A tre anni di distanza dall’epico scontro con Baldur, il mondo di God of War (QUI la nostra recensione) non è più lo stesso. Come le profezie presagivano, la morte del figlio di Freya ha portato con sé una serie infinita di cataclismi, primo tra tutti il Fimbulvinter, un inverno lungo stagioni che ha messo a dura prova la sopravvivenza di persone e animali su Midgard.
Tutto ciò che avevamo conosciuto nell’originale capitolo non esiste più: l’acqua è diventata ghiaccio, le foreste rigogliose sono morte, e ovunque si volti lo sguardo ci sono solo minacciose distese di neve. Kratos e Atreus devono adattarsi a questa nuova realtà, sconfitti nell’animo quanto nel fisico, a causa di una situazione generata da loro e che in qualche modo dovranno aggiustare. Ma come potranno mai far tornare le cose come prima? La guerra con le divinità nordiche è davvero l’unica opzione? Versare sangue è l’unica strada da seguire, quando si parla di salvare il mondo? O c’è un’altra possibilità?
God of War Ragnarok parte da qui, più o meno dove l’avevamo lasciato. Sony ci ha fornito un codice completo in anteprima pochissimi giorni fa, e oggi possiamo già parlarvi delle nostre sensazioni di gioco. Per una recensione completa dovrete attendere ancora un paio di settimane, il 3 novembre 2022 alle 17.00, ma c’è tantissimo da dire anche sulla prima decina di ore iniziali.
Tranquilli: NESSUNO SPOILER, nessun punto focale di trama, nessuna intenzione di rovinarvi le più grandi sorprese che già le prime ore possono regalare: solo tante informazioni, punti di vista e certezze. Una certezza, per esempio, è che pur non allontanandosi troppo dal titolo precedente, God of War Ragnarok possa essere un gioco tranquillamente alla pari, se non spesso superiore, al premiatissimo predecessore.
È innegabile infatti che Ragnarok ricordi molto il God of War del 2018. L’impostazione è la stessa, e per quante novità possiamo aver visto nel corso delle prime ore, il succo è quello: Santa Monica ha voluto migliorare e costruire sulla base di quanto già fatto, invece che stravolgere di nuovo una serie che era appena andata incontro a un fortissimo reboot. E questo era tanto prevedibile quanto la cosa più giusta da fare.
Le prime ore di God of War Ragnarok sono sicuramente introduttive, ma fanno capire benissimo il peso e gli enormi obiettivi della produzione. Il benvenuto in questo nuovo mondo ai limiti dell’apocalittico ci viene dato proprio da Freya, ormai perennemente sulle tracce di Kratos al pari di un incubo inarrestabile. Già da qui è facile notare come il rapporto tra Kratos e Atreus si sia fortemente evoluto, ma in una maniera talmente naturale da risultare sempre credibile. Nonostante il cast infinitamente più ampio e i tantissimi dilemmi esistenziali, la coppia padre-figlio resta il centro della narrativa di Ragnarok, pur senza seguire le linee guida tracciate dal predecessore.
Dopo aver cosparso le ceneri di Faye, Kratos è riuscito ad aprire il cuore e a vedere Atreus per quello che è: un essere umano pensante, con tanto potenziale e altrettante capacità che già mostra sul campo. Dal canto suo, Atreus si è indurito, disciplinato e, pur senza perdere i bollenti spiriti che spesso lo rendono impulsivo, dà la sensazione di essersi trasformato in un piccolo uomo autonomo e con le proprie idee. I consigli paterni restano preziosi, ma non sempre li segue, perché non sempre è convinto siano la soluzione giusta ai problemi. La sorpresa? Che spesso ha ragione.
Ragnarok genera quindi una fortissima spaccatura generazionale tra i due protagonisti. Se originariamente si era certi che la voce di Kratos fosse l’unica da seguire, adesso entrambe le parti della coppia hanno ottime ragioni per seguire i propri istinti. Il risultato è un Atreus molto più convincente e in cui è anche più facile riconoscersi, se mai nella vita avete provato a far valere le vostre posizioni ai vostri superiori.
Dove questo cambio di direzione porterà lo lasceremo scoprire a voi (e in realtà anche a noi, che dobbiamo ancora finire il gioco). Quello che possiamo già dirvi, invece, è che Ragnarok è narrativamente più cupo del predecessore, e non aspetta neanche un minuto per lasciare il segno. Dopo un breve ma intenso incontro con Freya, il ritorno a casa dei due ha un retrogusto amaro. Loki (la vera natura che Atreus non sa se abbracciare o allontanare) è il Dio dell’Inganno, ma contemporaneamente non molti sanno che la sua figura viene spesso collegata alla natura. E la natura, per molti scritti nordici, non si limita agli animali o alle piante: l’anima della terra che calpestiamo per esempio è un tutt’uno con noi, con l’universo e l’intera esistenza.
Non per niente nel gioco originale Atreus era capace di evocare copie astrali di animali, o parlava di sogni in cui si vedeva “volare come un’aquila”. Questo suo aspetto, questa bontà d’animo, questo senso di giustizia verso ogni essere vivente è rafforzato all’inverosimile in questo capitolo, con una scena d’apertura a “tema canino” che sicuramente non mancherà di muovere l’animo di più di un giocatore. Ma è un tema che tornerà spesso anche col proseguire dell’avventura.
La narrazione viene accompagnata da una regia praticamente perfetta (che ancora mantiene la regola del piano-sequenza costante dall’inizio alla fine) e da una recitazione digitale sensibilmente migliorata, soprattutto per Atreus. La sua è una storia di ulteriore crescita, di scoperta dei suoi poteri e di presa di coscienza; e, tecnicamente parlando, ogni rinnovato muscolo facciale gli permette di esprimere al meglio una più ampia gamma di emozioni.
Sul piano tecnico c’è in realtà poco da dire. Noi lo stiamo provando su PlayStation 5 in modalità performance a 60fps e, nella stragrande maggioranza dei casi, lascia a bocca aperta. Spesso, proprio come il precedente capitolo, più per meriti artistici che per motivi puramente tecnologici. I modelli dei personaggi bucano lo schermo per definizione e realizzazione, e la rinnovata potenza dell’hardware permette di particolareggiarli più che mai, col volto di Kratos che appare ora più stanco e invecchiato, e con un Atreus che ormai parla anche solo con gli occhi.
La natura cross-gen, in questo senso, è tradita forse solo dai dettagli degli ambienti, e neanche tutti. Se si passa ogni angolo al lanternino, è più facile notare qualche roccia tagliata col coltello e qualche ombra eccessivamente netta, ma niente che possa rovinare un colpo d’occhio sicuramente all’altezza delle (enormi) aspettative.
Se è vero che molte delle guerre del nuovo corso di God of War vengono combattute con la disciplina e l’autocontrollo, è altrettanto vero che Kratos si fa trovare sempre in prima fila quando c’è da menare le mani. Il cuore esplorativo del gioco si mescola ancora meglio con quello action, in un connubio che risulterà sicuramente familiare a chi ha adorato il capolavoro precedente, ma che non mancherà di regalare piccole e grandi sorprese.
Le mosse in possesso di Kratos le conosciamo tutti: l’ascia Leviatano è ottima per gli scontri più fisici, mentre le Lame del Caos si adattano più al controllo della folla. Alcune tecniche sono state rimosse per dover poi essere nuovamente acquistate, mentre qualche novità si palesa già dal primissimo momento. Ogni arma infatti ha ora un tasto speciale che permette di caricarla di magia (proprio come durante la primissima presentazione di God of War all’E3 del 2018, possibilità poi mai concretizzatasi nel gioco finale) e trasformarla, di fatto, in una versione più forte con nuove combo.
Caricare la Leviatano di gelo permette di applicare più status alterati e di generare esplosioni AoE; lo stesso vale per le Lame del caos, che possono essere surriscaldate roteandole vorticosamente. Caricarle di energia non serve solo a lanciarsi in nuove, spettacolari tecniche: gli stessi status alterati hanno ora un’importanza più grande che in passato. Combinare fuoco e ghiaccio ha un’effettiva utilità, e passare di continuo da uno strumento all’altro premia non solo con coreografie spettacolari ma anche con risultati doppiamente distruttivi, che prima non era neanche possibile ottenere.
Se nel corso dell’avventura sarà possibile allontanarsi tantissimo dal classico moveset (e, ci dispiace, qui non possiamo davvero svelarvi nulla), fin dall’inizio si può intuire come una delle grandi differenze è una rinnovata interazione ambientale. Ancora non esiste un tasto apposito per il salto, ma lanciarsi in corsa da un bordo o scalare in tutta fretta un precipizio può effettivamente mescolarsi con le combo attualmente in nostro possesso. Ciò significa che i nemici possono trovarsi anche su livelli differenti dal nostro, e questo fa una discreta differenza nel feeling delle arene stesse.
I combattimenti sono più movimentati perché Kratos può ora spostarsi velocemente da un punto all’altro del campo di battaglia usando le Lame del Caos come rampino. Il rampino ci dà slancio, attacchi in caduta, proiezioni verso l’alto e così via. Parliamo quindi di una verticalità che, per la saga, è una novità a tutti gli effetti. Anche avessimo a disposizione soltanto lo stesso parco combo (e non è così), le possibilità di movimento extra iniziano ad avere un bel peso sul breve-medio termine.
Uno dei principali difetti del predecessore, inoltre, è stato completamente scongiurato, e sicuramente sarete lieti di sentirlo. La varietà dei nemici infatti è aumentata in maniera vistosa, e lo stesso vale per i tanti mini-boss in giro. Nella prima decina di ore di gioco, tra uomini-lucertola, banditi umani, centauri norreni, animali giganti, coccodrilloni fantasy e armate infernali non abbiamo mai avuto la sensazione di riciclo. Il team dopotutto era così conscio di quanto avessero stancato i continui troll col pilastro in mano che…non ve lo diciamo, ma c’è una scena che potrebbe strapparvi una risata.
Anche sul lato esplorazione, pur non risultando stravolta, si può notare qualche piccola o grande novità. Ancora una volta non parliamo di un mondo completamente aperto, ma di livelli ben compressi e densissimi di cose da fare, insidie da superare e tesori da trovare. La possibilità di usare le Lame come rampino apre sicuramente a nuove possibilità, e ora più che mai si dovrà fare attenzione anche alle piattaforme fuori dal percorso principale, perché potrebbero essere raggiungibili con un po’ di ingegno.
Il primo regno esplorabile, che darà un po’ il via alla vera storia, è Svartalfheim. Qui dimorano gli elfi scuri e i nani. La zona che visiteremo è Nidavellir (capitale nanica) e aree limitrofe: un enorme agglomerato di laghi, fiumi, montagne e miniere scavate nella roccia. Il colpo d’occhio è semplicemente fenomenale, e la direzione artistica richiama chiaramente pellicole fantasy alla Il Signore degli Anelli. Cosa che non dovrebbe sorprendere nessuno, considerato come lo stesso Tolkien abbia preso spunto a piene mani dalla mitologia nordica per mettere le basi al suo immortale universo. Come già visto nei trailer, saranno diversi i mezzi di trasporto che velocizzeranno i viaggi di Kratos e Atreus, ma per la fase iniziale ci limiteremo alla classica barca a remi che già ci scorrazzò per tutto il Lago dei Nove.
La varietà e la complessità degli enigmi ambientali risplende di nuova luce, con l’Ascia e le Lame che possono essere ora utilizzate in maniera più fantasiosa. Se in passato ci si limitava a distruggere tale bersaglio con la freccia giusta di Atreus, o a congelare tale ingranaggio per non far muovere una porta o un ponte, adesso si può giocare con i pesi delle trappole, con la forza dell’acqua e addirittura con la pressione acquisita bloccando vie d’uscita a un fluido. I dungeon primari utilizzano alla grande tutte queste nuove regole, ma quello che sorprende maggiormente è che ciò vale anche per le zone opzionali.
Dovessimo cronometrare quanto ci abbiamo messo a uscire dal primo regno, esplorandolo a fondo fin dove possibile, otterremmo un risultato di quasi sei o sette ore. Svartalfheim è l’unica zona di cui possiamo raccontarvi, ma possiamo confermare già da ora come sia tra i più evocativi e complessi livelli dell’intera saga. Non parliamo solo di rompicapi da risolvere e di altrettante storie secondarie che spiegano interessanti retroscena sul passato dei protagonisti, ma di una sensazione globale che primario e secondario siano ora sullo stesso piano qualitativo, un po’ come per Horizon Forbidden West (QUI la nostra recensione).
Impegnarsi in una missione secondaria non significa più accettare una fetch quest da un anonimo fantasma e abbattere un nemico visto e rivisto, ma ci porterà in zone complesse, evocative e con enigmi ambientali persino unici. La sensazione di non sapere mai cosa aspettarsi da queste missioni invoglia il giocatore ad abbandonare la strada battuta e mettere momentaneamente in pausa la trama principale per testare la bontà di quanto gli sviluppatori abbiano nascosto fuori dal percorso obbligatorio. E per ora non siamo mai rimasti delusi.
Per il resto, l’intero Svartalfheim è una cartina tornasole di ciò che è l’obiettivo della casa di sviluppo: un God of War Ragnarok che non fa nulla per rinnegare le sue origini, ma che ne migliora le principali criticità e persino ciò che andava bene pure così.
Rendere ancora più valido un gioco già così vicino alla perfezione non è certo un’impresa facile, ma la sensazione è che questo seguito – fin dalle prime battute – faccia di tutto per imprimersi maggiormente nella memoria del giocatore con scene d’azione più frequenti, nemici molto più variegati e una narrativa che va a toccare punti totalmente differenti dal predecessore, ma comunque in fortissima continuità. Un’evoluzione e non una rivoluzione, insomma, che spinge il piede sull’acceleratore della varietà, del ritmo e di una qualità globale che non sembra tralasciare alcuna tipologia di contenuto.
Se questo livello sarà mantenuto durante tutto il corso dell’avventura (di cui non possiamo svelarvi né durata né alcun tipo di sorpresa), sarà una cosa che scoprirete con la nostra recensione completa. Di certo la carne al fuoco è tanta, e seppur si esca da Svartalfheim con una soddisfazione che davvero pochi action/adventure riescono a regalare, è impossibile non chiedersi se un tale miglioramento potrà impattare allo stesso modo della sorpresa di un reboot completo, sul lungo termine.
I punti da chiudere son tanti, e se il God of War del 2018 è servito più da introduzione al nuovo universo narrativo, qui parliamo di un secondo capitolo che ha già sulle spalle l’incredibile peso di dover chiudere una guerra (e presentarne le principali pedine) in una sola volta. Un’impresa titanica tanto per i protagonisti quanto per il team di sviluppo, ma l’attesa è quasi finita.