EA cambia proprietà: ragioni e conseguenze dell’affare che ridefinisce i connotati della Gaming Industry

Editoriale Electronic Arts EA Fondo PIF Affinity Partners

L’acquisizione di Electronic Arts da parte di un consorzio guidato dal fondo sovrano saudita PIF, dalla Affinity Partners di Jared Kushner e dalla Silver Lake, ha segnato un punto di svolta epocale per l’industria videoludica mondiale. Siglata per un totale di 55 miliardi di dollari, la compravendita del colosso di Redwood costituisce, di fatto, il formale inizio di un processo di politicizzazione della gaming industry teso a integrare il mondo dei videogame nella scacchiera strategica sulla quale i magnati della finanza internazionale si contendono la leadership economica globale.

Forse perché colta alla sprovvista da un annuncio che è arrivato pressoché d’improvviso, la community dei videogiocatori non sembra aver riservato grande rilevanza a quanto accaduto, limitandosi ad accogliere la notizia come se si fosse trattato di una delle tante manovre speculative che hanno interessato il settore negli ultimi anni. Per comprendere i motivi che distinguono quest’operazione dalle altre e formulare ipotesi credibili circa i possibili scenari che ne deriveranno, occorrerà innanzitutto inquadrare la posizione degli attori in gioco e definire nel dettaglio i loro scopi.

Videogame e Multimedia: il nuovo “Oro Nero”

Sebbene l’acquisizione di EA venga ricondotta a un consorzio di finanziatori, l’elemento di principale interesse della trattativa riguarda il ruolo rivestito nell’affare dal Public Investment Fund. Istituito nel 1971 allo scopo di curare gli interessi finanziari dell’Arabia Saudita, questo fondo sovrano persegue infatti da tempo, e con successo, una profonda opera di diversificazione del business nazionale allo scopo di emancipare la rispettiva economia dal solo monopolio petrolifero.

Nel corso degli ultimi anni, complici proficui accordi intrecciati con i vertici della classe imprenditoriale statunitense, il PIF ha in effetti avviato una campagna di acquisizioni molto aggressiva, che ha permesso ai suoi gestori – e per, estensione, a Re Salman bin Abdulaziz Al Saud – di ottenere quote azionarie rilevanti di aziende legate alle più remunerative industrie del globo. Stiamo parlando di McLaren e Pagani nella sfera automobilistica, di Pfizer in campo farmaceutico, di Cysco Systems in ambito telecomunicazioni, di giganti dell’energetica come Eni e Suncor, nonché di Uber in fatto di trasporti, Facebook in zona social network e Boeing per quanto concerne il settore dell’aviazione commerciale: tutti brand dal valore di miliardi di dollari che, uniti assieme, assicurano alla corona saudita il controllo di un impero economico senza confini geografici né limiti pecuniari.

Nell’ottica di questa inarrestabile campagna espansionistica, l’acquisto di Electronic Arts assume connotati lineari: stabilito che quella dei videogame sia una delle realtà più salubri nel panorama industriale mondiale, mettere le mani su uno dei suoi pilastri portanti costituirà infatti un’ulteriore opportunità di capitalizzazione, nonché l’accesso a un palcoscenico mediatico attraverso cui poter ridefinire la percezione generale della cultura mediorientale.

Lo zampino di Donald Trump e il nuovo ruolo del videogame

Come ampiamente dimostrato dalle continue e proficue visite del Presidente degli Stati Uniti a Ryad, esiste un legame diretto tra gli interessi economici del fondo PIF e quelli della famiglia Trump, e la co-acquisizione di Electronic Arts finirà senz’altro per rafforzarlo, assicurando alla frangia più estrema della leadership repubblicana statunitense una corsia preferenziale nella stipulazione di futuri accordi economici con Salman bin Abdulaziz Al Saud. Ai vertici di Affinity Partners, ovvero la seconda compagnia convolta nel consorzio che ha rilevato il colosso del gaming, siede del resto Jared Kushner, imprenditore yankee di idee politiche assai radicali, noto anche e soprattutto per essere il marito di Ivanka Trump, figlia prediletta del succitato Donald. È piuttosto evidente che l’affare EA costituisca dunque una grossa opportunità per le tasche del numero uno della Casa Bianca: la joint con PIF stabilisce, difatti, un ponte finanziario tra il capitale saudita e quello americano che, oltre a garantire risorse economiche supplementari, assicurerà a Mr.Trump la potenziale occasione di sfruttare i videogame come supplementare propulsore ideologico.

Sebbene Silver Lake venga identificata come l’anello debole della triade, quest’ultima rivestirà un sensibile compito strategico: ennesimo satellite dell’impero trumpiano, la società espanderà la sua già rilevante influenza nel ramo dei media interattivi affiancando all’amministrazione delle operazioni di Tik-Tok su suolo statunitense, la gestione degli asset multimediali EA i quali, come sappiamo, comprendono decine di milioni di utenti world-wide.

Alla luce di quest’analisi emerge un disegno fosco che prelude alla fine dell’era in cui il videogame venisse percepito solo come una piattaforma limitata all’area intrattenimento. Stiamo, in altre parole, per assistere all’avvento di un profondo processo di mutazione al termine del quale esso avrà assunto i connotati di un’infrastruttura tecno-culturale tesa a veicolare suggestioni politiche e attrarre un numero sempre maggiore di investitori oligarchici o para-statali interessati a sfruttare il medium come strumento di propaganda e fondo cassa.

Futuro prossimo e remoto

Logicamente, una metamorfosi di questa portata non può concludersi dall’oggi al domani. È in tal senso verosimile che per i prossimi mesi, se non addirittura anni, gli effetti di questo terremoto saranno relativamente percettibili. È opinione diffusa che, nelle sue prime fasi operative, la nuova proprietà potrebbe addirittura comportare un rilancio d’immagine per Electronic Arts: grazie all’iniezione di nuovi capitali, l’azienda avrebbe ad esempio accesso a risorse utili ad accelerare il proprio sviluppo tecnologico, sperimentare l’implemento di nuove forme di I.A. ed espandere i propri confini operativi persino al di fuori della gaming industry.

Col passare del tempo e soprattutto in vista di un rafforzamento del ruolo di PIF di fronte al naturale epilogo della carriera politica di Donald Trump, lo scenario potrebbe tuttavia cambiare rapidamente, mettendo a rischio gli equilibri stessi della produzione. Secondo il parere espresso da autorevoli fonti di ricerca universitaria, MIT e Harvard in primis, il peso del capitale saudita e le rispettive ingerenze culturali finiranno, ad esempio, per incidere significativamente sulla libertà creativa degli studi di sviluppo. Essendo relativamente interessata al valore artistico del videogame o alla promozione di progetti sperimentali, la nuova dirigenza potrebbe inoltre scegliere di inasprire la politica della monetizzazione dei contenuti, trasformando i videogame di domani in una versione deluxe delle vecchie Slot Machine.

In attesa di comprendere meglio che ruolo andranno a ricoprire Jared Kushner e la sua Affinity Partners nel momento in cui l’ingombrante suocero sarà costretto ad abbandonare lo studio ovale, non potremo far altro che assistere all’evoluzione delle cose con una sola certezza in pugno: l’acquisizione di EA da parte delle summenzionate realtà imprenditoriali non rimarrà un episodio isolato, ma passerà agli annali come il primo atto di una rivoluzione radicale che saluterà presto l’arrivo di nuovi predatori intenzionati a trasformare la gaming industry nel proprio terreno di caccia.

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