
Doveva essere la Terra Promessa degli internauti: un universo virtuale in cui tutto sarebbe stato possibile e, soprattutto, a portata di click. Ad appena quattro anni di distanza dal suo lancio, il sogno più ardito di Zuckerberg ha invece finito per registrare soltanto una trentina di utenti connessi nell’arco di una giornata: un record negativo che non ammette repliche e che costituisce l’ultimo atto di un logoramento progressivo, nell’arco del quale sono andati in fumo investimenti miliardari e la stessa credibilità di Meta, intesa nella sua dimensione corporativa.
La realtà virtuale soccombe alla realtà fattuale
È opinione diffusa che le ragioni di questo tracollo vantino carattere concettuale, ancor prima che strutturale: l’idea di Metaverso sarebbe, ovvero, nata da un assunto socioculturale del tutto errato che attribuiva all’umanità l’impellente esigenza di trasferire la propria quotidianità in un asettico contesto virtuale sovrapposto alla comune esistenza. Il peccato originale va, in tal senso, rintracciato nella semplice premessa del progetto, ovvero quella di proporre un nuovo modo di vivere, lavorare e socializzare ad un pubblico che, molto pragmaticamente, non aveva mai nutrito effettivo interesse verso una virtualità così totalizzante. In assenza di una domanda reale, quella visionaria soluzione che Zuckerberg aveva ideato per semplificare la vita del prossimo ha così assunto gli amorfi connotati di un tool superfluo, per poi retrocedere rapidamente a mera zavorra borsistica.
Già nel 2022, ad appena un anno dal Day One, gli investitori avevano in effetti intercettato l’iceberg a dritta: in barba alle entusiastiche prospettive ventilate dai portavoce di Meta, l’iniziativa stava del resto bruciando capitali sostanziosi in tempi record a fronte di ricavi men che marginali. Tradotto nel gergo Wall Street, il Metaverso è passato da affare del secolo a prodotto tossico in una manciata di minuti: mentre molti sognatori continuavano a prepararsi per la definitiva transizione digitale, gran parte degli investitori di peso avevano infatti abbandonato il vascello di gran lena, onde evitare di finire a picco con esso. Unita alle effettive difficoltà registrate dai team di sviluppo coinvolti nell’opera nel mantenere promesse che diventavano, di giorno in giorno, sempre più irrealisitche, la fuga di capitali ha dunque favorito un rapido scollamento tra visione strategica e sostenibilità economica. Risultato? Pochi utenti attivi, coefficiente di permanenza limitatissimo, coinvolgimento nelle attività proposto men che superficiale. L’esperienza che in fase teorica pareva garantire prospettive rivoluzionarie, si è dunque tradotta in una squallida realtà fatta di stanze vuote, graficamente acerbe e risorse incapaci di assicurare maggior funzionalità della vita ordinaria. La sintesi del fallimento: un guscio vuoto. Una promessa mai mantenuta.
Le IA: un ostacolo non preventivato
L’analisi di un tracollo evidentemente inevitabile, sarebbe in ogni caso incompleta senza far riferimento al fattore che ha piantato l’ultimo chiodo sulla bara di Metaverse. Ci riferiamo ovviamente al boom delle IA e alla conseguente rivoluzione che, oltre ad aver ridefinito in un sol colpo le priorità dell’intera sfera Hi-Tech Globale, ha maturato davvero conseguenze tangibili sulla nostra quotidianità. Di fronte alle capacità e alla fruibilità sfoggiate dalle principali forme di Intelligenza Artificiale la profezia del Metaverso ha difatti smarrito l’ultimo barlume di significato. Se due anni fa era ancora possibile intercettare un vago interesse mediatico per la scommessa di Zuckerberg, oggi non c’è praticamente nessuno disposto a credere ancora nella sua proposta. E forse il primo ad aver riposto il sogno nel cassetto, potrebbe essere stato lo stesso Mark. L’esodo degli utenti, unito alla fuga degli investitori hanno spinto difatti i portavoce del suo impero a ridurre drasticamente i riferimenti alla salute della piattaforma. Ed è assai probabile che presto si farà accenno ad essa solo come ultimo, illustre arrivato nel cimitero delle Rivoluzioni Tecnologiche, di fianco a Stadia, ai Google Glass e a tutti quegli strumenti dal potenziale idealmente straordinario, che si rivelarono però inefficaci all’atto pratico.
È dunque l’ora del De Profundis?
Sebbene si possa affermare che il Metaverso nella forma in cui ci era stato presentato e venduto in fase di pre-produzione non esista più, parrebbe già arrivato il momento di pensare alla sua risicata eredità. Alla stregua di quanto già accaduto per molti altri strumenti la cui appetibilità si rivelò molto meno elevata del previsto, è difatti probabile che parti della tecnologia sviluppata ad hoc e alcune delle scoperte effettuate durante l’elaborazione delle sue feature primarie, potranno tornare utili in campi diversi. Si pensi, ad esempio, alla seconda vita che riuscì insperatamente a trovare in ambito medico un tool come il Microsoft Kinect.
Parallelamente, questo roboante fallimento impartisce ai grandi Signori dell’Hi-Tech una lezione tanto lapidaria quanto elementare: senza una comprovata area di applicazione, obiettivi ben chiari e modalità di impiego che appaiano davvero utili agli occhi dei potenziali acquirenti, anche un progetto senza limiti di budget può naufragare rovinosamente. Va da sé che ogni iniziativa volta allo sviluppo di una tecnologica mirata a rappresentare un benefit irrinunciabile per l’umanità non debba imitare la fantascienza, né inseguire chimere iperboliche, ma solo intercettare esigenze effettive tra le pieghe della realtà quotidiana.










