Saraba, Itagaki-sensei

Tomonobu Itagaki morto editoriale

Ultime parole. La fiamma della mia vita va ormai spegnendosi. Il fatto che questo messaggio sia stato pubblicato significa che il momento è finalmente giunto. Non sono più in questo mondo. La mia vita è stata una successione di battaglie. Ho continuato a vincere. Ho anche causato molti problemi. Sono orgoglioso di aver combattuto fino alla fine, fedele alle mie convinzioni. Non ho rimpianti. Sono solo molto triste per non essere riuscito a consegnare nuovi lavori a tutti i miei fan. Mi dispiace. Così è la vita. So it goes.”

Un messaggio di commiato degno di un samurai, le ultime parole di Tomonobu Itagaki sono apparse sui suoi profili social nella mattina dello scorso 16 ottobre, lasciando la comunità del gaming scossa e disorientata. Il folle ronin di Tokyo non era, del resto, un designer come tanti altri, bensì una vera e propria rockstar prestata al mondo dei videogame. Eclettico e indomabile, carismatico e ambizioso, nonché refrattario ad ogni sorta di compromesso, Itagaki-sensei non conosceva mezze misure, sia nel privato che nel lavoro: occhiali da sole inforcati anche di notte, giacche appariscenti, dichiarazioni schiette e polemiche frequenti si contrapponevano, in tal senso, a una sensibilità rara ed alla costante ricerca dell’equilibrio tra poesia e carnalità, violenza e bellezza. Perché, in fondo, “Così è la vita”: pericolosa come la lama di una katana, incantevole come i petali dei sakura e breve come un gemito, che sia di piacere o dolore. Tanto nel vissuto quotidiano quanto nel processo di creazione di un universo di gioco, lo scopo resta pertanto il medesimo: generare l’armonia attraverso le dissonanze. Ecco dunque l’integerrimo rigore delle arti marziali sposarsi con i corpi ipersessualizzati delle lottatrici di Dead or Alive, ed ecco le crude scie di sangue che seguono i fendenti di Ryu Hayabusa mescolarsi all’immacolata fragilità dei ciliegi in fiore. “Sangue e fiori”, come amava ripetere al suo pubblico: “Due elementi che non devono mai mancare nella visione di un artista.”

Puntualmente, quest’endemica tendenza a cercare la dimensione estrema delle cose avrebbe comportato inevitabili conseguenze: rapporti difficili con i colleghi, frizioni costanti con i produttori e, nel dettaglio, l’odiosa nomea da piantagrane, rea di averlo via via trascinato ai margini di un sistema che fa ancora molta fatica a confrontarsi con personalità istrioniche. Dal suo allontanamento dal Team Ninja, determinato anche e soprattutto dall’accusa di presunti comportamenti inappropriati sul luogo di lavoro cui non seguì però alcuna misura giudiziaria, la luce della sua stella sarebbe andata infatti offuscandosi progressivamente. Al netto dei tentativi di ricostruire la propria reputazione e riportare sui giusti binari una carriera ricca di allori, il testamento di Tomonobu rimane così Devil’s Third, un discreto action distribuito in solo formato Wii U nel lontano 2015. Un vero peccatogiacché, a quanto pare, il maestro aveva ancora in serbo per noi tanti altri progetti.

La narrativa che s’accompagna alla postuma celebrazione delle star imporrebbe, a questo punto, considerazioni atte a sottolineare il valore storico dei classici che costituiscono il suo lascito. È tuttavia parere di chi vi scrive che, in questo caso, all’ovvia riconoscenza debbano prevalere il nostro rimpianto per aver perso prematuramente un talento cristallino e il rimorso degli addetti ai lavori che, quando le cose precipitarono, scelsero di voltargli le spalle. Nessuno sa cosa avrebbe saputo regalarci Itagaki negli ultimi dieci anni della sua vita qualora gli fossero state concesse le opportunità che si era meritato sul campo, ma siamo certi che ne avremmo avuto senz’altro bisogno… Perché quelli come lui costituiscono l’unico, vero antidoto al processo di standardizzazione del medium imposto dalle leggi del mercato e dai dictat dei colletti bianchi.

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