Non serve affatto un genio per scorgere il più che evidente filo rosso che collega le tre opere da game director di Josef Fares, “esuberante” ex regista di origini svedesi/libanesi passato qualche anno fa al mondo del videogioco.
Nell’ancora indipendente Brothers: A Tale of Two Sons, usavamo lo stesso pad per comandare due giovani fratelli durante un’avventura magica e toccante, e con la miglior rappresentazione del concetto di “arto fantasma” che si sia mai visto in un videogioco (con buona pace di Kojima).
In A Way Out, già sotto etichetta Electronic Arts, dovevamo evadere da un carcere in compagnia di un amico (locale o online), in un viaggio colmo di citazioni cinematografiche: da Scarface a Heat, passando per Oldboy (con qualche anno di anticipo rispetto a Sifu).
In questo It Takes Two, invece, dovremo comandare una coppia di genitori in grave crisi matrimoniale e trasformati in due piccole bambole di legno, stoffa e argilla da…no, non ve lo diciamo.
Appare chiaro insomma come il concetto alla base dei videogiochi di Fares sia la collaborazione, e che l’obiettivo neanche tanto nascosto dell’autore e di Hazelight Studios sembri proprio la ricerca del videogioco coop perfetto.
Un obiettivo affatto facile da raggiungere, che con It Takes Two però si è avvicinato a grandi passi. Quanto si era già visto di buono in A Way Out infatti è qui stato limato, perfezionato e ampliato in ogni sua parte, a dimostrazione di una significativa maturazione del team e, probabilmente, anche di un budget maggiore, visto il buon successo del precedente.
Abbandonato il setting realistico, Hazelight si è potuta sbizzarrire con ambientazioni e situazioni, attingendo da trent’anni di platform, e non solo, per presentarci un gameplay incredibilmente vario e avvincente. Dopotutto It Takes Two è proprio questo: un platform 3D, ma declinato magnificamente in chiave cooperativa. Il segreto per superare ogni enigma, ogni fase di guida di veicoli, ogni boss fight o ogni meccanismo misterioso è sempre nascosto infatti dietro alla collaborazione tra i due giocatori.
La varietà è davvero sorprendente: It Takes Two è una fucina continua di idee e di nuove meccaniche che ci vengono lanciate addosso senza quasi darci respiro. Sarebbe davvero impossibile elencarvele tutte, e nemmeno vogliamo farlo per non rovinarvi la continua sorpresa. Ma giusto per darvi un’idea possiamo dirvi che ci ritroveremo a fare gli equilibristi da circo, a giocare con percorsi di legno dove muovere la pallina fino al traguardo senza farla cadere nei buchi (esatto, proprio come quei vecchi giochi a monetine negli stabilimenti balneari), a comandare navi pirata, dischi volanti, handcar, dinosauri giocattolo e aerei fatti di mutande. A giocare a Memory e a scacchi, sciare, nuotare in profondità, sparare resina incendiaria che l’altro giocatore potrà far esplodere, scivolare su rotaie in stile Ratchet & Clank…non c’è davvero una fine.
E quello che sorprende è come ogni parte sia sempre estremamente piacevole da giocare e ben realizzata, a volte così tanto che dispiace dal profondo del cuore che non duri di più.
Lo scarto qualitativo più grande con A Way Out, dopotutto, sta proprio qui: mentre il precedente titolo di Fares presentava più meccaniche e attività sì divertenti in ottica cooperativa, ma molto grezze se analizzate singolarmente, It Takes Two si gioca invece da Dio.
I comandi sono sempre precisi pure quando il gioco cambia improvvisamente il suo gameplay, il platforming è puntuale e il framerate stabilissimo a 60fps (almeno su PS5, la versione da noi testata). It Takes Two sarebbe per assurdo un grandissimo gioco anche se fosse possibile giocarci da soli, insomma.
Ciononostante è proprio impossibile giocare in single player a It Takes Two: è infatti obbligatorio avere un compagno di avventura, che sia sul divano di casa o online. Ed è quindi utile ricordare come il gioco venga venduto con un codice amico, rendendo possibile affrontarlo in due anche comprando una singola copia del titolo, già venduto all’invitante prezzo budget di 40€. L’unica controindicazione è che in questo caso il giocatore “non pagante” non potrà ottenere trofei o achievements.
Nonostante il divertimento e l’aspetto colorato e scanzonato, It Takes Two racconta una storia fondamentalmente triste.
Cody e May, i due genitori protagonisti, prima di venire trasformati in bambole stavano affrontando l’ennesima lite di un rapporto ormai logoro, tanto che hanno già concordato il divorzio. L’ultima cosa rimasta da fare è comunicarlo alla figlia Rose, che però, come spesso accade, già ha capito la situazione da tempo, soffrendone in silenzio. Una storia abbastanza comune di fallimenti relazionali e di errori dei grandi che ricadono sui piccoli, che probabilmente abbiamo vissuto in tanti (nel ruolo di figli o di genitori che sia), e con la quale è quindi molto semplice relazionarsi.
Ma quella di It Takes Two non è una storia che si limita a restare sullo sfondo, anzi. Oltre ad avere ampio minutaggio, con cutscene lunghe e ben girate (dopotutto Fares è un regista), serve da ispirazione per la creazione dei mondi di gioco. La scomparsa di attrazione tra i protagonisti per esempio, o l’abbandono delle proprie aspirazioni e hobby personali, problematiche tipiche delle coppie “scoppiate” del mondo reale, diventano lo spunto per meccaniche, nemici e situazioni in game.
Eccoci quindi a dover combattere un aspirapolvere difettoso poiché May, oberata dal lavoro, non fa più lavoretti di riparazione in casa, o a sfuggire da talpe e piante incattivite perché Cody ha rinunciato al suo pollice verde. Ma potremmo fare moltissimi altri esempi virtuosi.
Per superare le avversità e ristabilire il rapporto Cody e May potranno contare solo l’uno sull’altra, ed entrambi sui consigli del baffuto Dr. Hakim, un caliente libro sull’amore dall’accento spagnolo e a tratti vagamente lascivo, ma divertentissimo.
È proprio lui, nella sua missione esistenziale di far avvicinare le persone, che spingerà i protagonisti ad affrontare la loro crisi in livelli tematici basati su problemi della vita vera che, per quanto sono stati pensati in maniera brillante, a volte riportano alla mente uno dei capolavori di Tim Schafer: Psychonauts (non ci avete giocato? Malissimo, ma siete ancora in tempo).
Anche tecnicamente It Takes Two stupisce. Abbiamo già segnalato la fluidità del framerate, ma pure a livello audiovisivo siamo di fronte a un prodotto estremamente pulito e ottimamente rifinito, che nasconde alla grande la sua natura a medio budget.
Se la bruta conta poligonale non fa gridare al miracolo, le animazioni sono ben realizzate, così come i materiali che compongono gli scenari. Idem gli effetti speciali, che a volte non fanno nessuno sconto, con enormi esplosioni degne di un qualsiasi filmaccio di Michael Bay o Roland Emmerich. Anche la qualità dell’audio, con le cuffie ufficiali Sony Pulse 3D, è sorprendente per resa e spazialità, migliore di quella di molti giochi più blasonati (tipo Cyberpunk 2077). Splendida pure la colonna sonora e buono il doppiaggio inglese (manca quello in italiano, ma sono presenti i sottotitoli nella nostra lingua).
L’ispirata realizzazione artistica e la grande diversità di location e asset, inoltre, aiutano il risultato finale, con alcuni scorci davvero bellissimi da guardare e qualche riuscito momento semi-contemplativo. Almeno quando il gameplay decide per un attimo di rallentare i suoi ritmi.
Non succede tanto spesso comunque: l’azione e la risoluzione di enigmi la fanno da padrone, e la difficoltà mai altissima di entrambi permetterà a tutti i giocatori di portare a termine It Takes Two senza eccessivi problemi o tempi morti. I mondi da affrontare sono sette, tutti molto grandi, fortemente caratterizzati e divisi in più sezioni, rigiocabili in qualsiasi momento dal menu iniziale.
Così come è possibile rigiocare, dopo averlo scoperto, uno qualsiasi dei moltissimi minigiochi sparsi per tutta l’avventura: prove di abilità uno contro uno come tiro alla fune, rodeo, corse a ostacoli e quant’altro, dove per la prima volta non dovremo collaborare col compagno ma bensì batterlo senza alcuna pietà, umiliarlo, distruggerlo moralmente. Ma sempre col sorriso.
Sorriso che sarà davvero difficile togliersi dalla faccia per tutta la durata dell’avventura, stimabile in una dozzina di ore, e che una volta conclusa potreste aver voglia di rigiocare impersonando l’altro personaggio o portando con voi un giocatore diverso. Perché la grande forza dei giochi cooperativi è anche questa: l’esperienza può cambiare a seconda della persona con cui la si affronta, andando a generare ricordi e risate differenti nonostante il gioco in sé non cambi.
Se non si fosse ancora capito, It Takes Two è un gioco straordinario, e a cui è difficile trovare dei reali gravi difetti.
A voler essere pignoli, ma non possiamo entrare troppo nel dettaglio, il finale un po’ sbrigativo non ci ha convinto fino in fondo, mentre il prefinale è stato al contrario molto emozionante. Ci sarebbe piaciuta sicuramente di più una conclusione che lasciasse più spunti di riflessione, curando maggiormente l’evoluzione dei protagonisti e il loro arco narrativo di riavvicinamento sentimentale. Stando così le cose, invece, il messaggio di fondo ci è parso valido e ben messo in scena, ma un po’ troppo “semplice”.
Pazienza comunque. Dopotutto se a Fares e compagni fosse riuscito pure questo ora staremmo parlando di un capolavoro assoluto, ma già così It Takes Two un piccolo capolavoro lo è, ed è anche un titolo estremamente significativo, per sua stessa natura, in questi anni particolari di distanze forzate.
Giocandolo si entra in una piccola fiaba dalle note Disney Pixar mai uguale a sé stessa, stracolma di grandi idee di gameplay, divertentissima da giocare e bellissima da guardare. Oltretutto venduta con una formula estremamente vantaggiosa per le tasche del giocatore. Perdersela sarebbe davvero un errore imperdonabile.