La nostra recensione di Season: A Letter to the Future, dai canadesi Scavengers Studios.
In Season: A Letter to the Future si scattano foto, si registrano suoni, si visitano luoghi e si riordina il diario di viaggio. Niente nemici, regole o ostacoli di sorta. Niente tempismi, punti esperienza in base alla qualità degli scatti o premi utili in base al completamento del giornaletto.Se già solo leggere questo non vi ha neanche dato la sensazione di star parlando di un videogioco, allora forse dovremmo chiederci in primo luogo cos’è un videogioco. O, quantomeno, cosa stanno diventando.
Se i giocatori più navigati non sono totalmente nuovi a quei prodotti che danno la priorità all’esperienza, piuttosto che all’intrattenimento nudo e crudo, è anche vero che Season: A Letter to the Future è forse uno dei casi più estremi degli ultimi anni, in tal merito. Una riprova che l’interazione può essere sfruttata anche già solo per raccontare qualcosa in una maniera aliena a film, libri o ad alcun altro media.
Quello che vediamo, a questo giro, è una storia che tratta del rapporto dell’essere umano con la morte, l’estinzione e la volontà di essere ricordato. Ma anche cosa significa ricordare a nostra volta chi ci ha preceduto, quanto è importante coglierne insegnamenti per non ripetere i medesimi errori e quanto difficile sia decidere cosa passare alla prossima generazione. E il gameplay, in tal senso, vira completamente intorno a questo semplice ma vastissimo concetto.
Ciò che dovremo fare, insomma, è immortalare un mondo ormai sull’orlo della fine e regalare i suoi ultimi, migliori attimi a chi verrà dopo di noi. Non è tanto cosa è importante per la protagonista quindi, ma cos’è importante per noi videogiocatori. A parte rarissimi casi, saremo infatti noi a decidere cosa ci ha affascinato di più dell’ultima ambientazione esplorata, sia essa un’immagine, un suono o addirittura un commento di un personaggio.
Tutti questi ricordi potranno poi essere organizzati nel diario personale come più ci aggrada, magari abbelliti da particolari che potremo piazzare in tutta libertà. Come dicevamo, fare le foto sbagliate o correre direttamente alla prossima area non ci punirà quasi mai.
Quello che Season stringe con il giocatore, quindi, è una sorta di patto: l’utente dovrà concedersi a lui mettendo da parte la convenienza classica di chi vuole arrivare subito al risultato. Il gioco, invece, ricambia con un mondo sì silenzioso, ma che urla storia da ogni pezzo del background.
La nostra protagonista, in veste di prescelta, è l’unica persona avente diritto a uscire dal villaggio e a esplorare le terre dimenticate. Fuori dalle mura sicure della propria città natale, infatti, vive una distesa di nulla. Villaggi abbandonati, metropoli evacuate, rifugi distrutti; macerie senza vita per una persona qualsiasi, ma testimoni di grandi storie del passato a un occhio più attento.
Ciò che il viaggio vuole trasmettere, fino al suo finale, è il perenne dubbio su cosa significhi vivere o su che senso abbia tutto questo. Su cosa significhi tramandare e, allo stesso tempo, fare tesoro di ciò che ci è stato tramandato. Su quanto breve sia la vita, anche quella delle persone più influenti, ma quanto impatto può avere questa anche dopo la morte dell’individuo. E, soprattutto, sull’importanza del ricordare e del dover custodire anche i momenti peggiori.
Arrivati al traguardo, ciò che resta è solo un compendio di ricordi, visivi e sonori, di ciò che abbiamo visto percorrendo in bicicletta le enorme distese di questo mondo che sta per finire. E il nostro obiettivo, semplicemente, è quello di passare questi “documenti” a chi verrà dopo, impegnandoci a trasportare su carta tutto ciò che più ci ha colpito. E, spesso, è più facile a dirsi che a farsi.
Nient’altro. Tutto qui. Potremmo perdere qualche altra riga parlando di un frame rate ballerino che un po’ rovina la meraviglia dipinta da Season, o di controlli del veicolo un po’ legnosi negli spazi stretti, ma sarebbe una caduta di stile e di intenti. Ancora una volta, è impossibile trattare Season come un gioco normale, e proprio per questo non puo essere giudicato seguendo dei classici canoni.
Al contrario, dategli fiducia e potreste ritrovarvi di fronte una delle avventure più intime e personali degli ultimi anni. La riprova che il videogioco può assumere tante forme e che l’interazione può seguire altrettante differenti strade, per portare su schermo tipologie differenti di avventure che neanche mai avremmo immaginato prima.
Nel peggiore dei casi, troverete un gioco inutile e senza un reale scopo. Nel migliore, finirete per ragionare su cosa implichi vivere pur sapendo che è tutto inutile. E che a volte è proprio vivere questa inutilità, e poi raccontarla a chi prenderà il nostro posto, il vero motivo per cui siamo tutti qui.