Ghost of Tsushima è un titolo con due compiti abbastanza ingrati sulle spalle.
Il primo è quello di doversi presentare sul mercato a pochissima distanza dal ciclone The Last of Us Parte 2. L’ombra del capolavoro Naughty Dog è ancora ben delineata, sia nei cuori del pubblico che sul mercato stesso. E al netto delle differenze di genere, target e ambizione tra i due prodotti, beh…non deve essere affatto semplice salire sul palco a suonare la chitarra dopo Eric Clapton, o cantare dopo Aretha Franklin.
Il secondo è quello di chiudere la lista delle grandi esclusive Sony di questa generazione. Una lista che ben poche volte ha deluso, ma anzi ha regalato una qualità media semplicemente stratosferica.
Non uno scenario semplice insomma per Sucker Punch, ma la casa di Infamous ha dimostrato negli anni di sapere il fatto suo in fatto di videogiochi d’azione open world.
E per quello che è (a detta dello stesso director Nate Fox) “il gioco più importante dei nostri ultimi dieci anni”, il team ha scelto di non proseguire sulla via già tracciata, ma di puntare su una nuova IP.
Diciamo quindi momentaneamente addio a Cole McGrath e Delsin Rowe, ai superpoteri e alle ambientazioni a stelle e strisce della Louisiana o di Seattle, e diamo il benvenuto al Giappone feudale di Jin Sakai, lo spettro di Tsushima.
Jin è un samurai. Anzi, è l’ultimo samurai rimasto sull’isola di Tsushima, ormai messa a ferro e fuoco dall’invasione mongola dello spietato Khotun Khan.
La battaglia decisiva è stata persa, Jin stesso è vivo per miracolo, e le truppe nemiche stanno mettendo in ginocchio la popolazione, vessandola e schiavizzandola. È solo questione di tempo prima che le ultime difese cadano, e con loro la tenue speranza di respingere l’invasione.
Per diventare l’eroe di cui Tsushima ha bisogno, Jin dovrà reclutare nuovi alleati e rimettere in piedi una parvenza di esercito. Ma dovrà soprattutto scendere a compromessi, diventare lo Spettro, utilizzando ogni tattica di guerriglia possibile e venendo meno al rigido codice d’onore dei samurai che ha sempre seguito.
Una trama dunque molto classica, che si rifà anche nella caratterizzazione dei personaggi alle figure tipiche delle storie di samurai. Storie di onore, giustizia e duelli all’arma bianca, che da occidentali abbiamo amato soprattutto al cinema, nei capolavori di Akira Kurosawa o Masaki Kobayashi.
Esteticamente parlando, il lavoro fatto su Ghost of Tsushima ricorda proprio queste pellicole, ed è davvero di altissimo livello. L’isola è favolosa, un paradiso di alberi di ciliegio giapponese, foreste di bambù e distese di fiori i cui petali volano nel vento al nostro passaggio. E ancora di spiagge e scogliere, di ruscelli e cascate, di sorgenti termali, di paludi e di risaie.
Un vero spettacolo per gli occhi insomma, impreziosito da una uguale cura per quel che concerne il vestiario o l’architettura. I villaggi, i dojo, i santuari e i castelli sono ottimamente realizzati (per quanto spesso gli asset vengano riciclati), e lo stesso dicasi per le splendide armature o le personalizzazioni estetiche dell’armamentario.
Pensare immediatamente a un Kagemusha, a un Ran o a un Harakiri, anche solo guardando un semplice screenshot del gioco, è davvero inevitabile, e non possono esserci complimenti migliori.
Pure le musiche, specialmente in battaglia, sono incredibilmente azzeccate, così come tutti gli elementi e le scritte a schermo.
In tal senso ci è sembrata valida anche l’idea del vento guida, che spira in direzione del luogo da raggiungere andando a sostituire le classiche e ben poco diegetiche linee da seguire in stile gps.
Così come quella degli animali guida (uccelli e volpi), che ci porteranno verso il punto di interesse più vicino.
Il sogno bagnato degli amanti di Zelda Breath of the Wild però, cioè quello di poter giocare senza mai e poi mai aprire la mappa o piazzare un segnalino, orientandosi solo con gli elementi dello scenario, rimane solo un sogno. Il sistema infatti funziona davvero solo durante alcune situazioni di gioco, per esempio mentre si segue una missione, ma è comunque apprezzabile il tentativo.
A ogni modo è una fortuna poter immortalare tutto questo splendore nell’eccezionale photo mode, forse uno dei migliori e più completi mai visti. Le opzioni sono davvero moltissime, e tra i vari filtri e particellari si può anche scegliere di animare le proprie foto lasciando attivi gli effetti del vento su alberi, fogliame o vestiario. Aspettatevi insomma di vedere molto presto dei veri e propri capolavori da parte della community.
Un’altra chicca visiva è la possibilità di affrontare l’intero gioco con una speciale modalità in bianco e nero, chiamata non a caso Kurosawa, che restituisce l’effetto sporco delle pellicole anni ’50 e ’60 andando a influire pure sulla qualità e spazialità dell’audio.
Anche le animazioni, specialmente durante i combattimenti, ricreano perfettamente l’estetica dei film di samurai. Quando ci avvicineremo a un gruppo di nemici potremo decidere di attaccarli senza troppe cerimonie o di sfidarli, ma in ogni caso lo scontro che ne seguirà sarà estremamente coreografico.
Tra frecce che sibilano e spruzzi di sangue, i movimenti di Jin saranno precisi, eleganti e letali come solo un colpo di katana può essere.
E una volta che sarà tutto finito, con la musica che cesserà di battere forsennatamente sulle percussioni, la calma interiore del samurai tornerà a riempire la scena. Una pulita alla lama, un inchino ai nemici caduti, e via, di nuovo a cavalcare verso il tramonto.
Anche i duelli uno contro uno coi boss vengono introdotti dalla classica e supercinematografica alternanza tra campo totale sui protagonisti e dettaglio sulle armi, pronte a essere estratte dal fodero. Un po’ come piaceva a Sergio Leone insomma, che non a caso deve moltissimo del suo stile al cinema di genere giapponese.
Una certa eleganza è ravvisabile anche nel combat system, che si rivela soddisfacente pur nella sua semplicità.
Il sistema è basato offensivamente sulla concatenazione di attacchi rapidi o potenti, ma non esistono combo complesse tra queste due tipologie di colpo, neanche progredendo con le abilità di Jin. Difensivamente invece si può schivare o parare, e nel caso lo si faccia col giusto tempismo si può rompere la guardia dell’avversario per contrattaccare.
Curiosamente manca un sistema di lock del bersaglio, ma va detto che mediamente Jin capisce molto bene il nemico da colpire in base alla direzione che indichiamo col pad. Gli unici reali problemi si hanno negli spazi stretti o negli ambienti chiusi, dove la telecamera tende spesso ad andare in confusione, e per forza di cose noi con lei.
Un combat system abbastanza semplice dicevamo, e infatti quel poco di complessità è da ricercare nelle differenti pose che potremo assumere, sbloccabili andando avanti nel gioco.
Ognuna di queste stance si rivelerà particolarmente efficace contro una sola tipologia di nemico, rompendo la sua guardia più velocemente. Avremo una stance adatta a spezzare le difese degli spadaccini, una per i nemici dotati di scudo, una per le aste o le lance e una per i nemici più grossi.
Il sistema è abbastanza permissivo, dato che non c’è nessuno svantaggio nel pararsi da un nemico mentre si tiene la posa “sbagliata”, ma solo evidenti vantaggi nell’attaccarlo con quella giusta. Insistere a colpire, per esempio, un nemico armato di scudo mentre si è in posa da spadaccini si rivelerà ben presto poco efficiente.
Alcuni colpi poi, segnalati da un bagliore rosso, non possono essere parati; mentre altri, blu, possono essere respinti solo dopo aver sbloccato una determinata abilità. Tutto questo è più che sufficiente a scoraggiare il selvaggio button mashing sul DualShock, in favore di un approccio minimamente più assennato e, appunto, elegante.
La vita di Jin e dei nemici (escludendo i boss) è tarata mediamente verso il basso, anche per sottolineare la letalità delle armi, ma in generale il livello di difficoltà non è affatto proibitivo, nemmeno giocando a difficile.
Per arricchire le possibilità di approccio allo scontro si possono sbloccare con l’esperienza diversi attacchi speciali, ma anche una buona varietà di gadget e accessori, oltre a due tipi di arco.
Potremo lanciare dei letali kunai, usare bombe adesive, frecce infuocate o esplosive. Ma anche fumogeni e altri strumenti di distrazione come petardi e campanellini.
Come dicevamo, Jin Sakai dovrà scendere a compromessi col suo onore, e anche queste attrezzature più da ninja spietato che da samurai onorevole faranno la loro parte.
È proprio su questo dualismo di Jin che dobbiamo cominciare a segnalare, purtroppo, le molte perplessità che Ghost of Tsushima ci ha lasciato sul lato narrativo e, soprattutto, ludico.
Contrariamente a quanto visto nella serie di Infamous, il comportamento di Jin non avrà nessuna ripercussione sulla trama. Là dove Cole e Delsin vedevano variare (pur in modo estremamente basilare e puerile) storia e reazioni degli npc in base al loro comportamento da eroe o da infame, in Ghost of Tsushima non esiste alcun sistema di onore.
Una scelta chiaramente voluta, ma che ci è sembrata un’occasione un po’ sprecata, e forse un passo indietro nel percorso di Sucker Punch.
Appurata la classicità di storia e personaggi (che rimangono godibili), ci saremmo però aspettati qualcosa in più per quanto riguarda la regia durante i dialoghi e le cutscene.
L’omaggio ai grandi del cinema di genere, in tal senso, non può certo definirsi riuscito, e se si escludono l’incipit e la parte finale la direzione si rivela abbastanza fiacca e senza sussulti, molto spesso incapace di trasmettere la giusta epicità anche durante le missioni principali della campagna. Se consideriamo quanto invece siano visivamente riuscite e spettacolari le parti di combattimento in game, il contrasto si fa ancora più forte.
Ma al di là di una narrazione non eccezionale, il reale problema di Ghost of Tsushima, secondo noi, è che quasi tutto quello che c’è di buono nel titolo sia correlato all’estetica, ma pochissimo al reale gameplay.
L’open world del gioco, lo ribadiamo, è meraviglioso da vedere, ma è anche una cartolina.
Non c’è alcuna interazione davvero significativa con l’ambiente, né alcun sistema interno che ne regoli le routine, di fatto inesistenti. La fauna può essere cacciata, ma regala risorse solo nel caso dei due predatori disponibili, gli orsi e i cinghiali.
Il ciclo giorno notte, così come il clima, non ha alcuna reale conseguenza sul mondo di gioco, né sugli eventi casuali che potremo incrociare in giro per la mappa.
Eventi che, letteralmente, si contano sulle dita di una mano, distruggendo qualsiasi possibilità di immergersi nell’ambientazione dimenticando che sia solo un gioco.
Anche buona parte del vestiario, come maschere, fasce, fodere o skin degli archi ha utilità solo estetica, e nessuna influenza sulle caratteristiche di Jin. La cavalcatura è una sola, immortale e priva di qualsivoglia statistica o interazione.
L’unica differenza concreta a livello di equipaggiamento la fanno il tipo di armatura indossata e i vari amuleti, che potremo ottenere completando le missioni principali e secondarie o scalando dei santuari nascosti.
Pure queste fasi, tra appigli e rampini da usare al momento giusto, si rivelano abbastanza semplicistiche. Per quanto riguarda il platforming inoltre, si fa sentire la mancanza di un tasto per calarsi giù dai tetti, specialmente durante le operazioni stealth.
Stealth che manco a dirlo è anch’esso davvero all’acqua di rose, con una reattività, una percezione e una IA dei nemici quasi nulle. Spesso basta girare un angolo per mettere in crisi totale il sistema di ricerca degli avversari.
Come diretta conseguenza di questa eccessiva semplicità, anche il mission design risulta essere estremamente ripetitivo e poco articolato.
Le situazioni proposte sono davvero poche: abbiamo infatti perso il conto di tutte le volte che il gioco ci ha chiesto di seguire le tracce per terra, o di accompagnare un personaggio da qualche parte. E le risoluzioni sono ancora meno: nella quasi totalità dei casi, l’ennesimo scontro all’arma bianca.
Che è anche tutto quello che potremo ottenere dal mondo di gioco a livello di eventi casuali.
In Ghost of Tsushima c’è dunque un divario nettissimo tra tutto quello che riguarda l’aspetto visivo, degno delle migliori produzioni contemporanee, e il gioco vero e proprio, così elementare che avrebbe lasciato un sapore dolceamaro sul palato anche se fosse uscito a metà generazione, figuriamoci adesso.
Se si esclude il combat system, non così incredibilmente stratificato ma comunque spettacolare e divertente, tutto il resto è davvero troppo, troppo basilare, e questo fa apparire il gioco più datato di quanto dovrebbe.
Più che una mancanza di idee, insomma, Ghost of Tsushima paga forse una mancanza di ambizione. Niente nel titolo sembra volersi discostare qualitativamente da quanto già visto in decine e decine di open world delle ultime due generazioni.
È vero: i suoi bassi, specialmente per quanto riguarda l’interazione col mondo di gioco o l’intelligenza artificiale, sono i bassi standard della maggior parte degli open world in circolazione, ma purtroppo ci risulta difficile riuscire a individuare un vero e proprio punto alto della produzione, se escludiamo l’estetica.
Per capirci, Ghost of Tsushima non ha l’immersione totale delle superproduzioni Rockstar, non ha l’interazione col mondo di gioco di Breath of the Wild o Death Stranding, non ha un sistema di spostamento che si fa gioco nel gioco come Spiderman o Just Cause, non ha la complessità delle missioni di The Witcher 3 e non ha nemmeno l’estensione e la densità degli ultimi Assassin’s Creed. Manca insomma il vero alto, il vero picco, l’unicità.
Inutile sottolineare che ci aspettavamo di più da una produzione così a lungo attesa, ma non fraintendiamo: Ghost of Tsushima non è affatto un brutto gioco, anzi, e la nostra recensione non è una bocciatura.
Il titolo rimane sempre più che piacevole pad alla mano, e combattere regala ottime vibrazioni, specialmente se si amano alla follia il setting e le atmosfere, ottimamente ricreate.
Inoltre non bisogna mai trascurare il piacere antico che tanti giocatori provano nel vedere la mappa di gioco riempirsi e completarsi pian piano, raccogliendo collezionabili sempre tracciabili usando gli strumenti in game. Se gli action/adventure open world vanno ancora così forte, dopotutto, un motivo ci sarà.
Ghost of Tsushima insomma, è un videogioco gradevole e dal grande impatto grafico, ma molto, troppo ordinario, specie nel 2020. È un porto sicuro per chiunque non si sia stufato di queste dinamiche di gameplay oramai così già tante volte vissute, ma, a malincuore, non è di certo la chiusura di generazione col botto che ci auguravamo.
E questo, indipendentemente dall’ombra di chi l’ha preceduto.