La verità è che non abbiamo trovato alcun modo meno banale per iniziare questa recensione di NBA 2K21. Gira e rigira, soprattutto quando si tratta di simili saghe sportive, la problematica è un po’ sempre la stessa: il nuovo capitolo non ha cambiato poi molto del precedente.
Il bisogno di questi filoni di ripresentarsi annualmente, spesso, va a braccetto con la concezione che non sia necessario studiare un gioco completamente nuovo ogni volta. Perché dovrebbero, del resto? NBA 2K è apprezzatissimo così, ed è la community stessa a non chiedere stravolgimenti.
Non esiste un modo interessante per trovare una quadra diversa al nuovo progetto annuale di Take-Two, dicevamo. È un more of the same, e non c’è modo di girarci intorno. Forse, però, in questo caso siamo di fronte a qualcosa di meno perdonabile del solito.
Sarà magari che il team si è concentrato maggiormente sulla fantomatica versione next-gen in arrivo tra due mesi ma, lo premettiamo già, non esiste quasi nessun motivo per fare il grande salto da 2K20 a 2K21. Se non, appunto, quello di seguire di pari passo l’andamento dell’online e non farsi trovare impreparati durante la nuova stagione sportiva digitale.
Tutto ciò che di buono era stato fatto in passato, bene o male, è ancora qui.
Purtroppo, NBA 2K21 porta con sé anche i tanti problemi – piccoli o grandi che fossero – che invece intaccavano ciò che, a conti fatti, è ancora la miglior simulazione cestistica sulla piazza. Il classico compitino, insomma, che si accetta con un po’ di amaro in bocca e che denota una certa pigrizia in fase di aggiornamento; oltre che una malcelata malizia per quanto concerne le pratiche più anti-consumatore.
Il feeling, pad alla mano, è leggermente diverso. Se ad un occhio poco allenato il gameplay può sembrare immutato, la verità è che la differenza si nasconde nei particolari. Molte animazioni si legano meglio tra loro, così come la stragrande maggioranza delle azioni richiede più precisione e meno automatismo da parte del sistema.
Personalmente, tendo a creare un personaggio forzuto che controlli completamente i rimbalzi in difesa ma è sempre pronto a penetrare in schiacciata non appena si presenta l’occasione di un buon taglio. A parità di statistiche, volare verso un rimbalzo richiede un posizionamento più preciso e un tempismo più azzeccato che nel precedente capitolo.
Lo stesso possiamo dire per i blocchi (soprattutto quelli attuati dopo uno stop improvviso) e i dribbling, capaci di creare più spazio che in passato ma anche più semplici da fermare. Il fisico e la presenza del giocatore, insomma, sembrano contare un pelo in più nella matematica del gioco: niente più palle che trapassano un ostacolo umano solo perché la sua statistica Ruba è troppo bassa, per dire.
Ma, in fin dei conti, sempre di matematica si tratta. E, purtroppo, ci duole tantissimo far notare come la piaga della microtransazioni sia rimasta invariata.
Per chi non lo sapesse, NBA 2K21, così come i suoi predecessori, può essere definito un Gioco di Ruolo a tutto tondo: un match richiede tanto capacità intrinseche che estrinseche, e se è vero che un buon giocatore può surclassare chiunque anche già solo con un vantaggio tattico, è altrettanto vero che le statistiche completano l’altra metà del quadro. Anzi, forse più della metà.
Statistiche difensive, offensive o di regia possono essere migliorate spendendo la moneta in-game. Giocare, quindi, ci permetterà di potenziarci ulteriormente e di tenere testa ai migliori giocatori online. Crescere con il proprio cestista personale è sempre una grande emozione e, per quanto il grinding sia pesante (e pressante), il gameplay di fondo semi-perfetto non lo rende mai propriamente un peso.
Con NBA 2K21, ancor più che in passato, il tempo vola. Purtroppo, come consuetudine, quasi ogni potenziamento potrà essere acquistato anche con soldi reali. Questo non solo rende il titolo il paradiso delle microtransazioni (e non stiamo parlando certo di un free-to-play), ma anche un vero e proprio pay-to-win. Cosa che a malapena si può perdonare a giochi pubblicati gratuitamente, figuriamoci uno a prezzo pieno.
E ancora una volta, come ogni iterazione recente, la solfa è la stessa: si va online e, considerato quanto male funziona il matchmaking, ci si ritrova fin da subito contro persone che, palesemente, hanno aperto più volte il portafogli.
Vere e proprie leggende del basket tirate su in meno di una settimana un po’ ovunque, tra campetti, Pro-Am e REC. Il risultato? Che si viene schiacciati, se si è disposti a scalare la montagna senza “imbrogliare”. E quando si viene schiacciati da chi ha pagato di più, la frustrazione è sempre dietro l’angolo.
Al giocatore, quindi, si prospettano due possibilità: o si arrende al sistema e paga un ulteriore centone per mettersi alla pari con gli altri, o ingoia fango e lentamente, sconfitta dopo sconfitta, racimola i soldi necessari per definire un personaggio tutto sommato decente. La seconda opzione, però, richiede mesi e mesi di grinding, magari più sopportabili se si punta solo alla carriera; ma non tutti provano la medesima soddisfazione giocando sempre e solo contro la CPU.
Anche perché molti problemi di intelligenza artificiale restano. In linea di massima, i compagni di squadra guidati dal computer sembrano più furbi che in passato: le transizioni tra attacco e difesa funzionano meglio e, a occhio e croce, sanno crearsi spazi in maniera più convincente.
Ma, ad esempio, non sono ancora capaci di marcare degnamente: o perdono l’uomo, o doppiano qualcuno senza motivo lasciando clamorosamente libera la propria marcatura o, peggio ancora, si piazzano davanti all’attaccante alla distanza sbagliata, senza neanche intimidirli. Inutile dire quanto, online, questa cosa venga sfruttata dai tiratori da tre punti.
Anche la storia della Campagna in sé, questa volta incentrata su Junior, cestista fallito che vuole tornare nel mondo del basket per seguire le orme del padre, risulta poco interessante.
Ciò che resta, quindi, sono una modalità online che non ha guadagnato praticamente nessuna aggiunta contenutistica (squadra che vince non si cambia?) e tutte quelle attività collaterali che, a distanza di tanto tempo, richiedono anche loro a gran voce un bello svecchiamento. Parliamo ovviamente del MyTeam, dove ci si battaglia a suon di carte in quella che sembra, quantomeno, una modalità che tenderà a rinnovarsi con l’arrivo di nuove Stagioni.
Ironico come la vera, unica grande novità di questo capitolo fosse il nuovo sistema di tiro, poi prontamente patchato per riavvicinarsi a quello già visto negli anni scorsi. Inclinare lo stick destro, infatti, non richiedeva solo un rilascio con corretta tempistica, ma anche che contemporaneamente si prendesse la mira.
Difficile prenderci la mano; così difficile che la community online si è letteralmente rivoltata già nei primissimi giorni di commercio, costringendo il team di sviluppo a tornare subito alle origini e lasciando morire ciò che, sul lungo termine, poteva davvero essere una vera e propria unicità dell’iterazione 2020.
Se avete giocato a un qualunque NBA 2K recente, quindi, avete automaticamente giocato anche a NBA 2K21.
Nonostante sulla carta non sia sbagliato riproporre con minuscole migliorie (ad esempio i caricamenti sono molto più veloci), ciò che già funziona alla grande, con la next-gen così vicina non ci si può far altro che chiedere se i piani del team per la segretissima versione PlayStation 5 e Xbox Series X non siano in qualche modo più grandi.
In attesa di vedere cosa il futuro ha in serbo per noi, questo NBA 2K21 si propone come un classico capitolo di passaggio che trascina con sé tutti i pregi e difetti del predecessore. Pochissime le novità; terribile, invece, che sia ancora un nudo e crudo pay-to-win.
Perché possiate trovare divertimento nei suoi perfetti sistemi e nel suo incredibile bilanciamento, purtroppo, dovrete sopportare mesi di sconfitte contro milioni di persone che hanno già usufruito del boost a pagamento. E in un gioco competitivo online, questo, non può mai essere perdonato.