God of War: 20 anni di pura furia! – Speciale

God of War 25 Anniversario

Galeotto fu quel giorno al Blockbuster di Aosta, venti anni fa, quando neanche sapevo chi diamine fosse Atena! God of War, ma nello specifico Santa Monica, me lo ha fatto scoprire ben bene mettendomi in mano il Vaso di Pandora, facendomi diventare un Dio della Guerra, un alleato dei titani e poi, come nelle più belle storie, in un padre.


God of War: A Tribute to Kratos - Filmato per il 20° Anniversario  [ENG]

Gli Dèi dell’Olimpo mi hanno abbandonato. Ora non c’è più speranza“. Questa frase, formata da due periodi, formata da dodici parole, è probabilmente la più nota tra quelle che ricordiamo quando si parla di God of War. Venticinque anni fa, PlayStation 2 era la console più venduta in Italia, e c’erano la voglia ma soprattutto il desiderio di scoprire nel dettaglio le sue più melodiose esclusive. Santa Monica era uno studio giovanissimo, nato da poco, accolto nell’ecosistema di Sony tra le braccia pronunciate della speranza più cara: rendere God of War non solo un’alternativa a Devil May Cry, ma soprattutto un videogioco dallo spessore differente, con una trama articolata e una violenza gratuita che in determinate situazioni fa sempre piacere.

Ebbene, dopo tutto quel tempo, la piega norrena ha fatto capire tanto di Kratos e della sua complessità. È l’antieroe per eccellenza, degno della più grande tragedia greca mai raccontata. A distanza di così tanto tempo, God of War è la rappresentazione stessa di quella libertà, di quella fiamma imperitura che, dopo il terzo capitolo, pensavamo potesse spegnersi.

Non soltanto PlayStation 2 e PlayStation 3 furono le dirette protagoniste dell’uomo divenuto Dio, ma toccò pure a PlayStation Portable, che accolse tra le sue braccia Chains of Olympus (sviluppato dalla oggi defunta Ready at Dawn) e Ghost of Sparta, con quest’ultimo soltanto disponibile per PSP. È passato tanto tempo da allora, e l’intricato percorso evolutivo di Kratos ha toccato delle vette qualitative enormi, di grande cura, pensate proprio per portarlo a essere ben più di un assassino. È ancora così dopo tanto tempo, e non potrebbe essere altrimenti: non si parla mai spesso della follia che lo ha condotto a commettere i suoi orrendi misfatti, ma si dettaglia soltanto come la sua strada, lastricata di viscere e cadaveri putrescenti, sia l’esatta misura della sua pazzia. Dopo i primi due capitoli del nuovo filone narrativo che ci sta vedendo esplorare la Mitologia Norrena, viene da domandarsi quanto egli sia cambiato davvero.

Il fantasma di Sparta: tra il sangue e l’abbandono della speranza

Kratos, al suo tempo, fu un grande generale di Sparta. Era il guerriero più conosciuto e il più temuto dai nemici. Per garantirsi una vittoria contro un nemico temibile, scelse di accettare la proposta di Ares, Dio della Guerra, a divenire il suo braccio destra sulla Terra. Accettando quel destino, il Fantasma di Sparta non solo ha firmato la condanna a morte dei suoi nemici, ma anche di coloro che amava. In un passo del primo capitolo, viene inoltre dipinto uno scenario sinistro: quando egli, tornando dalle guerre, era impazzito a causa di Ares, trucidò sua moglie e sua figlia, le fiamme sprigionate dalle Lame del Caos, un dono concesso da Ares in persona, rasero al suolo la sua abitazione, fecero cadere sulla sua pelle uno strato di cenere, tanto che lo rese pallido, che lo rese un fantasma.

A quel tempo, non eravamo abituati a storie così brutali. Era tutto piuttosto gioioso, nonostante non mancasse il sangue. Ma nel 2005, però, qualcosa cambiò per sempre e si decise, dunque, di percorrere una strada già intrapresa nel mondo cinematografico e in quello letterario. Kratos non è assolutamente il primo personaggio complesso mai costruito; di nomi arcinoti ce ne sono a bizzeffe, ma è certamente quello più riconoscibile per cosa ha vissuto. Abbandonando la sua umanità e scegliendo la vendetta, inizia un viaggio non verso la redenzione, ma nella vendetta. La vendetta per averlo reso un pazzo armato fino ai denti, un uomo consumato dall’odio. Quanta complessità, nevvero? Santa Monica, nel primo God of War, delineò un protagonista che aveva scelto il sangue rispetto alla pace. Era protetto da Atena, la sua unica amica, la sola a capirlo davvero… ma era abbandonato a sé stesso, con le sue fragilità.

Rinunciare al potere di Ares compromette, difatti, la sua pace interiore. E intanto, mentre Kratos avanza con la speranza di riuscire a impossessarsi del potere contenuto nel Vaso di Pandora per sconfiggere Ares. Il primo capitolo, che ho amato perdutamente, è stato un grande inizio per me e un ottimo modo in seguito di avvicinarmi al prosieguo, che ritengo superiore.

Il Dio della guerra dal potere sconfinato

C’è un momento, in God of War (2018) che trovo splendido: quando Kratos e Atreus esplorano una stanza contenente antiche anfore e manufatti appartenuti un tempo ad antiche civiltà. Non manca quella greca e, nello specifico, è presente per l’appunto un’anfora su cui è rappresentato Kratos che si dà al suo hobby preferito: fare fuori un Minotauro. Sconfitto Ares, diventa il nuovo Dio della Guerra, ma è inadatto a ricoprire quel ruolo e viene deposto da Zeus, che lo tradirà.

Tutte le sicurezze che aveva prima, inclusa l’amicizia con Atena, sono perse per sempre. È un racconto splendido quello del secondo capitolo; lo è grazie a un percorso narrativo eccezionale, definito al suo meglio da una trama profonda e, soprattutto, da un gameplay migliorato. Se siete nuovi utenti di GameTime e la vostra domanda, giunti a questo punto, è cosa diamine è God of War, sappiate che si tratta di un’avventura dinamica in cui il combattimento è il cuore pulsante dell’esperienza, oltre alla progressione. Al tempo la visuale era distante, non come nei videogiochi odierni, con la telecamera puntata sulle dorsali palestrate del Fantasma di Sparta.

Il secondo capitolo, comunque, mi piacque di più. Trafiggere Zeus è stato il mio più grande obiettivo mai raggiunto, e non nascondo che avere avuto a che fare con altrettanti personaggi della Mitologia Greca – come Prometeo – e quelli facenti parte della storia di Kratos. In tal senso, ci sono personaggi minori come Lysandra e Calliope, entrambe presenti in Chains of Olympus.

God of War: l’illusione dei Campi Elisi

C’è un altro momento, in Chains of Olympus, che ricordo bene. È quando Kratos, nel sogno di Morfeo, ritrova proprio Calliope e Lysandra. Non se ne parla mai abbastanza perché riteniamo probabilmente più impattante il rapporto con Atreus (viene automatico), ma il passato di Kratos, specie dopo quello che ha fatto, è ancora oggi un momento assai speciale per chiunque. Lo è soprattutto per chi, al tempo, sapeva benissimo cosa avesse commesso.

Ecco, volete che ve lo dica? Lo trovo uno dei personaggi più complessi in assoluto, ma io non l’ho mai perdonato per quello che ha fatto. Non è assolutamente un personaggio per cui provare compassione. Se avete giocato solamente gli ultimi due capitoli del franchise, sappiate dunque che vi manca un grande, GRANDISSIMO passaggio sul passato del Fantasma di Sparta. All’inizio di God of War 3, per l’appunto, c’è un’introduzione che, ancora oggi, trovo difficoltà a guardare, perché mostra Kratos che trucida sua moglie e sua figlia. È in quel momento che il suo tracollo inizia, quando non comprende cosa sta commettendo e come la sua anima, ormai legata alle Lame del Caos e al potere di Ares, sia sotto il controllo di quel male assoluto. No, Kratos non è stato, in passato, l’esempio perfetto del padre moderno. È stato un uomo che si è fatto consumare dal potere.

Un padre e la sua redenzione

Come accennavo, il percorso esistenziale di Kratos è composto da momenti complessi. Da generale di Sparta a Dio, per diventare nuovamente un padre – ma stavolta senza un Dio che minaccia di consumarlo per sempre. Resta comunque un personaggio debole e smarrito, ma con maggiori responsabilità. Dalla guerra contro l’Olimpo, ha riottenuto soltanto la pace, non negoziabile. E ora un figlio, Atreus, che sta plasmando per proteggerlo e difenderlo da un mondo sempre imprevedibile, totalmente sprovvisto di umanità, dominato da Odino e dai nomi noti della Mitologia Norrena.

Se il capitolo del 2018 ha insegnato qualcosa, è che chiunque può essere redento. E Ragnarok, invece? Lo ammetto: non è il capitolo del franchise che ricordo con maggiore entusiasmo, nonostante la sua conclusione. È un momento che avrei preferito vivere in modo differente. Una volta, per conoscere più da vicino un personaggio, si creavano spin-off e altre aggiunte interessanti. Considerando che Atreus è giocabile in Ragnarok, avrei optato per una scelta diversa anche subito dopo il lancio. Ma immagino che riguarderà il prossimo capitolo del franchise. Basta e avanza Valhalla, la reale novità giunta nel 2023, che permetteva al giocatore di vivere un’esperienza roguelike alla ricerca del passato di Kratos. Già, si rivede il Kratos senza barba, lo stesso che amammo nel 2005. E che amiamo ancora oggi, pur con i suoi difetti… e nonostante i suoi “No”.