I periodi, in quanto tali, vanno e vengono. Anche se l’universo indie ha da sempre coperto filoni ignorati dal grande mercato, possiamo dire che il periodo del platform sia tramontato da una ventina di anni. Un’esempio sarebbe la progressione di due delle case di sviluppo principali di un grande publisher come Sony: Insomniac e Naughty Dog. Entrambe hanno spiccato il volo con due prodotti assolutamente accomunabili al ‘genere dell’infanzia‘, pubblicando capitolo dopo capitolo di Spyro e Crash. Poi, hanno virato gradualmente sempre di più verso l’azione con le loro serie successive, Ratchet & Clank e Jak & Dexter.
Anche queste coppie – strane (ma notevolissime) chimere figlie di una transizione – hanno lasciato spazio poi a Infamous e Uncharted, alle loro componenti esplorative semplificate e un’impostazione da sparatutto in terza, sebbene con le dovute differenze. Il ritorno di Crash con il validissimo quarto capitolo è stata un’apprezzabile sorpresa, Sonic ha tentato timidamente di farsi risentire e, sulla minuscola onda di una demo gratuita rilasciata al lancio di PS5, anche il nuovo Astrobot è sul punto di sbarcare. Fra vari anni, la nuova icona Sony potrebbe diventare uno dei baricentri a cui graviterà attorno una specie di rilancio di questo stile di giochi e non ne va quindi sottovalutata l’importanza, ma è ancora presto per parlare. Dipenderà dalle vendite, e dalla qualità di questa nuova impresa in uscita il sei Settembre. Dunque, questo Astrobot, com’è?
Astro Bot: pad in mano!
Innanzitutto, il Team Asobi ha optato per dare una forma più precisa all’avventura: dopo che la Playstation 5 in cui si ambientava il titolo precedente è stata attaccata da un gigantesco alieno verdognolo, fatta a pezzi e sparsa per mezzo universo, ci troveremo a rincorrere il ladro fra varie galassie per recuperarli. Rispetto al passato, non potrete affrontare buona parte del gioco in ordine libero, dovrete sbloccare le galassie una ad una, e dentro ogni galassia seguire l’ordine dei pianeti (i livelli) per arrivare al boss di quel pezzetto di cosmo. Sia chiaro, avrete comunque uno spazio di manovra, perché sbloccherete quasi sempre più di un pianeta alla volta, e la presenza di mini-livelli secondari vi permette di distrarvi temporaneamente. Non stiamo però parlando di un Mario 64, la struttura sarebbe più o meno paragonabile a quella di un Crash Bandicoot. Questo potrebbe non piacere, ma ha sicuramente permesso al team di dettare una progressione; laddove Astro’s Playroom era fatto di una manciata di istanze simili in complessità, questo Astro Bot parte semplice per stratificarsi mano a mano. Sebbene i luoghi in cui ci ritroveremo a saltellare non si distanzieranno mai troppo dagli standard di Astro’s Playroom in termini di ampiezza, i level designer hanno dato a ciascuno gradi di orizzontalità e verticalità, con un approccio lineare che ogni tanto si apre a piccole arene esplorabili, stanze nascoste ovunque, e una pletora di chicche studiate per l’occasione, piccole follie in cui magari vi ritroverete ad aspirare oggetti stile aspirapolvere, tanto per dirne una. I livelli minori in special modo riserveranno qualche picco di difficoltà in classici percorsi a ostacoli, finendo per essere sia i più lineari che i più tosti. Il lavoro svolto in termini di ritmo e gradualità della sfida è encomiabile, Astro Bot è un fiume di platforming che scorre senza intoppi. Sia ben chiaro, il gioco non diventa mai difficile, e i veterani che solo alla ricerca di brivido non ne troverebbero granché, ma tutti gli altri farebbero meglio a giocarselo, perché c’è tanto da vedere.
Già, perché per quanto i controlli principali siano quasi invariati e quindi molto intuitivi (il gioco continua a rifiutarsi di avere tutorial in senso classico e di spiegare le cose per iscritto, cosa che fra l’altro va benissimo), la varietà proposta è invece ordini di grandezza superiore. Come detto, i livelli si complicano andando avanti, sia nella verticalità che nel nascondere i collezionabili, e non credete che il team si sia fermato a dare un tema a ogni galassia e ripeterlo in maniera omogenea per ciascuna, come in altri platform: quasi ogni pianeta è caratteristico, esteticamente e meccanicamente diverso, con giusto un tenue filo conduttore a legarli. Le scelte delle ambientazioni sono abbastanza classiche, che siano deserti, giungle o città, ma la competenza tecnica, la qualità delle animazioni e la simpatia delle innumerevoli trovate di gameplay fanno ogni stage un ricordo nitido. Impossibile, poi, non notare come la varietà di nemici e la prevalenza dei boss siano aumentati pesantemente. Nel primo caso ne abbiamo di vecchi e di nuovi, ciascuno inserito per essere malmenato con sistemi differenti, per cui raramente si cade nel ‘button mashing‘: a volte dovrete aspettare che atterrino dopo un attacco, a volte dovrete tirarli a voi o sfruttare un momento di debolezza. Ogni singolo pezzo della scacchiera ha un ruolo. Nel caso dei boss, ci troviamo di fronte a una delle schiere più spettacolari mai viste nel genere. Sono pensati ovviamente per seguire strategie da puzzle, ma la scala e l’inventiva sono veramente eccezionali. Provate a dirci che tirare di boxe con un calamaro gigante non vi faccia incuriosire, e non vi crederemmo.
Tutte queste interazioni sono impreziosite da ben quindici power-up. Sono molte le new entries, ma del lavoro è stato palesemente fatto anche su quanto già visto. In Astro’s Playroom, non c’erano power-up in senso classico, quanto sezioni guidate su veicoli, con applicazioni molto convincenti ma limitate. Qui, non solo potete esplorare ogni angolo di un livello sotto forma di una scimmia, con un pinguino sulla schiena o un PlayStation VR sulla testa, ma ognuno di questi ha più di una funzione e spesso complementano sia platforming che combattimento. Per esempio, la forma di scimmia non vi permetterà solo di scalare le pareti esattamente come prima, ma anche di sbattere le mani robotiche a terra per stordire i nemici e premere bottoni, o afferrare sassi e lanciarli, inclusi massi enormi per distruggere una pletora di obbiettivi. Nonostante siano di più e sfruttati diversamente, la distribuzione dei power-up è piuttosto equa, e se vi cimenterete in tutto quello che vi viene offerto scoprirete come molte delle loro applicazioni siano implementate più di una volta.
A impreziosire questo corredo di bontà, ci pensano le sensazioni tattili che il mondo Asobi riesce a restituire. In questo senso è chiaro come la responsività dei controlli, la fluidità delle animazioni, la qualità degli effetti visivi che bilanciano lo spettacolo con la chiarezza dell’azione, nonché una fisica avanzata facciano una grossa parte del lavoro. Non c’è un incastro poco convincente, ogni power-up si lega coi suoi effetti all’ambiente circostante senza intoppi, che sia quando usate dell’acqua per spegnere un nemico infuocato o per distruggere una barriera. La fisica simula il comportamento dei liquidi, la rottura di un vetro, la deformazione del metallo o lo spezzarsi del legno in maniera così soddisfacente che la voglia di sfruttarla tanto per vedere cosa succede è inevitabile, e per fortuna gli ambienti rispondono con un alto grado di interazione e un buon numero di animazioni. In certi casi vi ritroverete letteralmente a nuotare in un fiume di modelli poligonali, che siano biglie o diamanti, in uno sfoggio di complessità. Tutto questo arriva al culmine grazie al DualSense, e Astro Bot si riconferma a mani basse il punto di riferimento per capire il potenziale di una feature a nostro dire indovinatissima, ma sfruttata quasi sempre poco. Il grado di precisione non è comparabile a quanto visto altrove se non in Astro’s Playroom: camminare su superfici diverse, colpire nemici o elementi dello scenario, nuotare, sollevare, tirare, usare un’abilità, trovarsi in mezzo alla pioggia, perfino ottenere dei premi, tutto passa attraverso la vibrazione del DualSense, i grilletti adattivi e il microfono.
Senza perdere un frame!
Come già inteso, poi, dal punto di vista tecnico la situazione è sostanzialmente ottimale. Certo, è vero che il dettaglio e la complessità delle costruzioni non raggiungono i livelli più alti della generazione, ma ha senso considerata l’interattività degli scenari, e il fatto che ci è stato praticamente impossibile trovare un calo di frame rate, un bug, un problema qualsiasi, nonostante si tratti della versione precedente al lancio. Non un glitch, non un’animazione incastrata male, non un’intelligenza artificiale andata a prendere il sole, non un crash, niente. Il gioco, semplicemente, funziona. Non sono poi da sottovalutare la resa di certi materiali, dalla sabbia alla plastica, fino al metallo, particolarmente credibile. La telecamera del gioco non è vicinissima e porta a sottovalutare il dettaglio riposto, ma in certi casi vi permetterà di osservare meglio, sfoggiando modelli dei nemici o della vegetazione sorprendentemente credibili. L’unica critica attualmente riguarda il menù opzioni, estremamente ridotto, ma stando alle dichiarazioni di Team Asobi implementeranno diciotto funzioni per l’accessibilità, fra cui opzioni per non udenti e per color-blind. Allo stato attuale non è neanche possibile regolare il mix audio, cosa che ogni tanto uccide la prevalenza della colonna sonora, un delitto considerando che alcuni pezzi sono davvero incalzanti.
Dunque, prendete un level design di pregio che propone ambienti non-lineari ma con un ottimo ritmo, un esercito di antagonisti minori e maggiori con un design avvincente, una varietà di zone, meccaniche e situazioni praticamente al limite del ragionevole, un comparto tecnico perfetto, dei controlli affilatissimi e un umorismo costante. Cosa avete? Avete il platform ideale, ecco cosa. E si chiama Astrobot.
Astro Bot: Longevità e supporto
Questo, dicevamo, se non vi interessa molto la sfida, o la longevità totale. Perché è vero che il titolo sia decisamente più lungo del prequel, ma la durata si assesta comunque sulle 10-12 ore per vedere il grosso del gioco. Una mole di contenuti da rispettare per un platform, ma non eccezionale. Va detto, però, che probabilmente non si tratta del mero numero di livelli o della loro lunghezza, quanto della difficoltà generale, di come l’opera non sembri interessata a farvi impazzire nel trovare i segreti (tant’è che, a una seconda visita, vi verrà proposto di pagare moneta di gioco per ottenere un aiuto nella ricerca). Tanti altri platform sono completabili con un numero comparabile di ore, ma potrebbero richiederne il doppio o il triplo per trovare il collezionabile di turno. Questo può piacere come no, il punto è che Astro Bot non manca di ciccia, si lascia solo masticare con semplicità, e ogni ventina di minuti esplorerete nuovi lidi, vi troverete in nuove situazioni, fino ai titoli di coda. Certo, buona parte dell’end-game lo spenderete a collezionare tutto il collezionabile, a esplorare ogni anfratto. Gli sviluppatori sono ben consci che questa sia una delle attrattive della loro creatura, ed è per questo che particolare attenzione è stata riservata alla vostra base principale, la zona da cui ogni volta partirete per raggiungere altri livelli. Uno spazio molto grande composto di varie zone che si apriranno col procedere dell’avventura, è dove accumulerete i bot e i pezzi di puzzle trovati, nonché alcune chicche acquistabili con la moneta di gioco. I bot sono 300, di cui la metà modellati sulle sembianze dei più disparati personaggi collegati al mondo PlayStation, vecchi e nuovi. La base guadagnerà vita col tempo; i bot generici si organizzeranno nei loro lavori e, quando avrete acquistato i rispettivi gadget, anche i bot speciali si metteranno a dare spettacolo. La quantità di animazioni è notevole, e ne scoprirete di nuove colpendo i modelli degli sfortunati cameo. In aggiunta, i pezzi di puzzle vi serviranno per sbloccare nuove funzioni. La base ha le sue curiosità, ed è meglio non anticiparle troppo.
Al netto di tutto, comunque, le dichiarazioni riguardo nuovi livelli e difficoltà post-lancio senza alcun prezzo aggiuntivo fanno ben sperare.
Conclusioni
Che dire di Astro Bot? Ogni videogioco cerca di proporci una ragione di essere giocato. Tra le prime, vi fu sicuramente quella di superare una sfida, la soddisfazione di scavalcare un muro, e di battere noi stessi. Evolvendosi, varie ragioni sono diventate altrettanto popolari; si potrebbe guardare alle prime avventure testuali e grafiche, ai primi giochi d’avventura e di ruolo, per trovare l’intento palese di raccontare qualcosa. Lì, allora, la ragione proposta era di seguire una storia, fondere ludico e narrativo, e magari imparare anche qualcosa di nuovo riguardo il mondo reale. Mano a mano che la tecnologia si è evoluta e i generi estesi (e mischiati, e confusi…), ragioni come la connettività, l’interazione con molti altri esseri umani anziché semplici NPC, hanno fatto breccia. Si voleva l’imprevedibilità e il livello di pianificazione possibili solo con la comunicazione fra tante teste, che fosse per cooperare o per competere. Si potrebbe parlare anche dell’esplorazione, la ricerca dell’ignoto: posso scegliere di andare in cento posti diversi, non so cosa troverò, e sta a me condurre il viaggio. Anche quella può essere una motivazione potente per iniziare e continuare a giocare. Per non parlare poi dell’affiorare di sistemi complessi grazie a migliori capacità di calcolo, permettendo il fiorire di simulatori, immersive sim, builder e sandbox in generale, e a quel punto la ragione era spesso l’utilizzo della creatività per ottenere certi risultati, anche se significava lavorare di più per un risultato minore, in quanto il bello era semplicemente sperimentare cosa fosse possibile e sentirsi scopritori di idee.
Si potrebbe andare avanti per un po’, il punto è che Astrobot non mette sul piedistallo nessuna di queste ragioni. Non punta alla sfida, alla narrativa, alle feature online, all’esplorazione o a sistemi malleabili con cui fare di tutto e di più. Fa un po’ di tutte queste cose (del resto l’idea non è certo che un gioco debba proporre una singola ragione, in un singolo modo e nella stessa misura), ma è davvero questo quello che rende Astro Bot così riuscito?
No. Vedete, ho lasciato da parte una ragione, forse addirittura la più ‘antica‘ e importante, che sembra essere chiaramente al cuore di Astrobot: il game feel. In questo gioco, le cose non si fanno per superare sé stessi, per sperimentare e scatenare reazioni complesse, o per cooperare. No, si fanno perché gusta veramente tanto farlo. Non importa se un nemico è facile da superare e lo si fa con una singola strategia: attraverso il DualSense e la maestria tecnica del team nel realizzare animazioni, suoni ed effetti visivi, appena hai finito di fare quella singola cosa la vuoi rifare subito. Si potrebbe dire che è una caratteristica necessaria in quasi tutti i giochi, il punto è che in Astrobot non è solo necessaria, è sufficiente. Fa il gioco.
In questo senso, è un divertimento bambinesco. Chi legge ha probabilmente qualche ricordo infantile in cui si divertiva a far scontrare le macchinine per la decima volta, a tirare quella palla sul muro per la ventesima volta, semplicemente perché evocavano sensazioni liberatorie. Ebbene, in quello che sembra semplice, si nasconde la stessa arte che risiede nelle altre ragioni: distillare le parti belle della realtà e farle funzionare dentro un computer. A volte, riprodurre le cose semplici è complesso proprio perché le vediamo come ‘semplici‘, prive di parti, unitarie, esistono e basta. Quando le devi riprodurre, le devi scomporre, analizzare, reinventare. E Team Asobi ci è riuscito alla grande.
Forse ad esprimere al meglio questa limpida filosofia è proprio la colonna sonora, il cui testo recita semplicemente “I am Astrobot”. Perché non c’è bisogno di sapere altro.