Ok, il prezzo è ingiusto

Editoriale Ok il prezzo è ingiusto

Ed eccoci di nuovo qui, ognuno con la sua personale verità agganciata al cinturone, pronti ad alimentare l’eterno mezzogiorno di fuoco sul costo dei videogame. Dopo il trambusto generato da Rockstar Games circa l’ipotetico prezzo di GTA VI, il casus belli emerge stavolta dalla sfera Indie, dove l’attesissimo debutto di Silksong ha sollevato dubbi circa il valore economico che andasse attribuito all’opera firmata dal Team Cherry. A questo giro, non sono stati tuttavia gli utenti a far fuoco, bensì gli addetti ai lavori. Secondo molti di essi, il rispettivo prezzo si sarebbe difatti rivelato troppo basso rispetto al budget stanziato e quindi foriero di uno squilibrio in grado di alterare gli equilibri del mercato indie. Al di là di ogni legittima obiezione posta da professionisti che temono di ritrovarsi costretti a rivedere al ribasso le quotazioni dei propri titoli onde evitare confronti impopolari e delle rivendicazioni di un pubblico entusiasta di poter finalmente beneficiare di un’offerta amichevole, il nocciolo della questione esula in realtà da questa dialettica. A ben vedere, il vero problema è che, nonostante i progressi maturati dall’industria del gaming negli ultimi trent’anni, non esiste ancora un pensiero condiviso sul prezzo da attribuire al prodotto videoludico. Sebbene il mercato abbia idealmente posto dei paletti volti a contenere speculazioni di sorta, gli sviluppatori, i gamer e i produttori continuano difatti ad avere idee piuttosto diverse a riguardo, alcune delle quali fanno spesso riferimento a valutazioni concettuali basate sulla natura stessa del medium.

Chi inquadra il videogame come un semplice prodotto di intrattenimento, ritiene ad esempio che il suo prezzo debba corrispondere a quello di beni commerciali affini, mentre chi lo inquadra alla stregua di un’espressione artistica sostiene che il suo costo dovrebbe esulare dagli standard per dipendere, solo ed esclusivamente, da quanto il cultore sia disposto a pagarlo… Proprio come si trattasse di un dipinto o di un’opera d’artigianato. A queste due antitetiche correnti di pensiero, vanno poi ad aggiungersi le esigenze di una folta schiera di individui totalmente disinteressati al dibattito, secondo cui il costo di un videogioco dovrebbe essere direttamente proporzionale alla longevità dell’esperienza proposta. Il tutto senza dimenticare le recriminazioni di coloro che trovano oltraggioso anche il solo pensiero di dover acquistarlo. In questo marasma di visioni soggettive e pretese più o meno ragionevoli, in cui finiscono per coesistere sia i pirati che i collezionisti delle più esose limited edition, individuare una fascia di prezzo capace di mettere tutti d’accordo è impresa ardua, ma non del tutto impossibile. Secondo alcuni modelli di studio elaborati da società di consulenza finanziaria come Boston Consulting Group e Deloitte tenendo conto di fattori quali bacino d’utenza, costi di produzione e strategie di marketing, in questo momento storico il prezzo di un videogame non dovrebbe superare i 50 euro, con rare eccezioni al rialzo legate a una determinata cerchia di opere con budget superiori alla tripla A. Si ritiene difatti che questa quotazione renderebbe il prodotto accessibile ad una fetta molto più ampia di acquirenti favorendo, a lungo andare, entrate maggiori rispetto alla media contemporanea. Giusto in proposito, studi statistici pubblicati di recente certificano che circa il 40% dei potenziali acquirenti preferisce del resto attendere che un videogame da 79,90 Euro si svaluti o finisca nel cesto degli usati prima di metter mano al portafogli: un dato cui va a sommarsi una percentuale non inferiore al 10% di potenziali clienti che non si limitano solo ad ignorare il Day One, ma finiscono addirittura per non comperarlo affatto.

Alla luce di questi numeri, i produttori farebbero probabilmente bene a rettificare alcune delle strategie abbinate al lancio delle proprie IP e scommettere sull’idea che a prezzi più amichevoli corrisponderebbe un sensibile aumento delle vendite. Ovviamente, a sentir solo parlare di queste teorie, qualcuno ai piani alti di chissà quale azienda scatterebbe senz’altro in piedi urlando che, vista la costante urgenza di rientrare con le spese, adottare quest’approccio sarebbe impossibile… Eppure l’insolita operazione Mafia: The Old Country parrebbe certificare che esistano davvero alternative più vantaggiose del mero price-bombing.

E voi, da che parte state? Qual è il prezzo giusto per un videogame?

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here