La prima regola del Fight Club
Un necessario tutorial ci dà il benvenuto nelle peculiari meccaniche di battaglia. Se è vero che l’obiettivo per la vittoria varia da modalità a modalità, dal semplice massacro del team avversario alla conquista e mantenimento di determinate zone, il fulcro è sempre rappresentato dai combattimenti. Vero, nelle partite più vaste sarà possibile scontrarsi contro interi eserciti guidati dalla CPU, ma il piatto forte è un altro. Falciare soldatini come fossero mosche è un’indubbia goduria, ma ritrovarsi faccia a faccia con giocatori in carne e ossa è tutta un’altra storia. Tenete d’occhio quei grossi guerrieri che spiccano sulla marmaglia, quindi, perché potrebbero essere una bella gatta da pelare.
Neanche fosse un film di Sergio Leone, il tempo sembra fermarsi, con i due combattenti che iniziano a studiarsi a vicenda. Solo allora inizia la vera battaglia. For Honor ha creato un intelligente sistema di attacco e difesa basato su tre posizioni principali, interscambiabili tramite analogico destro. Se si attacca un nemico con la nostra stessa postura, questo finirà infatti per parare il colpo. Saremo costretti quindi a intaccare i lati non protetti e continuare così fino alla vittoria. Il metodo funziona, ma non lascia chissà quanto spazio all’apprendimento: una volta presa la mano, il tutto diventa molto meccanico, forse fin troppo. Quasi fosse un rythm-game, il giocatore non dovrà far altro che aguzzare gli occhi e seguire le indicazioni a schermo per poter parare, contrattaccare e poi ripetere il tutto. Non c’è molta tattica o libertà di scelta, considerato come all’infuori dello spezza-corazza non si possa fare chissà quanto altro. Il vincitore, sempre e comunque, è il giocatore dai riflessi più veloci.
Neanche fosse un film di Sergio Leone, il tempo sembra fermarsi, con i due combattenti che iniziano a studiarsi a vicenda