Cosa accade se si prova a “dopare” un ragno? Che questo realizzerà una super ragnatela ancor più resistente.
È quello che hanno scoperto i ricercatori dell’Università di Trento nutrendo i loro ragni con un integratore che ha al suo interno del grafene e dei nanotubi di carbonio.
Il grafene è uno strato sottilissimo di carbonio, spesso solamente un atomo. Tra le principali proprietà che lo contraddistinguono ci sono la durezza del diamante e la flessibilità di un foglio di plastica. Questo lo rende un materiale fondamentale nelle ricerca sulle nanotecnologie.
“Il filamento che abbiamo ottenuto è fino a tre volte più resistente dell’acciaio e dieci volte più tenace del kevlar“, ha dichiarato Nicola Pugno, il coordinatore del progetto. Acciaio e kevlar sono considerati tra i materiali più robusti di uso frequente.
“La resistenza è la capacità di sopportare una forza in rapporto alla sezione del filamentomentre la tenacità invece è un concetto che può essere legato alla duttilità. È il contrario della fragilità. In termini tecnici parliamo di capacità di dissipare energia prima di arrivare alla rottura, per unità di massa“, ci spiega Pugno.
Nel caso dei ragni alimentati con il grafene, il diametro della tela andava da cinque a dieci millesimi di millimetro, più o meno come quelle naturali. Se il diametro del filamento arrivasse a un millimetro, la ragnatela sarebbe in grado di bloccare un elicottero.
I ricercatori hanno dato da bere a 21 ragni di diverse specie dell’acqua con grafene o nanotubi di carbonio. Quando gli insetti sono andati a bere, hanno ingerito anche questi materiali.
“I nanotubi hanno prodotto filamenti più resistenti rispetto ai fogli di grafene, che forse erano un po’ stropicciati” spiega Pugno.
Il sogno dei ricercatori è di usare la seta del ragno per fabbricare fibre da usare in medicina, nello sport o in battaglia.
Purtroppo questi filamenti sono ancora lontani dall’uso quotidiano. Gli insetti non tollerano la vita in cattività e se messi uno accanto all’altro si danno al cannibalismo.
Dei 21 esemplari dell’Università di Trento, il 29% è morto prima di iniziare a produrre la sua seta e un altro 24% non è sopravvissuto ai 12 giorni. “Dobbiamo migliorare i protocolli” aggiunge Pugno. “Intanto ci dedicheremo anche a migliorare le proprietà della seta dei bachi una specie molto più agevole da allevare“.
Fonte: Repubblica