SNK, tre letterine magiche che solo leggendole faranno drizzare le antenne a molti di voi, ma che probabilmente a tanti altri, i più giovanissimi, non diranno un granché. Ecco, a questi giocatori e a tutti quelli che hanno vissuto su un altro pianeta negli ultimi trent’anni, facciamo un piccolo cenno di storia, solo così possiamo dare inizio alle danze.
Facciamo un breve salto nel tempo, tornando nei gloriosi anni ‘80 e ‘90, quando le sale giochi erano popolate da gente che sgomitava per accaparrarsi la posizione migliore vicino all’ultimo cabinato arcade. Tra i più leggendari e gettonati (letteralmente) spiccavano titoli “made in SNK” come Fatal Fury, The King of Fighters e Metal Slug, quest’ultimo ancora oggi giocatissimo e considerato da molti una sorta di religione videoludica.
Come potete intuire, quindi, quando parliamo di SNK non ci troviamo davanti un pincopallino qualunque, abbiamo a che fare invece con una delle software house nipponiche storicamente più celebri e amate. Un team che per molto tempo ha dato del filo da torcere ad un colosso come Capcom e al suo leggendario picchiaduro Street Fighter, proponendo la propria idea di lotta e di gameplay.
Vi stiamo parlando, appunto, proprio di Samurai Shodown.
Dopo una lunga assenza di oltre dieci anni (l’ultimo gioco, Samurai Shodown Sen, era uscito per Xbox360 nel 2008) torna sugli schermi questa longeva saga, riproponendo alcune chicche storiche del primissimo capitolo risalente al 1993, ma cercando di mettere sul “ring virtuale” anche alcune feature inedite, definendo quest’ultimo Samurai Shodown un vero e proprio reboot.
Sicuramente la prima cosa a farsi notare è un rinnovo totale dell’impatto grafico, che ancora una volta strizza l’occhio al rivale Street Fighter IV e V proponendo una veste tridimensionale dai tratti fumettistici e illustrati (non chiamiamolo cel shading, visto che non lo è), abbandonando quindi gli sprite 2D che per decenni hanno reso celebre un’intera generazione di videogiochi.
Samurai Shodown però non è solo una buona imitazione della concorrenza, ma gode e ha sempre goduto di una propria personalità. A partire da un gameplay tecnico ma comunque molto accessibile e appagante, a tratti lento e strategico, e soprattutto con alcuni elementi distintivi che l’hanno reso riconoscibile: per esempio l’uso di armi bianche studiate per essere in linea con un’idea di gameplay specifica, con il mondo di gioco e soprattutto con i suoi protagonisti.
Abbiamo davanti un titolo che ci permette di affrontare gli scontri in modo differente, a volte sperimentale. La sua natura imprevedibile è capace di far ribaltare totalmente uno scontro: lì dove stavamo per crepare miseramente, ecco arrivare il nostro colpo potente di katana (anche uno solo), portato a segno al momento giusto, che ci salva la vita e ci fa persino vincere il match. Quindi non meravigliatevi se con la pressione di un paio di tasti riuscirete a togliere l’arma all’avversario o persino smembrarlo in due.
Tutto ciò, unito ad alcune parate perfette e ad attacchi caricati grazie alla barra della rabbia (un indicatore fiammeggiante posto nella parte bassa dello schermo) dà vita ad un gameplay vario quel tanto che basta per instillare la curiosità nello scoprire nuove soluzioni e strade, magari più improntate su una linea difensiva o di attacco, o sulle varie distanze dall’avversario, in base al personaggio che stiamo utilizzando.
Ci troviamo di fronte a un buon roster di partenza formato da 13 combattenti classici presi dai primi capitoli della saga, che faranno la gioia dei fan più agguerriti, oltre a un’aggiunta di 3 personaggi inediti, per un totale quindi di 16 combattenti giocabili da subito, tutti rinnovati e aggiornati sia nel look che in alcune mosse.
Sono già in corso anche DLC e Season Pass per darci la possibilità di acquistare ulteriori lottatori, forse un po’ troppi, da far pensare che il titolo sia stato volutamente “troncato” per andare incontro ad una politica di mercato più venale: non sappiamo voi, ma noi a questa strategia di marketing non riusciremo mai ad abituarci del tutto (qualcuno ha menzionato EA?).
Questo “taglio” nei contenuti emerge anche navigando nel menu del gioco, semplice e intuitivo ma davvero ridotto all’essenziale, e che si avvale di pochissime modalità, tutte principalmente improntate sull’allenamento costante delle proprie abilità (da menzionare la modalità Dojo – comunque nulla di trascendentale – dove sfidare l’intelligenza artificiale in un percorso di scontri modellati in base all’approccio del giocatore) e sugli incontri rapidi, che siano offline o multiplayer.
Abbiamo provato qualche disputa online, e la sfida qui inizia a farsi sentire davvero, rendendo il tutto più adrenalinico e autentico. Peccato per qualche problema nel matchmaking e nell’attesa degli scontri, a volte troppo lunga o poco stabile per essere goduta appieno.
Ciò che invece è una vera goduria per gli occhi è lo stile del gioco: Samurai Shodown trasuda Giappone(sità) da tutti i pori, a partire da un voice acting e un’interfaccia volutamente lasciati in lingua originale (ma con testi in italiano), con fondali, trame, colori e ambientazioni ricchi di tradizione nipponica: dunque un immaginario estetico, storico e mitologico tipico del Sol Levante. A parte qualche combattente e qualche riferimento ad altri luoghi della Terra, il vero protagonista di Samurai Shodown è quindi proprio il Giappone stesso, che non viene semplicemente menzionato ma spropositatamente celebrato.
Sia chiaro, nulla che un Ghost of Tsushima non abbia fatto già fatto e portato allo stato dell’arte (specialmente nella modalità foto), ma qui si percepisce quella sorta di autorialità tipica di un team come SNK, che vive e respira dalla nascita questa cultura e che la conserva da sempre nel proprio DNA. Ci riferiamo per esempio alle ombre tratteggiate sulla pelle dei nostri protagonisti, uno stile che ricorda gli schizzi a matita fatti a mano dai più noti illustratori giapponesi.
Se da un lato il fascino artistico del gioco arriva quasi alle stelle, specialmente se siete amanti sfegatati della terra dei ninja e dei samurai, non possiamo dire altrettanto della resa tecnica, un po’ altalenante e di sicuro non proprio al passo coi tempi. La scelta stilistica in parte nasconde (neanche troppo) i limiti grafici e tecnologici dalla quale la stessa SNK non ha saputo svincolarsi. Se le animazioni e le movenze dei personaggi non sono affatto male, molti fondali ed effetti particellari sembrano rimasti a una/due generazioni videoludiche fa.
Un po’ barcollante anche l’ottimizzazione del titolo, sui 60 frame al secondo con risoluzioni che possono arrivare fino al 4K, ma non sempre stabili ai massimi livelli: aspetto che per un picchiaduro tecnico non è assolutamente secondario o da sottovalutare, specialmente negli scontri contro altri giocatori.
Stesso discorso anche per quanto concerne i caricamenti tra un match e l’altro, alle volte inspiegabilmente un po’ troppo lunghi se si considera la tipologia di gioco e il motore grafico non proprio prosciuga-risorse (non è mica Crysis eh!). Abbiamo giocato Samurai Shodown su Xbox Series X e nemmeno la potenza dell’ultima ammiraglia di Microsoft è riuscita nell’intento di farci dimenticare le costanti schermate di loading. In poche parole, non aspettatevi un titolo next-gen.
Samurai Shodown, tra alti e bassi, riesce ancora oggi a farsi notare per via del suo stile iconico e del lungo percorso videoludico che l’ha portato fin qui, mostrandosi in buona forma sia sul fronte stilistico che su quello ludico, ma un po’ meno su quello tecnico e dei contenuti, ridotti al minimo sindacale.
In parte ha anche saputo rinnovarsi efficacemente, portando a un pubblico di giocatori vecchi e nuovi (ma soprattutto affezionati) una formula interessante, ma nella grande arena della concorrenza spietata dei picchiaduro di oggi dovrà lottare duramente per uscirne indenne o vittorioso al round finale.
E voi? Cosa ne pensate di Samurai Shodown?