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Prey – Hands On

1 Nascita, morte, nascita

Prima annunciato, poi cancellato, poi riprogettato come un completo reboot, questo seguito di Prey ne ha davvero fatta di strada, prima di finire nelle nostre mani. Vero, il gioco non arriverà nei negozi prima di maggio, ma noi siamo riusciti a passare un’intera ora in sua compagnia negli studi londinesi di Bethesda.

Qui, non solo abbiamo potuto provare in prima persona il nuovo lavoro di Arkane Studios – già famosi per la saga di Dishonored – ma ci siamo chiariti le idee su quali siano, effettivamente, gli obiettivi di questo Prey.

Le idee del seguito, come già aveva confermato la casa di sviluppo, sono state definitivamente accantonate in favore di una “rivisitazione” del primo episodio. Parliamo quindi di un prodotto slegato che con il capostipite – o con il fantomatico secondo capitolo poi cestinato – c’entra poco o nulla. C’è un uomo, ci sono gli alieni, c’è lo spazio e le somiglianze finiscono qui. E a dirla tutta, a noi sta anche bene.

Non staremo a parlarvi di come questo gioco sia diventato un Prey quasi per pura casualità, né vogliamo farvi una lezione sul brillante curriculum di Chris Avellone – l’uomo dietro il copione. Sappiate solo che gameplay e sceneggiatura sono nelle mani di alcune tra le persone più competenti dell’intera industria. Noi, consci di ciò, abbiamo mosso i primi passi con il cuore prego di speranza.

Eravamo di fronte a un potenziale mix esplosivo, una mistura di libertà, profondità e puro divertimento che rischiava seriamente di stravolgere il panorama dei giochi in prima persona. Ora, questa convinzione di fa sempre più forte.

Sappiate solo che gameplay e sceneggiatura sono nelle mani di alcune tra le persone più competenti dell’intera industria.

2 Il mondo dentro ognuno di noi

In un universo alternativo in cui Kennedy non è mai stato assassinato, gli Stati Uniti hanno ottenuto accesso alla tecnologia spaziale con largo anticipo. Esplorando l’universo, sono però incappati in una misteriosa e pericolosissima razza aliena, i Typhon, e hanno deciso di contenerla in una base costruita per l’occasione. Talos I, questo il nome della prigione, diventa ben presto una scusamte per condurre ricerche su questi organismi; America e Russia stringono alleanza per studiare e sperimentare sulle creature, e trovano così un modo per trasformarle in denaro.

Coi fluidi prelevati, infatti, le principali super-potenze mondiali hanno messo su un vero e proprio business. Conosciute come “Neuro-mod”, le iniezioni aliene permettono agli umani comuni di superare ogni limite imposto dal proprio corpo e di ambire a un’esistenza superiore. Inutile dirlo, siamo nuovamente di fronte al mito di Prometeo col fuoco.

Ci sono questioni in cui sarebbe meglio non scavare e, ovviamente, tra queste ci sono anche i segreti delle forme di vita extra-terrestri. Il nostro Morgan Yu, a conti fatti, non è nient’altro che una cavia, ma c’è anche dell’altro: una verità ben più oscura dalla quale lo stesso Morgan – inconsciamente – cerca di difendersi.

La sua, apparentemente, è una vita normale. Si alza la mattina, va in elicottero a lavoro – va bene, forse non è così normale – e si sottopone a innocui esperimenti psicologici e motori per portare a casa la pagnotta. Tempo un paio di minuti, però, e ogni certezza sembra crollare. Non vogliamo anticiparvi troppo, anche perché parliamo forse di uno dei prologhi più accattivanti dell’intera storia del videogioco, ma questo Prey va subito a far leva su una tipologia di orrore psicologico più unica che rara.

In molti casi, sembra quasi che sia lui a giocare con noi, e non viceversa. A pochi passi dal New Game, non sapremo più cos’è reale e cosa no, cos’è tangibile e cosa invece è un semplice miraggio inscenato dai malefici scienziati della TranStar. Le sorprese sono tante e si susseguono con un ritmo incredibilmente incalzante, con un ispiratissimo accompagnamento musicale anni ’80 e una regia in-game di primissima qualità.

Il nostro Morgan Yu, a conti fatti, non è nient’altro che una cavia, ma c’è anche dell’altro: una verità ben più oscura dalla quale lo stesso Morgan – inconsciamente – cerca di difendersi.

3 Non chiamatelo sparatutto

Il termine “sparatutto”, a Prey, va davvero stretto. In una sola ora di gameplay, siamo passati dall’esplorazione di un mega-condominio al combattimento corpo a corpo con viscidi aracnidi, dal potenziamento di svariate abilità alla risoluzione di piccoli enigmi ambientali. I luoghi visitabili sono vasti e, a quanto pare, anche ben interconnessi, e le possibilità di movimento davvero molteplici. Eccezion fatta per il prologo particolarmente story-driven, mai ci siamo ritrovati in un corridoio senza avere alcuna possibilità di deviare dal percorso principale.

In Prey c’è tanto da fare e da vedere, e se è vero che curiosare in giro servirà anche a reperire informazioni atte a far luce sulle varie sottotrame, è altrettanto vero che collezionare munizioni e materiali è a dir poco vitale – anche a difficoltà media. Il titolo di Arkane presenta infatti svariati aspetti ruolistici che, in un modo o nell’altro, costringono il giocatore a non affidarsi alla sola prontezza di riflessi. Essere ben equipaggiati è parte integrante del gioco, e impegnarsi in tre o quattro scontri di fila senza rifornirsi di proiettili o kit medici – ve lo assicuriamo – fa sentire il suo peso. Più che a un Call of Duty o a un FEAR, Prey è più facilmente riconducibile a un Bioshock sci-fi, tanto per meccaniche quanto per metodo di racconto.

Le nostre sputafuoco, in realtà, si riveleranno utili non solo per spazzare via la costante minaccia aliena, ma anche per attraversare i livelli di gioco in modi totalmente nuovi. Il cannone spara-colla, ad esempio, lancia una sostanza vischiosa capace sia di intrappolare i nemici che di diventare un vero e proprio punto d’appoggio durante le fasi esplorative.

In più di un’occasione ci siamo resi conto di quanto il gioco fosse aperto a una vasta cerchia di giocatori; una porta chiusa può essere completamente aggirata tramita hacking, o magari aperta con la rispettiva chiave d’accesso, o ancora trovando un’entrata secondaria. Insomma, anche se non siete in possesso dell’apposita abilità, state certi che ci sono sempre un altro paio di soluzioni a portata di mano. Il trucco sta solo nel saperle trovare.

una porta chiusa può essere completamente aggirata tramita hacking, o magari aperta con la rispettiva chiave d’accesso, o ancora trovando un’entrata secondaria. Insomma, anche se non siete in possesso dell’apposita abilità, state certi che ci sono sempre un altro paio di soluzioni a portata di mano.

4 Luce e ombra

I nemici stessi sono continuamente capaci di cambiare le carte in tavola grazie alla propria peculiare natura. Nel corso della prova siamo incappati in un solo tipo di alieno, il piccolo Mimic, e basterebbe già lui ad allontanare Prey dallo sparatutto in senso stretto; parliamo di una caccia al gatto col topo in cui i ruoli si scambieranno a più riprese.

Oltre che schiaffeggiarci con i loro minuscoli tentacoli, questi fastidiosi esserini possono camuffarsi in un oggetto qualsiasi, pezzi d’arredamento compresi, e attendere il momento opportuno per attaccarci di sorpresa.

Divertentissimo il fatto che – in questo caso – Prey premi il giocatore più attento, quello capace di scavare nella propria memoria fotografica e di notare eventuali cambiamenti nel mobilio circostante. Se c’è una lampada o una sedia fuori posto, potrebbe benissimo trattarsi di un Mimic, e stavolta potremmo essere noi ad attaccarlo di sorpresa. Senza considerare il fatto che, in futuro, potremo persino acquisire noi stessi questa abilità.

Difficile considerare Prey un horror puro solo per questo, ma indubbiamente condivide alcune tinte con questo genere, complice anche un comparto grafico all’altezza e un utilizzo di luci e ombre davvero ispirato. Storytelling e gameplay si abbracciano e viaggiano sotto un’unica bandiera. La linea divisoria, in alcuni casi, si fa davvero sottile.

Storytelling e gameplay si abbracciano e viaggiano sotto un’unica bandiera. la linea divisoria, in alcuni casi, si fa davvero sottile.

5 In conclusione

Prey è frutto del lavoro a quattro mani di uno dei migliori scrittori nel campo e di una delle migliori software videoludiche esistenti. E, diciamolo chiaramente, si vede.

Intrigante già dalle prime battute, Arkane promette un’avventura fantascientifica introspettiva e marcatamente psicologica, capace di saltare continuamente tra realtà e finzione, tra tangibilità e sogni a occhi aperti, tra convinzioni e falsi ricordi impiantati. In Prey, nulla è ciò che sembra, dai nemici che si fingono pezzi di mobilio a quello spettacolare panorama cittadino che, in realtà, è opera di un’unica, grande simulazione.

Le prede siamo noi ma, con un pizzico di furbizia, potremmo presto diventare i cacciatori. Non sappiamo quale sia la verità dietro la TranStar, non sappiamo se il gioco viaggerà sempre così in alto, né sappiamo se il lavoro combinato di sceneggiatore e sviluppatori si rivelerà così coeso nel corso dell’intera avventura, ma siamo speranzosi. Dishonored è ormai una realtà già affermata, ma Prey – che ambisce a qualcosa in più – è ancora un grosso punto interrogativo.

Tre mesi ci separano dal suo arrivo nei negozi e, fortunatamente, dubbi e conseguenti speranze saranno presto fugate. Incrociamo le dita, perché con un po’ di fortuna potremmo anche trovarci di fronte al nuovo caposaldo del genere.

Prey - 8 Minutes of Gameplay

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