Parte di coloro che si identificano nella categoria sono più propensi ad atteggiamenti e comportamenti sessisti, razzisti e omofobici. Questo il ritratto dei gamer che viene fuori dallo studio condotto da Take This. Il lungo articolo scientifico – che trovate in originale nel link in fondo – prova a indagare gli effetti sulla comunità dei gamer di quella che, in linguaggio tecnico, viene definita “fusione d’identità”. Di che si tratta? Proviamo a dare una spiegazione molto basilare.
Ognuno di noi ha diverse passioni e tratti caratteristici. Tratti che, nella maggior parte dei casi, si riesce a tenere divisi e a mostrare a seconda del contesto in cui ci immergiamo. In altre parole – quelle di Irving Goffman – riusciamo a “cambiare ruolo” alla bisogna. Certo, ognuno di questi tratti poi va a comporre quel complesso mosaico che è la nostra persona ma, in linea di massima, non ce n’è uno che prevalga sempre.
Cosa succede però quando è una sola di queste “identità” a prendere il sopravvento? Cosa succede cioè quando l’essere “gamer” si sovrascrive a tutto il resto pervadendo ogni altro aspetto della nostra vita? Si ha quella che si chiama “fusione di identità”. Chiariamo, può accadere anche con altri ruoli che “interpretiamo” nel corso della vita o della giornata (cfr. Goffman). Ma lo studio di Rachel Kowert, Alex Martel e Bill Swan si concentra sulla comunità dei videogiocatori.
Kowert prova a rendere più chiaro il concetto attraverso un esempio. La co-autrice dello studio prova a immaginare una persona, un uomo, che ha trascorso tanti anni sotto le armi. Per una persona così descritta, la fusione di identità si manifesterebbe nell’impossibilità di scindere tra il suo ruolo di militare e quello di padre o marito, ad esempio. Secondo lo studio, si tratta di una situazione che è più facile si manifesti proprio in concomitanza con l’appartenenza ad un determinato gruppo sociale per un lungo periodo di tempo.
Non è diverso tra gli appassionati di videogiochi, spiegano Kowert, Martel e Swan. Certo, precisano i tre, non si tratta della maggioranza ma di una percentuale relativamente ristretta. Il punto è che, una percentuale ristretta di una community che conta milioni – se non miliardi – di appartenenti equivale ad un gruppo comunque parecchio numeroso.
In questi casi, spiega lo studio, mettere al centro della personalità e della persona l’essere gamer può condurre a comportamenti di esclusione anziché di inclusione. Questo può condurre ad un più facile attecchimento di idee di tipo estremista col quale si tenderà ad escludere un sempre più ampio numero di persone. In altri termini, è più facile manifestare atteggiamenti misogini, sessisti o razzisti.
Un percorso in discesa, secondo lo studio. Non è un caso, spiegano, che si sia osservato come proprio quello dei gamer rappresenti un bacino di reclutamento per movimenti di estrema destra attraverso alcuni particolari server Discord o gruppi Telegram. Non serve nemmeno spingersi troppo in là per avere qualche esempio concreto. Di alcuni casi di sessismo manifestato da alcuni membri della community attraverso la rete vi abbiamo parlato proprio in queste pagine. A maggio, Wind Tre, in collaborazione con lo streamer Tuberanza, lanciò una campagna di sensibilizzazione proprio sull’argomento sessismo. Ve ne abbiamo parlato in un articolo dedicato.
Fonte: Take This