand Theft Auto 3.
Eravamo tutti più giovani, e il passaggio dalla generazione 2D a quella 3D di quegli anni “facilitava” il tutto. Quindi, a maggior ragione, tanto di cappello per chiunque riesca a suscitare emozioni simili ancora oggi, e con un titolo cross-gen, per giunta. Perché questi non sono dettagli, come (di nuovo) in molti erroneamente pensano. Qualcuno ha anche costruito un impero, su questi dettagli. Una certa Rockstar, per esempio.
Ma passiamo ora alla croce e delizia di ogni capitolo targato Miyazaki e soci nell’ultimo decennio: le mazzate di una volta e la sana violenza che hanno definito questa saga dark fantasy del Sol Levante.
Fin dalle primissime ore di gioco, sarà chiaro a tutto il mondo che Elden Ring è la summa di oltre una decade di esperienza, maturata da Miyazaki-san e il suo team, sul rozzo piano degli scontri fisici, innalzando l’asticella di svariati punti in alto per tutti i successori e imitatori del genere che seguiranno. Il sistema di parry funziona finalmente come abbiamo sempre immaginato nelle nostre menti, superando persino gli altissimi trascorsi del remake di Demon‘s. Reattivo, veloce, efficace. Mi ripeto: sbagliare qui è tutta colpa nostra.
Si, proprio sempre. Che combattiate a due mani con grossi spadoni, o preferiate combattimenti lesti e ricchi di colpi di schiena e rotolate ninja, la situazione non cambia: in Elden Ring sentirete il peso di ogni singolo colpo e di ogni parata, persino quando vi ritroverete in groppa al vostro destriero (ah si chiama Torrente. Gran bel nome). Una novità, questa, che aggiunge poi infinite possibilità a ogni scontro, sebbene il puledro alla “guida” risulti spesso scattoso e meno preciso delle nostre fidate gambe.
Il tutto viene reso ancora più interessante e movimentato dalla vivida realtà che ci circonda: nebbia, pioggia, tempeste di sabbia o tormente di neve. Qualsiasi elemento meteorologico che possiate immaginare può diventare nostro amico o nemico, in un attimo, senza preavviso, cogliendoci (o cogliendoli) alla sprovvista. Il tutto mentre magari il sole ha deciso di salutarci proprio adesso, e la luce diventa fatua, tutta d’un tratto. Oppure, l’esatto opposto: con il sole che irradia fatalmente un prezioso scorcio di pietra dove finalmente ritirarci, così da evitare quell’enorme fendente che scende dal cielo, stridendo come un fulmine, brandito a petto in fuori dal nostro barbuto, mostruoso, ma soprattutto gigantesco ennesimo avversario.
E ricordate poi quei “difetti” che vi hanno permesso una decade fa di uccidere un Gargoyle con un arco senza attraversare la nebbia, oppure di duplicare oggetti e armi con un po’ di pazienza e qualche amico fidato? O ancora, di non perdere le vostre preziose anime ragequittando all’ennesimo “You Died” (tasto PS – spegni PlayStation 3)?
Si, proprio quei “difetti” che non avete ritrovato nel bellissimo remake di Bluepoint? Ecco, furbizie simili sono tornate più forti che mai, ora lustrate in pompa magna grazie alle infinite variabili di un mondo esteso come quello di Elden Ring: sono sicuro che fioccheranno presto soluzioni sporchissime nelle varie wiki per superare Boss Battle e non solo.
Dipenderà dai vostri gusti, ovviamente, se apprezzare o meno la scelta di From Software di continuare a permettere questa serie di bassezze ai danni di una IA già di per se non sempre sorprendente (ma spesso al di sopra degli episodi passati). Da parte mia, in quanto giocatore di poker, non posso che essere contento di poter barare, quando serve. E se voi li chiamate difetti, io li chiamo “scelte stilistiche”.
Va sicuramente sottolineato a questo punto che l’assetto col quale immergersi in Elden Ring influirà non poco sull’esperienza di gioco: il gioco è stato testato su una PlayStation 5 su pannello 4K HDR Oled e con delle cuffie dotate di 3D stereoscopico, in modalità performance, ovvero quella che vi garantirà di oscillare a seconda delle situazioni tra i 50 e i 60 fps.
Il suono, in questo nuovo soulslike, è sicuramente più protagonista che in passato. Con il giusto impianto/cuffie vi sentirete raggelare il sangue, scalando taglienti e nebbiose vette in mezzo a cumuli di neve tra violente scariche di vento; così come vi potreste mettere in costume e annaspare, con le mani sudate che tentano di rimanere aggrappate ai vostri pad, mentre attraversate distese infinite di sabbia, con un sole alto e intento a cremarvi passo dopo passo.
Il mio consiglio è di farvi avvolgere dal magistrale comparto audio nel migliore dei modi, affiancandolo col maggior numero di aggiornamenti di schermate per secondo possibile sui vostri monitor, piuttosto che immolare la fluidità di questo immaginifico regno fantasy sull’altare del ray tracing e una maggiore risoluzione generale.
E sebbene comprendiamo benissimo la necessita di rimanere cross-gen in un momento di totale penuria delle ultime console di mamma Sony e Microsoft, non possiamo allo stesso modo non consigliarvi di tenervi in caldo una second-run quando metterete le mani su una console next gen, in caso. Tanto più che l’upgrade è totalmente gratuito e i finali sono multipli, cambiando a seconda di alcune scelte che prenderete nel corso della run.
E infine perché si: con 30 fps in meno e la metà della risoluzione (e dei dettagli), l’esperienza sarà notevolmente ridimensionata, sebbene comunque piacevole (siamo pur cresciuti a pane e 20fps con il primo Demon’s Souls, non dimentichiamocelo). Attualmente, secondo i vari benchmark redatti per il mondo, la versione PC (con la giusta configurazione, sia ben chiaro) è al primo posto, quella PS5 al secondo seguita a ruota da quella Xbox Series X.
Ma ora tralasciamo i tecnicismi e ritorniamo alla nostra avventura. Quello che ho apprezzato sempre più, ora dopo ora dopo ora, in Elden Ring, è il suo continuo farvi sentire a casa vostra, come se fosse un vero e proprio Dark Souls 4…senza mai esserlo veramente.
Anche sulle piccole, enormi, macroscopiche innovazioni lui entra velato, sottile, con un tutorial qui e uno lì. Quasi non ci fa riflettere su come il salto, nei titoli di Miya-san, sia stato sempre un tabù, quasi un trolling in salsa Zelda su 64 (per chi ricorda ancora i salti non salti delle prime avventure di Link in 3D). Eppure ora c’è: da fermo, a cavallo, correndo, dai dirupi. Cambia tutto, stravolge completamente il gameplay (ora così snello e levriero), eppure è allo stesso tempo così naturale che quasi ti dimentichi che sia una novità. Ecco è questa l’essenza dell’evoluzione naturale, non pensate?
O ancora la nebbia delle boss-battle. Tabula rasa, nel mondo aperto. Potreste letteralmente star camminando su di un boss, prima che vi rendiate conto al suo risveglio di dove avete cacciato i vostri maldestri piedi. O potreste non far caso a quella macchia nel cielo che no, non è una nuvola e si, sta proprio scendendo verso di voi. E sembra proprio incazzata nera.
I boss: croce e…no, delizia l’ho già usata, andiamo con malizia: sì malizia di From. Loro, i Boss insomma. Ebbene scordatevi le chiacchierate in voice chat di minuti, decine pure, tra una strategia e l’altra. O di rispondere al telefono perché tanto non ho mica cliccato per entrare: questi sono grossi, vivi e incazzati, gente. E camminano tra di voi, volano su di voi, sbucano dalle pareti e dal terreno. E possono pure permettersi di dormire, in mezzo a voi. Perché quando alzeranno le loro grosse braghe corazzate farete bene a essere pronti, o provare a scappare il più lontano possibile finché respirate.
Vi sembra ancora lo stesso gioco? No? Bene. Perché questo non è che l’inizio delle novità, e di tante innovazioni mascherate da vecchie maschere e menù, che incontrerete. Certo, proprio come le rune che non sono altro che le anime con nuovi connotati, alcune di queste vecchio conoscenze vi aspetteranno identiche nella sostanza ma con nuovi nomi all’anagrafe.
Ad esempio ritroverete i falò, con aspetto simile ma diverso, dove poter eseguir più o meno le stesse azioni: aumentare quindi i vostri parametri e salire di livello, memorizzare incantesimi, gestire l’inventario e così via. Ma anche qui, c’è sempre qualche novità a rimescolare le carte in tavola. Ad esempio, una volta poggiate le nostre chiappe stanche davanti al fuoco fatuo, potremo riposare decidendo a che ora rialzarci e rimetterci in cammino. Oppure, per rigenerare le nostre indispensabili fiaschette, ci ritroveremo costretti ad affrontare gruppi di nemici, piuttosto che aggirarli in cerca di un falò, come in passato.
E ancora, con la barra della resistenza che non si consumerà correndo, camminando o saltando, prima di entrare in uno scontro, saremo ben più invogliati a esplorare ogni centimetro della mappa di gioco. Per non parlare di quest’ultima, che andrà letteralmente composta dai suoi frammenti sparsi il mondo, così da rivelarne le aree meno visibili o accessibili.
Ma ritorniamo alla dinamicità degli scontri che stavamo esaminando prima: esattamente come sarete costantemente circondati dai Boss, lo sarete anche dai ben più comuni (ma non per questo meno ostici), nemici. Un fischio, e sarete al galoppo. Più comodo che andarselo a cercare, il proprio destriero, come un Big Boss.
E mentre calpesterete le terre di Elden, i nemici vi osserveranno, anche da lontano. Si organizzeranno. Chiameranno le truppe con le trombe, mentre risalite folte dune di montagna alla ricerca della miglior strategia d’attacco. Un casino, insomma. Un casino meraviglioso.
E mentre spesso vi ritroverete in fuga da questo mondo vivido, colorato, intenso e sempre intento a farvi il culo a strisce, giungerete in modi rocamboleschi nel cuore pulsante dell’offerta ludica di Elden Ring: i dungeon. Ipnotici labirinti dove ritroverete un mix di tutte le trappole della saga di From (proprio tutte eh!), con una serie di importanti aggiunte e dei cari vecchi amici del passato. Tra questi (udite, udite) persino la nebbia che vi separerà dalle arene dei boss. Si, proprio lei: ora potrete dormire sogni tranquilli. Più o meno. Perché in moltissimi casi ho trovato le boss battle dei numersosi dungeon che costellano la mappa di gioco di Elden Ring ben più impegnativi di quelli che solcano le sue terre aperte. Insomma, dalla padella alla brace.
Dopo un buon numero di ore intraprese nel definire realmente la classe del vostro personaggio, attraverso gli upgrade e l’armamentario (come in passato), esplorando il suo mondo, tirando giù qualche imprecazione colorita come ai bei vecchi tempi, vi renderete conto, alla fine, che il mondo dell’ultima fatica From è quello che oggi definiscono come “open map” piuttosto che un open world. Non troverete infatti la miriade di eventi secondari, opzionali e causali che caratterizzano le più importanti produzioni del genere come The Witcher 3 e i vari giochi targati Ubisoft e Bethesda.
Per schiarirvi le idee, ve la metto più semplice: prendete la spettacolare mappa di gioco di Shadow of the Colossus. Si, quella tutta da fotografare, visitare, esplorare tra i suoi giochi di luci, riflessi e melanconici pantoni. Ora moltiplicatela per X volte in grandezza, insidie e dungeon. Miscelate per bene, ed ecco qui un Elden Ring tutto da bere. Non è così male, vero? Ecco è quello che dico anche io.
Ma non fraintendetemi adesso: Elden Ring non è soltanto un Dark Souls bigger and badder, perché, a essere attenti conoscitori della saga, il primo capitolo della saga di Dark poteva già definirsi a suo tempo un open map. E a dirla tutta, lo è. A cominciare dall’architettura del mondo: precisa, realistica, viva, coerente. Una decade addietro era già possibile vedere gli scorci delle altre tremende aree del suo oscuro regno, nelle giuste prospettive, da dove ci saremmo proprio immaginati di poterle ammirare, con un po’ di conoscenza della mappa.
Il concetto è sempre quello di farvi sentire a casa, mentre vi catapultate all’interno di un mondo completamente diverso.
L’ennesimo esempio? Potrete tirare dritto da un’area all’altra di Elden Ring senza mai affrontare o abbattere un suo Demidio, per la maggior parte del tempo. Pura esplorazione. Ora capite perché eliminare quelle rudimentali nebbie pre-boss? Questo è il concetto di libertà che respirerete vivendo l’ennesimo capolavoro di Miyazaki, e questo, già da solo, uno dei motivi che lo eleva a massima espressione della saga di Souls di From Software. Naturale evoluzione, baby.
Un’evoluzione che eleva verso l’alto ogni piccolo traguardo dei capitoli precedenti per espanderlo spesso e volentieri oltre ogni nostra più rosea aspettativa. Come il sistema di crafting, che ci permetterà di mixare le varie piante sparse con il mondo con gli oggetti più disparati, molto spesso per creare esplosive armi non convenzionali. Non è un’aggiunta fine a se stessa, per intrattenere un pubblico dalla noia facile. Parliamo di un intelligente diversivo per rendere competitivi anche le classi da “Conan il rabbbarbaro” negli scontri a distanza, o quando necessiteranno di infliggere particolari status all’avversario.
Oppure, analizzando uno degli aspetti più amati dalla vecchia guardia, la criptica “Lore” del mondo, scopriremo (entusiasti, almeno per quanto riguarda chi vi scrive) quanto gli stessi NPC giochino un ruolo ben più importante che in passato, sbloccando spesso e volentieri dungeon e percorsi che ci regaleranno importanti ore di gioco e conoscenze su quanto si avvenuto al decadente, medievale, gotico regno di gioco di Elden Ring. A volte un mix del Parco degli Acquedotti di Roma con i migliori scorci della Transilvania.
E amerete l’evoluzione delle abilità uniche delle armi (ora chiamate “Ashes of War”) per quantità, varietà ed effetti. La loro vastità non sarà mai ridondante e spenderete ore e ore per ottenerle, testarle e affinarle. Diventeranno con il tempo il vostro tratto distintivo, la vostra abilità unica. Un vostro fidato compagno. Quella abilità che i vostri avversari in PVP (ci arriviamo tra poco) dovranno temere, una volta che la padroneggerete a dovere.
Queste abilità espandono un gameplay (diciamocelo subito: il migliore gameplay targato From Software, punto, accapo e andiamo avanti) già di per se variegato, rendendo soltanto un brutto ricordo le ore spese in passato nel grinding bendato, salendo di livello dopo livello, nella speranza di poter abbattere il boss che ci blocca il cammino scalando su qualche attributo o impugnando finalmente quell’arma prima inutilizzabile. Questo elimina da solo uno degli aspetti più arretrati dell’architettura di gioco dei soulslike, e scusate se è poco.
Ah, il PVP. Ma vi immaginate di portare a zonzo il rompiscatole di turno tra scalate, galoppate e sbalzi verso l’alto tra mulinelli d’aria, solo per trascinarlo sul vostro terreno migliore, ovvero una trappola ad-hoc? Immagina: puoi.
Nella mia avventura (totalmente blind e solo) l’importazione delle meccaniche stealth da quella pietra miliare chiamata Sekiro trova non solo la sua massima espressione tra le fitte fratte che circondano gli accampamenti nemici, ma anche e soprattutto nelle invasioni di troppo burrascosi (e poco attenti) avversari. Di sicuro, il singolar tenzone sarà una delle questioni che avranno poi importanti ripercussioni nelle successive run del gioco, proprio come la miriade di dungeon che vi sfuggiranno alla vostra prima avventura.
Perché si, sarà inevitabile tralasciare qualcosa durante i primi galoppi al tramonto dell’End Game. Il mondo di Elden Ring è enorme, sinceramente oltre le mie aspettative e, ne sono sicuro, anche oltre le vostre. Immaginate la quantità di nemici e di aree del più grande dei Dark, il controverso secondo capitolo. Ecco, l’intero Dark Souls 2 con le sue espansioni non rappresenterebbe altro che la punta dell’iceberg di questo nuovo masterpiece From Software.
Un gioco che, come analizzavo all’inizio, cercherà di catturare le attenzioni di un pubblico totalmente nuovo alla saga. Ci riuscirà? Sì e no, a dire il vero. Incontrerete aree e dungeon completamente innovative (alcune mi hanno riportato addirittura a Baldur’s Gate, viva la vecchiaia!) per gli standard dei soulslike, ma queste rappresenteranno l’eccezione e non la regola. Perché con una simile mole di contenuti, Miyazaki e soci sono andati incontro a una innumerevole serie di compromessi, per farvi sentire a casa e per consegnare questo gioco prima della prossima generazione di console.
In particolar modo, ne risente il bestiario. Non si contano il numero di Boss e di nemici già visti, con nuovi vesti, addobbi e ciondoli, ma pur sempre già visti. E poi di R.R. Martin, a parte qualche oggetto, qualche dialogo, qualche personaggio e l’altisonante firma di copertina, c’è davvero ben poco qui. Non è Game of Thrones che incontra Dark Souls, ma Dark Souls che si fa una spruzzatina di colonia con Il Trono di Spade. Per fortuna, aggiungeranno molti. E sinceramente, anche io. Ma nutro severi dubbi che i fan degli Stark possano farsi catturare dai toni decadenti, gotici e giapponesi di quello che rimane a tutti gli effetti un action-rpg dark, se vogliamo mettere tutti i puntini sulle loro i.
Eccoci: siamo arrivati alla fine di questo lungo (ma piccolo, considerate le dimensioni) viaggio insieme. Come promesso, senza spoilerarvi nulla se non se non il necessario per trasmettervi nel più efficace dei modi la nostra esperienza con Elden Ring. Ci ha soddisfatti? Oltre misura. Il titolo completo è più convincente e bilanciato di quanto si sia visto con il Beta Test? Decisamente.
Potrei essere sicuramente di parte, nel consigliarvi di smettere adesso di continuare a leggere questo dannato articolo, e correre a prenotare la vostra copia di Elden Ring, adesso. Dopotutto, sono ben di più che un appassionato della saga: sono un suo spasimante. Sono ancora follemente innamorato, oggi come quando ho messo per la prima volta piede nel Nexus. Ma con il passare degli anni, persino questi occhi pieni di amore e ammirazione, hanno lacrimato giuste critiche a una formula non sempre perfetta, non sempre al passo con la sua stessa evoluzione (Dark Souls 2, ad esempio).
Se non siete ancora convinti dopo questa mia sincera e sentita prosa d’amore, qui su GameTime con Elden Ring abbiamo soltanto iniziato: nei prossimi giorni potrete godervi una numerosa quantità di contenuti ad-hoc, e uno tra questi aprirà finalmente le porte alla “GameTime Next-Generation”. Di più, non posso dirvi.
Nel frattempo, a tutti quelli che non hanno bisogno di altro, posso dire soltanto: ci si vede su Elden Ring, anime mie. Siate coraggiose, perché non avrò pietà di voi.