Si torna in guerra
Il concetto di For Honor è semplice, diretto ed efficace. Si sceglie uno dei guerrieri a disposizione (alcuni sbloccabili solo più in là), si decide a quale fazione prestare giuramento – tra cavalieri, vichinghi e samurai – e si scende sul campo, arma in spalla, a dettare legge a suon di ossa spezzate e teste decapitate. Quando ci si riesce, almeno. Dopotutto, come in ogni altro gioco online, saranno abilità e dedizione a farla da padrone, e non sarà affatto anormale sentirsi scoraggiati di fronte a dei primi, magri risultati. Il tutorial iniziale, in tal merito, funziona alla grande.
For Honor è un gioco abbastanza complesso, ed è sbagliato dare per scontato di poter apprendere le basi con il solo trial&error. Partiamo dal presupposto che il tutto ruota attorno la posizione di combattimento, che potremo alternare in tre pose differenti. In questo modo, attaccheremo l’avversario da differenti direzioni nel tentativo di spezzargli la guardia e infliggergli dei danni; se i due guerrieri si trovano nella medesima posa, tra l’altro, l’attacco sarà nullo. Parliamo quindi di un balletto della morte, rapido e insaziabile, in cui due (o più) persone alterneranno fendenti offensivi a posizioni difensive, attendendo con pazienza l’attimo migliore per punire l’altro. In generale, siamo di fronte a un gameplay che ci concede colpi leggeri, pesanti, spezzaguardia, contro-spezzaguardia, parry e persino abilità uniche legate al singolo soldato.
Come già confermammo ai tempi dell’Alpha, il combat-system di For Honor è innovativo, ben studiato e – soprattutto – funzionale. Non c’è casualità, non c’è fortuna, ma un semplice miscuglio di riflessi e tattica che, per forza di cose, finisce per creare duelli appassionanti e ben orchestrati. Ovviamente, buona parte della profondità la si vede solo per mezzo delle varie tecniche speciali, sbloccabili e non, di cui è dotato ogni guerriero. Sottolineiamo subito come gli avatar digitali sono tutti molto differenti tra loro: chiunque si aspettasse dei tizi nerboruti differenziati solo dall’aspetto esteriore dovrà per forza di cose ricredersi. I vichinghi sono macchine da guerra senza pietà, lente e – in alcuni casi – anche abbastanza leggibili, i samurai rapidi e insaziabili, mentre i cavalieri risultano forse i più versatili tra tutti. Anche qui, però, bisogna fare nette distinzioni, considerato come ognuno di loro offra numerose varianti capaci di cambiare in continuazione le carte in tavola.
Parliamo quindi di un balletto della morte, rapido e insaziabile, in cui due (o più) persone alterneranno fendenti offensivi a posizioni difensive, attendendo con pazienza l’attimo migliore per punire l’altro.