Inizieremo questa recensione di Call of Duty: Vanguard aprendo il vocabolario alla parola “Avanguardia”.
Le definizioni che troviamo sono due: la prima è “reparto militare che precede il grosso delle truppe al fine di aprire un varco nei campi di battaglia“. La seconda è “movimento artistico che anticipa nuovi modi espressivi in contrasto con la tradizione”. Se nel primo caso troviamo che il lavoro di Sledgehammer Games abbia centrato il punto, per quanto riguarda il secondo le cose lasciano piuttosto a desiderare.
Call of Duty: Vanguard ci butta subito nel mezzo dell’azione, nello scenario di una Amburgo del 1945 in fiamme. Insieme al sergente Arthur Kingsley e ad altri pochi soldati dovremo dirottare un treno alla ricerca di importanti informazioni sul fantomatico Progetto Phoenix, un misterioso piano militare nazista.
Fin dalle primissime battute la sceneggiatura si basa su due binari narrativi distinti ma organici tra loro: da una parte abbiamo il racconto principale, dall’altra l’esposizione delle backstory di ogni componente del commando d’assalto. Una soluzione non particolarmente innovativa ma che ben si adatta sia alle esigenze di caratterizzazione dei personaggi sia alle esigenze di gameplay.
In un quadro più generale, Call of Duty: Vanguard sembra trarre ispirazione da una consolidata tradizione di racconto di guerra che è stata la base di alcuni film cult (Quella Sporca Dozzina di Robert Aldrich), con personaggi e protagonisti eterogenei e dal profilo militare fuori dagli standard. Pur apprezzando tale impostazione, la scrittura tende a lasciar troppo spazio a pomposità ridondanti e quasi propagandistiche, che appesantiscono un contesto narrativo fatto comunque di soldati, nonostante non corrispondano al modello del milite perfetto.
Il procedere della trama per gran parte del suo svolgimento non offre grandi guizzi, se non nelle ultime fasi, con un finale ben orchestrato e, per certi versi, dai risvolti inaspettati. In particolar modo abbiamo apprezzato le parti dedicate ai personaggi di Polina Petrova e Lucas Riggs, che risultano più curate, con una caratterizzazione più centrata e meno sovraccarica di militarismo spicciolo, ma che non risollevano un andamento piuttosto piatto dell’avventura.
Abbiamo altresì apprezzato alcuni rimandi storici non particolarmente noti, come quella ai Bastardi della Renania. Il buon doppiaggio italiano deve però scontrarsi con un sonoro mal calibrato, che rende i dialoghi difficili da ascoltare in moltissime occasioni.
Il gameplay di Call of Duty: Vanguard cerca di adattarsi alla molteplicità di protagonisti in gioco, caratterizzandosi con abilità specifiche per ognuno di loro. Purtroppo nel complesso, causa un level design non particolarmente vario, queste risultano essere quasi fini a loro stesse.
Solo le sezioni dedicate alla cecchina Petrova paiono essere costruite ad hoc per lo specifico profilo della giovane russa: mappe verticali e scalabilità sono ben presenti (per quanto limitate a zone specifiche e segnalate appositamente), e all’interno di un contesto di linearità generale pervasiva regalano una gradita variazione sul tema.
In definitiva, la sensazione di trovarsi all’interno di un lungo corridoio non viene in alcun modo mascherata, e si percepisce in modo ancor più fastidioso durante le fasi di gioco ambientate in spazi aperti come le foreste.
Il gunplay di Call of Duty: Vanguard è di discreta qualità, con un buon feeling delle armi e una sufficiente implementazione delle funzionalità specifiche del Dual Sense.
L’intelligenza artificiale invece non brilla particolarmente, e durante gli scontri ci è capitato di assistere a scenette che ci hanno strappato qualche sorriso. La maggiore distruttibilità promessa non appare come un elemento che possa dare qualcosa in più in termini strategici, così come la possibilità di stabilizzare le armi o aprire spiragli di visibilità dalle porte, elementi che hanno nella pratica una portata minore di quanto si potesse sperare sulla carta.
A nostro avviso, la scarsa longevità della campagna single player ha ridotto di molto le possibilità di dare il giusto spazio all’uso corale di tutto il gruppo di Vanguard, che risulta essere relegato alla sola fase finale di gioco, la migliore in assoluto. Se da una parte questa risolleva le sorti del racconto, dall’altra non può che lasciare il sapore di occasione sprecata da parte di Sledgehammer.
Per quanto riguarda il multiplayer, spicca il nuovo Ritmo Battaglia, una nuova opzione per la Partita Veloce: questo possiede tre differenti modalità: Tattico, Assalto e Blitz, che aumentano il numero di giocatori presenti in base alla grandezza della mappa.
Altra novità è la Collina dei Campioni: otto squadre di due/tre giocatori che si scontrano all’ultimo sangue. Il resto del menù è quello già ben conosciuto dagli amanti della storica saga di Activision.
La modalità Zombie di Call of Duty: Vanguard, Der Anfang, si pone come una sorta di prequel di Black Ops: Cold War e ci permetterà di scegliere tra i dodici Operatori disponibili. Con una struttura a round, il giocatore si ritroverà ad dover attivare una serie di portali che daranno accesso a varie missioni di difficoltà crescente.
Call of Duty: Vanguard si attesta come un titolo abbastanza conservativo e poco coraggioso nella struttura, nonostante resti un capitolo di buona qualità complessiva.
Sebbene il comparto multiplayer sia il vero core del gioco, avremmo preferito una campagna in single più coinvolgente e meglio raccontata, che potesse entusiasmarci più di quanto non abbia fatto, pur avendone apprezzato le intenzioni e la qualità dei personaggi.
In buona sostanza ci pare che Call of Duty: Vanguard sia più un capitolo di passaggio, o di sperimentazione narrativa, che un titolo sul quale si è creduto realmente fino in fondo.