Life is Strange: Episode 1 – Chrysalis – la recensione

I recenti scandali del Gamergate hanno avuto, secondo me, un effetto positivo sull’industria. Anche nel nostro settore si è cominciato a ragionare sulla diversità di genere, sulla necessità di includere più punti di vista nei videogiochi… e di scardinare la necessità che i protagonisti siano sempre nerboruti space marine ed elfe discinte. Life is Strange è la risposta a chi sogna un videogioco più maturo e sfaccettato. Il gioco di Dontnod mi ha conquistato fin dal suo setting, intimista e minimalista. Interpretate Max Caulfield, una giovane studentessa che si è trasferita da Seattle alla sua cittadina natale in Oregon. Entrerete a far parte della vita di Max, che è fatta di quei piccoli, grandi drammi con cui abbiamo avuto tutti a che fare ai tempi del liceo. Ma Max non è una ragazza come le altre, è speciale, in quella maniera in cui lo sono tutte le ragazze e i ragazzi della sua età.
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Life is Strange è la risposta a chi sogna un videogioco più maturo e sfaccettato.

E non ci riferiamo alla sua abilità di manovrare il tempo a piacimento, Max è un personaggio complesso, con le sue peculiarità, le sue idiosincrasie, la sua ironia… Era da tempo che in un videogioco non incontravamo un personaggio così ben scritto, e la bravura di Dontnod sta nel riuscire a farci immedesimare in Max, facendoci percepire la sua umanità. Da amante dell’opera di Salinger, non ho potuto fare a meno di notare il cognome della protagonista: Caulfield, come il giovane Holden. E la protagonista di Life is Strange condivide con il personaggio salingeriano lo stesso distacco del mondo, un’attitudine malinconica che permea le atmosfere del gioco. Ho trovato molti punti in comune anche con Bully, il classico di Rockstar, per la sua capacità di inquadrare il mondo scolastico e le sue dinamiche.
Credo che sia già di per sé un grandissimo risultato che un gioco induca il recensore a parlare dei suoi contenuti e del suo messaggio, piuttosto che puramente del suo gameplay.
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Da questo punto di vista, possiamo pensare a un ibrido tra la meccanica dei ricordi di Remember Me e l’impostazione delle avventure di Telltale; vi muovete all’interno di ambientazioni, esaminate oggetti, parlate con i personaggi e intraprendete scelte che altereranno l’andamento della narrazione, tuttavia, dove Telltale riduce all’osso le meccaniche di gioco, Life is Strange rimane comunque attaccato per certi versi alle esigenze del gameplay. Ed è proprio nei momenti “soprannaturali” che il gioco funziona di meno.

Ho trovato molti punti in comune anche con Bully, il classico di Rockstar, per la sua capacità di inquadrare il mondo scolastico e le sue dinamiche.

Avrei preferito un titolo senza derive soprannaturali, alla Heavy Rain? Assolutamente sì, perché Life is Strange funziona molto meglio nei momenti di scambio tra i personaggi, nella loro vita quotidiana, piuttosto che quando Max usa i suoi poteri. Anzi, sono gli stessi poteri a influire sulla narrazione. Uno dei cardini delle avventure Telltale è il famoso “Si ricorderà di questo”, in Life is Strange, al contrario, se l’esito di una vostra scelta non vi soddisfa potrete attivare il rewind e annullarla. Questo priva di peso e conseguenza le risposte che scegliete di dare, violando uno dei principi base della narrazione interattiva.
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Era da tempo che in un videogioco non incontravamo un personaggio così ben scritto.

La meccanica di riavvolgere il tempo funziona anche per i basilari enigmi: potendo tornare indietro, potrete infatti tornare sui vostri passi forti delle nozioni che avete già appreso. Sinceramente, credo che quando si fa una scelta vada portata fino in fondo, così come ha fatto Telltale con The Wolf Among Us e The Walking Dead: sarebbe stato più opportuno rimuovere del tutto gli enigmi e concentrare tutto sulla narrazione. Anche perché il gioco dà il meglio di sé quando si concentra sulla relazione tra Max e la sua amica Chloe.

La protagonista di Life is Strange condivide con il personaggio salingeriano lo stesso distacco del mondo, un’attitudine malinconica che permea le atmosfere del gioco.

Gli scambi con questo personaggio sono tra i momenti meglio riusciti di questo primo episodio, dal momento che mettono Max di fronte a una serie di sensazioni contrastanti: deve fare i conti con il fatto che ha abbandonato la sua amica, e che andandosene via ha compiuto una scelta molto forte da cui non sarà facile tornare indietro. Dontnod si muove agilmente tra cliché e caratterizzazione originale, permettendo così di affezionarsi a queste due ragazze. Per una volta in un videogioco non ci si aspetta di vedere chissà quale finale apocalittico, e prego che gli sceneggiatori non optino per goffi slanci paranormali alla Beyond di David Cage. Questo primo episodio mi ha lasciato con la voglia di volerne sempre di più. C’è ancora tanto lavoro da fare, ma il fatto che per una volta in un videogioco siano l’introspezione e i rapporti umani a farla da padrone, beh, non può lasciare indifferenti.

 

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