Ci si può veramente stancare dell’eccellenza? È questa la domanda che ci poniamo di fronte a Far Cry Primal, nuovo episodio dell’acclamata serie di Ubisoft (ma inventata da Crytek) che ripropone ancora una volta le sue collaudate meccaniche, seppur collocandosi in un’ambientazione decisamente insolita. Siamo infatti nell’Europa Centrale, circa nel 10.000 A.C. (vi ricorda qualcosa?). Impersoniamo Takkar, Maestro di Belve, che dovrà riportare la tribù dei Wenja all’antico splendore. Una carestia ha infatti mietuto molte vittime tra i suoi membri, per cui dovremo riunirci con gli altri Wenja della terra di Oros. È in questo frangente che Primal recupera la meccanica delle fazioni: infatti, addentrandoci in Oros, troveremo due clan rivali, ossia i cannibali Udam e gli Izila, che cercano di placare gli dei tramite il sacrificio umano. Tra i due fuochi si trovano invece i Wenja, che, bontà loro, sono invece decisamente più pacifici. La premessa narrativa è decisamente intrigante, e immaginiamo che aprirà una moda di esperienze ambientate nella preistoria. Ubisoft si è mossa in maniera saggia, stravolgendo le regole del gioco in virtù del setting, pur mantenendolo sempre riconoscibile e di facile lettura per i fan della serie.
Il gioco si apre con una caccia al mammut, interrotta però da una tigre dai denti a sciabola. È qui che faremo la conoscenza con Sayla, una Wenja ossessionata dall’ombra di un passato tragico, che colleziona le orecchie degli odiati Udam. Sicuramente, fin dalle prime battute di quest’avventura, appare come estremamente lodevole il tentativo di Ubisoft di creare una mitologia coerente, e di ricavare occasioni di storytelling anche in un setting così peculiare. La ricostruzione, ad alto rischio di sembrare “trash” (pensiamo per esempio al 10.000 a.C. di Roland Emmerich), e di risultare distante dal giocatore, è invece sorprendentemente molto coinvolgente. Tutto merito di uno studio decisamente accurato, sia dal punto di vista della direzione artistica che dell’immersione vera e propria: la creazione di un linguaggio preistorico dovrebbe far intuire il livello di attenzione con cui Ubisoft ha affrontato la missione di riportarci all’età della pietra. Anche graficamente il gioco stupisce e impressiona, soprattutto per quanto riguarda la resa della vegetazione e dell’illuminazione.
Sotto quest’impianto, batte sempre tuttavia il cuore sanguigno di Far Cry, per cui ritroveremo un gameplay brutale, reso ancora più viscerale dalla natura selvaggia dei protagonisti. Naturalmente la mancanza di armi da fuoco detta un cambio di ritmo estremo, e Primal si impone come un appagante “what if”, mettendo nelle mani del giocatore arco e giavellotti, e deputando molte situazioni di conflitto al puro melee (che risulta essere, sfortunatamente, un po’ caotico, soprattutto in presenza di più nemici). Rimosso il gunplay, ci troveremo comunque di fronte a situazioni molto sanguinolente, in puro stile Far Cry: il momento della caccia, in particolare, è in grado di far sentire potente il giocatore, e riportarlo allo stato brado.
La caccia costituisce il nucleo del gameplay, e dà la sponda a una certa profondità strategica. Scopo del gioco sarà infatti diventare cacciatori sempre più abili, e per riuscirci dovremo incontrare dei cacciatori esperti che ci consentiranno di apprendere le loro abilità, spiegandoci come seguire le tracce delle belve più pericolose. Questi guerrieri ci spiegheranno non soltanto come abbattere le fiere, ma anche come domarle per farle passare dalla nostra parte, e addirittura come cavalcarle. Se state pensando a Monster Hunter, sì, abbiamo avuto anche noi la stessa sensazione. Non poteva mancare nel pacchetto anche un elaborato sistema di crafting, naturalmente calato all’età della pietra: degli abili “ingegneri” ci spiegheranno infatti come fabbricare degli strumenti di morte, usando i materiali che troveremo sparpagliati nel mondo di Oros. Naturalmente non poteva mancare l’elemento del fuoco (cruciale per la serie fin dai tempi di Far Cry 2), che acquista una rinnovata importanza per il gioco: grazie a questo elemento, infatti, potremo tenere lontane le bestie, ma anche incendiare i villaggi di altre tribù. Molto importante anche l’alternanza del ciclo giorno/notte: quando calerà il sole, infatti, scopriremo che la notte è “oscura e piena di terrori”. Fortunatamente, grazie all’Occhio del Cacciatore, potremo cavarcela anche in questi frangenti.
È chiaro che Ubisoft si è trovata di fronte alla sfida non indifferente di rendere interessante un’ambientazione vasta senza poter contare su sparatorie ed esplosioni. Per questo motivo, il passo del gioco risulta talvolta più statico rispetto ai predecessori. Se la caccia, come abbiamo visto, brilla ed esalta, la parte più debole del prodotto è quindi sicuramente rappresentata dalle missioni secondarie, il più delle volte “fetch quest” piuttosto banali.
Al netto di questa critica, Far Cry Primal è un esperimento riuscito. Lavorare intorno ai limiti ha senz’altro permesso a Ubisoft di rinnovare la formula di Far Cry. Non siamo di fronte a uno stravolgimento totale, ma a una variazione sul tema che appaga e conquista. Tornando all’incipit: sì, ci si può stancare dell’eccellenza, ma Ubisoft è stata brava a nascondere le debolezze, confezionando un prodotto che sembra quasi irriconoscibile rispetto agli altri episodi che portano lo stesso nome.