Under the Waves ci prova davvero a portare sugli schermi non solo un gioco ma prova anche a farci ragionare su temi come la difesa dell’ecosistema marino (il gioco vanta una partnership con Surfirder Foundation) e, soprattutto, l’elaborazione del lutto. Il problema è che prova a farlo utilizzando cliché e stilemi che sanno di già visto, già sentito e già provato fin troppe volte.
E a fronte di questo impegno ambientalista si potrebbe pure perdonare la poca originalità se non fosse per la serie di difetti tecnici (piccoli e meno piccoli) che come stelle marine sul fondale costellano il gioco sviluppato da Parallel Studio e pubblicato da Quantic Dream Spot Light.
Mentre il nostro Luca esplorava i cieli in Starfield, a me toccava immergermi in fondo. Parecchio in fondo.
Premesse e Sinossi, di che parla Under the Waves?
Siamo di fronte a un gioco quasi prettamente narrativo: indosseremo i panni di Stanley “Stan” Moray. Il protagonista, un sommozzatore professionista ed ex attivista ambientale, è stato assunto dalla società petrolifera UniTrench. Dopo un primo incarico normale, accetta di trascorrere un mese vivendo nelle profondità marine.
Dalle scarne informazioni iniziali, apprendiamo che l’idea di Stan non è casuale ed è il risultato di un grave evento avvenuto nella sua vita privata. Un dolore che Moray spera di guarire con il lavoro in solitudine.
Qui si chiudono le informazioni che il gioco ci fornisce in prima battuta. Solo più avanti avremo modo di saperne di più sul passato di Moray e sul perché adesso si trovi in fondo all’oceano. A fare da supervisore, in superficie, l’amico e collega Tim che ci assegnerà i vari compiti da svolgere in fondo al mare.
Gameplay: tanta esplorazione e poca sfida
Il gioco sviluppato da Parallel Studio è un’avventura narrativa da manuale e con pochissimi guizzi originali nella sua esecuzione. Fin dal primo momento, Under the Waves ci immerge nelle meccaniche di base, quelle che poi utilizzeremo durante tutto il gioco che, per ovvie ragioni, si svolgerà per il 99% sott’acqua: a nuoto, a bordo del sottomarino Moon e “a piedi” in alcune specifiche sezioni. Il gioco è suddiviso in giornate scandite dalle task che ci verranno affidate da Tim e che ci condurranno nei vari luoghi del fondale. Ora la riparazione di una struttura, ora il check del funzionamento di un’altra e così via.
Il ventre azzurro del nostro pianeta è sì culla di vita ma anche un luogo dove non mancano alture, ostacoli, grotte, insenature e pareti scoscese. Tutte difficili da individuare con il solo ausilio degli occhi a meno di non avvicinarsi.
In nostro aiuto giungono la minimappa/radar e il sonar, utili anche per riconoscere oggetti e luoghi di interesse. Durante l’esplorazione è sempre bene tenere sotto controllo la mappa ed eseguire una scansione col sonar a intervalli regolari. Il funzionamento è simile per certi versi a quello dell’Odradek di Death Stranding.
Quando saremo a nuoto dovremo tenere sott’occhio il livello di ossigeno presente nelle nostre bombole, pena il soffocamento. A bordo di Moon, invece, bisognerà tenere sotto controllo la quantità di carburante – il cui esaurimento ci impedirà solo di imprimere ulteriore accelerazione – e lo stato di usura delle varie parti. Urtando contro le pareti rocciose, le strutture o le creature sottomarine più imponenti, le varie parti di Moon si danneggeranno. Raggiunto il limite, il veicolo esploderà e il gioco ci restituirà una schermata di Game Over.
Per tutte e tre i parametri sopra elencati (ossigeno, livello carburante, stato di Moon) è possibile avere con sé oggetti in inventario utili a ripristinare lo stato massimo. Stick di ossigeno, kit di riparazione e taniche di carburante possono essere trovati nei pressi delle strutture UniTrench o craftati nel modulo abitativo a patto di possedere i giusti materiali. Questi – divisi per tipologia – sono sostanzialmente i rifiuti presenti sul fondale: plastica, metalli, componenti elettroniche, carbone, alghe infestanti… negli spot dedicati sarà possibile spendere i materiali per ottenere automaticamente oggetti utili al proseguimento della storia.
Completano il quadro alcuni enigmi ambientali di facilissima risoluzione e nelle fasi più avanzate, alcuni momenti di ‘fuga’ rese decisamente più facili col giusto strumento tra le mani.
Dedicandovi esclusivamente alla quest principale raggiungerete il finale in circa 7 ore. Altrettante – circa – saranno quelle necessarie a portare a termine i compiti secondari che vi porteranno a ottenere diversi oggetti e collezionabili. Alcuni di questi ultimi sbloccano dei minigiochi all’interno dell’hub abitativo.
One man’s trash
Is another’s Treasure, recita un detto popolare nei paesi anglosassoni e Under the Waves cerca di promuovere questo messaggio attraverso la meccanica illustrata nei paragrafi precedenti.
A nostro avviso, però, l’obiettivo non è centrato del tutto. Non vi è, infatti, alcuna gratificazione sostanziale nella raccolta dei rifiuti marittimi, quanto meno non di quelli presenti in Under the Waves: infatti, gli oggetti davvero essenziali al completamento della run sono piuttosto economici in termini di risorse richieste, dunque è possibile farne una scorta decente con uno sforzo relativamente ridotto e scarsa sarà anche la reale necessità di avere molti pezzi di ogni cosa.
Il vero oggetto indispensabile è il tubetto di ossigeno. Semplice da realizzare, bisogna essere molto distratti per lasciare il modulo abitativo con una quantità insufficiente di questi oggetti. A bordo di Moon non ne avremo bisogno e, qualora dovessimo averne pochi, spesso all’ingresso delle strutture più grandi se ne trova ancora qualcuno da utilizzare. Le taniche di carburante utili a ricaricare i serbatoi di Moon e i kit per riparare i danni del sottomarino possono diventare oggetti perfettamente superflui con la giusta attenzione. Abbiamo usato un solo kit di riparazione ma mai il carburante.
I potenziamenti per Moon sono sì più esosi in termini di risorse, ma vanno prodotti una volta sola. Tra i vari possibili, solo il laser è necessario al completamento della storia. Non lasciatevi affascinare: non si tratta di un’arma, ma di uno strumento da puntare contro i grumi di petrolio per farli “bruciare” e ridurli in carbone utilizzabile per altro.
Un viaggio onirico
Accanto al già citato animo ambientalista (che pur non brillando si percepisce forte e chiaro), Under the Waves prova a raccontare anche un altro tema altrettanto serio: quello dell’elaborazione del lutto. Non scenderemo troppo nel dettaglio per evitare quanto più possibile di rovinarvi il piacere di scoprire cosa sia successo.
Ci limiteremo a dire che da un certo punto in poi, durante una specifica missione, verranno introdotti alcuni ‘livelli’ simili a un sogno, una visione, o forse una allucinazione provocata da Narcosi e ipossia (carenza di ossigeno). Tali sezioni hanno a che fare col motivo che hanno spinto Moray ad accettare questo incarico in solitudine. Vi basterà semplicemente ‘attraversarli’. Non presentano sfide o altre azioni da compiere.
Al “risveglio” avrete qualche tassello in più per ricomporre il mosaico. A tali visioni non viene mai fornita una spiegazione definitiva e questo lascia spazio alla libera interpretazione del giocatore. A nostro avviso, data la frequenza – a tratti fastidiosa, va detto – e i momenti in cui queste si presentano è possibile immaginarle come una proiezione dello stato d’animo del protagonista.
L’esplorazione dello stato emotivo del protagonista viene affidato anche alle annotazioni del ‘giornale di bordo’ che funge da diario personale di Stan. Anche in questo caso, proprio come in Death Stranding, parte delle conoscenze sul mondo di gioco vengono espresse attraverso questo sistema: fugaci note e appunti provenienti da giornali, registri e altri personaggi. A differenza del gioco di Hideo Kojima, gli appunti qui presenti saranno decisamente meno numerosi e più brevi.
Una elaborazione frettolosa
A giudicare da quanto dichiarato da Parallel Studio, che dedica il gioco a tutte le persone amate scomparse, quello dell’elaborazione del lutto dovrebbe essere il tema centrale del gioco.
Un tema così delicato, però, avrebbe forse necessitato di essere esplorato con cura maggiore rispetto a quanto fatto qui. Stan racconta i suoi dubbi e le sue ansie quasi accennandoli appena. Alcuni aspetti vengono approfonditi poco – e tardi – in due conversazioni con gli altri personaggi e davvero niente di più viene detto nelle note del diario. Questo non ci ha dato lo spazio necessario per empatizzare con Stan, il vecchio lupo di mare.
Il gioco stesso a un certo punto sembra aver fretta di condurci a una conclusione. Anche qui, non vi anticiperemo nulla ma abbiamo avuto la sensazione che Parallel Studios ci stesse tirando addosso alcune informazioni che avremmo dovuto poi utilizzare per compiere una scelta ‘autonoma’ ma senza dare né a noi, né a Stan il tempo necessario per incamerare ed elaborare il tutto con la dovuta calma.
Non viene in soccorso l’interpretazione di Ben Lambert. Già voice actor di due personaggi in Detroit: Become Human, Lambert presta qui la voce al nostro protagonista. Non ci è sembrato di cogliere troppe sfumature né durante le conversazioni via radio né soprattutto durante l’esternazione solitaria di alcuni pensieri.
Siamo certi che l’intenzione di Parallel Studio fosse quella di stimolare una riflessione pad alla mano sul grande tema del gioco facendo porre a Stan domande e dubbi di vario genere. Ma a meno di non aver passato una situazione simile a quella del protagonista – e non lo auguriamo a nessuno – risulta davvero difficile immedesimarsi efficacemente nel suo dolore.
In conclusione: Under the Waves, una bella idea coperta da troppi difetti
Qualche glitch grafico qui e lì come alcuni flash durante le schermate di caricamento o un refresh-rate ballerino negli ambienti al chiuso sono alcuni i problemi tecnici principali che abbiamo riscontrato. Le creature marine che abitano il fondale sembrano ben lontane dall’essere presenze vive e reali. Tolto il già citato Jo, la sensazione che ci è rimasta che quelli in acqua fossero quasi dei cartonati, incapaci di reagire in qualsiasi modo alla nostra presenza.
Ci potrebbe capitare di vedere granchi insistere nel voler camminare contro una parete rocciosa o investire noncuranti tartarughe mentre ci troveremo a bordo di Moon. Similmente si comportano i ‘droni’ operai adoperati da UniTrench. Compiono dei giri prestabiliti durante i quali dovrebbero riparare o controllare alcune strutture. Avvicinandosi si nota come in realtà stiano sostanzialmente saldando l’acqua.
Non benissimo la reazione dei corpi immersi in acqua. Se di Stan percepiamo l’ovvia fatica nel muoversi a nuovo e ancor più coi piedi su una superficie, lo stesso livello di resistenza non lo comprendiamo per altri oggetti. Più che in acqua si potrebbe dire che sembrano immersi nella gelatina: che si tratti di porte in acciaio divelte, cassette in legno o bottigliette in plastica, le vedremo ‘levitare’ ad una certa altezza e non compiete alcun movimento finché non le toccheremo. E anche in quel caso, ci sembrerà di spingerle attraverso la melassa.
Sebbene riconosciamo che si sia deciso di adottare un certo stile grafico nella realizzazione di Stan, non abbiamo potuto fare a meno di percepirlo come ‘posticcio’ immerso nel più ampio contesto di gioco. Abbiamo scelto di seguire la storia con audio in lingua inglese (le altre disponibili sono francese, tedesco e cinese semplificato) e sottotitoli in italiano (dove ci è capitato di riconoscere qualche refuso qui e lì). Allo stesso modo ci è capitato di vedere di tanto in tanto la bocca di Stan andare fuori Sync rispetto alla voce, come accadeva nel doppiaggio e localizzazione per l’occidente di alcuni film di arti marziali orientali.
Ci è capitato più volte di citare Death Stranding nel corso di questa recensione. Lo abbiamo fatto perché ci è parso che Parallel Studios abbia colto più di una ispirazione dal gioco del 2019. Elencarle tutte significherebbe andare a spoilerare sia il titolo di Kojima Productions sia quello pubblicato da Quantic Dream. Rimandiamo dunque questo argomento a una discussione vis a vis da tenersi nella sezione commenti.
A differenza del più blasonato gioco co-prodotto da Sony, quello di Parallel però è ben lontano da centrare appieno i suoi obiettivi: Stan non ci rende mai davvero partecipi del suo dolore e questo ci rende davvero difficile l’ingrato compito di fare il tifo per lui. La parte ambientalista di Under the Waves viene ora sbandierata attraverso i soliti cliché narrativi, ora ‘abbandonata’ alla volontà del singolo senza offrire alcun reale stimolo al suo perseguimento che non sia l’ottenimento dei trofei e degli achievement. Non vi è nemmeno un qualche guizzo originale o variazione sul tema, anche estetico (come nel caso di Venice 2089, ad esempio).
Anzi, a occhio ci sembra di aver individuato il residuo di una idea iniziale poi probabilmente scartata. Nominalmente la nostra storia si svolge tra la fine di marzo e la metà di aprile del 1979. Un 1979 alternativo e tecnofuturistico. Osservando con attenzione il modulo abitativo però è possibile intuire come l’idea iniziale fosse di ambientare Under the Waves nel futuro e precisamente nel 2055. In bella vista, nella nostra stanza c’è un calendario che riporta il maggio di quell’anno con alcuni giorni già segnati come passati. Su una parete, poi, un poster di un evento che nella finzione si sarebbe svolto nel 2010. Insomma, un cliché evitato in extremis, almeno.
Buoni invece alcuni momenti di tensione durante i quali si percepisce effettivamente un po’ dell’ansia che si potrebbe provare nel caso ci si trovasse in fondo al mare in situazioni simili. Anche alcuni degli ambienti hanno il loro impatto visivo che possono generare sensazioni diverse a seconda del momento: ansia, disgusto, claustrofobia ma anche meraviglia. Peccato per una modalità fotografica poco approfondita.
Con Under the Waves, Parallel – piccolo studio parigino – è al suo quarto gioco all’attivo, il primo con un grosso publisher come Quantic Dream alle spalle e il primo a finire su PlayStation e Xbox. È proposto al prezzo budget di 29,99€ su PS5, PS4, Xbox One, Series X, S, e PC.