La pirateria videoludica nell’era della fruizione digitale – Editoriale

pirateria videoludica e fruizione digitale

Croce degli sviluppatori e delizia di milioni di videogiocatori che, grazie ad essa, hanno potuto esplorare la galassia del gaming viaggiando pressoché a gratis, la pirateria videoludica ha rappresentando per decenni un fattore in grado di influenzare l’assetto dell’intero settore. Si può infatti affermare che il successo di molti sistemi da gioco, così come la rovina di altrettanti developer siano dipesi dalla sua tentacolare diffusione. Col progressivo sopravvento di sistemi di fruizione basati sull’utilizzo di account registrati, lo spostamento dell’asse di vendite verso i contenuti digitali e il proliferare di titoli la cui accessibilità risulti legata alla connessione con server ufficiali, i filibustieri del silicio si sono tuttavia ritrovati ad affrontare ostacoli molto più complessi che, in diversi ambiti, hanno contribuito a ridurre sensibilmente i rispettivi margini di manovra. Sebbene i più ritengano che il principale nemico dell’industria dei videogame sia oramai confinato all’orlo esterno del business, esso seguita in realtà a operare con discreto profitto, sfruttando a dovere ogni minima falla presente dei circuiti di sicurezza. Come illustri opere di letteratura e celebri figure storiche ci hanno insegnato, il pirata è del resto un essere duro a morire: scaltro come una faina, egli è infatti capace di escogitare trucchi sempre nuovi per ottenere ciò a cui mira, scegliendo sempre con cura quando, come e, soprattutto, dove colpire.

Vecchie rotte e nuove strategie di saccheggio

Con le restrizioni applicate in contesti dai confini più marcati come la scena console, gran parte della pirateria odierna veleggia lungo le sterminate coste del mercato PC e, pur non macinando più i ciclopici numeri di una volta, continua a far discreta cassa. Secondo un recente report condotto da Irdeto, una delle principali aziende di cybersecurity di settore, circa il 25% dei giochi scaricati ogni anno deriverebbe, ad esempio, da fonti illegali e le piattaforme a trazione Windows risulterebbero le più vulnerabili.

Nonostante l’adozione di contromisure ad alto rendimento quali i DRM (Digital Rights Management) rappresentino un deterrente efficace contro svariate forme di violazione, l’accesso globale alla Rete, unito al massiccio utilizzo di VPN e altri strumenti di de-identificazione, favorirebbe difatti agli utenti l’opportunità di scaricare software contraffatto tramite torrent o siti di file sharing, mantenendo il rischio di intercettazioni entro parametri accettabili. A ulteriore vantaggio degli stessi, subentrerebbero quindi flussi di link, aggiornamenti e patch alimentati da community conniventi che sfruttano i più comuni canali di comunicazione online: una deriva cui i responsabili di app quali Discord promettono da tempo di porre argine, senza effettivi risultati.

Se l’area più colpita dalla pirateria si conferma essere quella del retrogaming, dove le percentuali di diffusione delle ROM illegali superano il tetto del 75%, le statistiche sottolineano che uno dei principali fattori di proliferazione del fenomeno consista nel discontinuo sostegno di cui godono gran parte dei titoli il cui utilizzo dipenda della Rete: non appena gli sviluppatori smettono di supportare attivamente un dato progetto mediante il rilascio di update, le misure di protezione calano difatti in modo significativo, offrendo al pirata una preda molto più facile. A differenza di quanto accadeva ai tempi in cui il software fisico rappresentava l’unica forma di distribuzione dei videogame, il passaggio al digitale avrebbe pertanto contribuito soltanto a restringere l’area di influenza di un problema che riemerge però subdolamente tra le pieghe di un sistema in cui il confine tra legittimo e illegittimo risulta sempre più effimero.

Un futuro di restrizioni

Stabilito che la pirateria videoludica sia tutt’altro che sconfitta e che il suo impatto costi comunque all’industria una cifra pari a circa 4,5 miliardi di dollari annui, è ovvio che al fine di tutelare le proprie IP i produttori di videogame cercheranno di spingere ancor di più sull’acceleratore delle restrizioni. Allo stato attuale delle cose, si guarda con interesse ai dati vendita provenienti dai prodotti che supportino il cross-play in ottica multiplayer: a quanto pare, l’implemento di questa feature parrebbe difatti costituire un concreto incentivo all’acquisto di software originale. Parimenti, ci si attende un ulteriore spinta al processo di accentramento dei contenuti digitali verso servizi quali Game Pass, PS Now e ad ogni altra piattaforma streaming che assicuri politiche di controllo capillari. Una sferzata potenzialmente definitiva all’influenza della pirateria, dovrebbe quindi giungere dall’implemento di IA espressamente concepite per identificare ogni opera di contraffazione… Anche e soprattutto quando quest’ultima dovesse rilevarsi troppo sofisticata per gli strumenti di vigilanza ordinari. È chiaro che a ogni azione corrisponderà una reazione: in tal senso, l’idea che il sistema riesca a liberarsi una volta per tutte del problema continua a vantare connotati utopistici. Noi, restiamo nel frattempo convinti del fatto che la lotta alla diffusione di software illegale passi anche dall’adozione di una politica dei prezzi più ragionevole, si tratti del semplice costo dei videogame, degli abbonamenti ai servizi streaming o dei costi inerenti a DLC e contenuti extra.

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