
Definizione che pare un ossimoro per una crescente rappresentanza di appassionati i quali, pur adorando i videogame, scelgono deliberatamente di viverli in sola forma contemplativa. Piuttosto che attaccarsi a un pad e beneficiare di quell’interazione che è stata da sempre la principale ragion d’essere del videogioco c’è, in altre parole, chi preferisce osservare le performance degli altri, visualizzando anche per ore sessioni in streaming e rispettive controparti in differita.
Di fronte a una fruizione del medium che molti potrebbero trovare quantomeno insolita, si potrebbe erroneamente ritenere che essa sia circoscritta a una minuscola comunità di voyeur, eppure il fenomeno sarebbe ben più esteso di quanto non si creda e addirittura in crescita. Le statistiche non lasciano del resto spazio ad alcuno scetticismo di sorta: nel solo 2024, Twitch ha difatti registrato oltre 15,6 miliardi di ore di contenuti videoludici visualizzati, mentre YouTube Gaming rivela di aver già superato la cifra record di 6 miliardi di visualizzazioni mensili nell’ultimo semestre.
Ma a quale identikit corrisponderebbe, nel dettaglio, la figura del gamer non giocante? In base alle metriche diffuse da Twitch, oltre due terzi del campione analizzato sono di sesso maschile e hanno un’età compresa tra i sedici e i venticinque anni. Molti di essi riconoscono che il gaming sia il loro principale interesse, ma non trovano affatto bizzarro il proprio modo di relazionarsi ad esso. Tra i titoli più ‘visti‘ spiccano, intanto, super classici come Grand Theft Auto V – che nel solo 2024 ha raccolto oltre 1,4 miliardi di ore di visualizzazione – e storici alfieri della fascia Online Multiplayer come League of Legends, Valoran, Fortnite e Minecraft.
Come ampiamente preventivabile in un mondo che fa da sempre una fatica enorme ad accettare qualsiasi variazione dello status quo, il gamer non giocante viene spesso chiamato a giustificare la propria attitudine. Nella maggior parte dei casi, le risposte fornite sono tanto semplici, quanto interessanti: al netto di chi afferma di trovare l’approccio contemplativo molto più rilassante di quello attivo, in tanti lo equiparano a esperienze analoghe universalmente accettate come seguire partite di calcio e altre forme di sport in TV. Secondo alcuni, l’osservazione distaccata delle routine di gioco consentirebbe, tra l’altro, di analizzare elementi come struttura narrativa, direzione artistica, efficacia del gameplay e bilanciamento del grado di sfida con maggior accuratezza perché, spesso e volentieri, il videogiocatore ordinario è troppo ‘distratto‘ da input sensoriali per maturare un giudizio altrettanto oggettivo. In questo senso, la pratica della visualizzazione rappresenterebbe una nuova sfumatura della fruizione atta a elevare la percezione culturale dell’opera… E non è un caso che, quando ci sia da emettere sentenze ed esprimere pareri sotto forma di voti sui portali di meta-valutazione, il gamer non giocante si trasformi in un giudice particolarmente operoso.
Dato che, per definizione, il fulcro assoluto del videogame rimanga l’interazione, persiste ad ogni modo il sospetto che, scegliendo di non giocare, l’utente finisca per svilire il senso stesso dell’esperienza videoludica, esperire le emozioni legate ad essa soltanto di riflesso e vivere il tutto secondo uno schema sovrapponibile a quello del cinema. Il problema è che videogame e cinema sono però due realtà separate da un abisso concettuale esattamente come guardare una partita di calcio alla TV sia tutt’altra cosa rispetto a prendere parte attiva alla sua simulazione. Come sosterrebbe qualsiasi game designer, i videogiochi sono stati infatti creati proprio per consentire all’utente di vivere dinamicamente situazioni al di fuori dalla propria portata e trasformare così il “normal man” in un eroe in grado di salvare mondi, affrontare il male ed esplorare universi modellati col preciso intento di esaltare il coefficiente di interazione.
Quest’ultima riflessione non intende necessariamente delegittimare la figura del gamer non giocante: restiamo anzi convinti del fatto che, di fronte alla versatilità del medium videoludico, tutto sia pressoché lecito. Allo stesso tempo, varrebbe magari la pena di monitorare con più attenzione l’evolversi del fenomeno, perché la sua espansione è senz’altro foriera di un sintomo dai contorni ancora indefiniti sul quale il popolo dei videogiocatori e, con essi, i magnati dell’industria, hanno dovere di indagare più a fondo.
E, giusto in proposito, voi cosa ne pensate?
















