Adorati dagli accademici più tradizionalisti e detestati dai promotori di un approccio meno essenziale al giudizio, i voti rappresentano da sempre l’unità di misura di riferimento di ogni forma di valutazione. Per quanto funzionale, l’impiego indiscriminato di questo strumento matematico ha tuttavia finito per acquisire una rilevanza crescente sullo sviluppo della nostra società, fino a guadagnarsi il potere di separare gli studenti capaci da quelli problematici, dividere il brutto dal bello e definire, in senso più ampio, gli standard qualitativi che influenzino le masse, sia in termini di indice di gradimento che in ottica commerciale.
In barba al fermo scetticismo dei tanti romantici che trovano eticamente improprio stabilire la validità di individui e opere attraverso gelidi numeri, questi ultimi vengono impiegati senza scrupolo anche e soprattutto in ambito videoludico, dove hanno ormai rimpiazzato la recensione al vertice del sistema critico globale. Piuttosto che costituire l’argomentazione delle ragioni che abbiano condotto a un determinato verdetto, la vecchia regina del giornalismo specializzato viene in effetti percepita da tempo alla stregua di un semplice allegato alla cifratura, se non addirittura come l’odiosa zavorra che separa il titolo di un videogame dall’unico dettaglio che conti davvero. Nel confuso tentativo di assecondare le esigenze di un pubblico così impigrito dai ritmi dell’informazione usa & getta da essere ormai interessato alla sola sentenza, il vecchio redattore ha così cercato di reinventarsi giudice, finendo però col trasformare la franca area stampa di una volta nel più giustizialista dei tribunali popolari.
In un clima che, a livello ideale, evoca inquietanti analogie col Terrore parigino d’inizio Rivoluzione, la semplificazione del giudizio non può che dilagare incontrastata, maturando conseguenze nefaste sull’ampia zona grigia che dividerebbe i colpevoli dagli innocenti. Branditi a mo’ di mannaia, gli stessi numeri vengono in tal senso ridotti ai soli estremi: santificazione per i 10, beatificazione per i 9, purgatorio per gli 8 e dantesche Malebolge per tutto ciò che vada dal 7 all’1.
In questa opprimente distopia aritmetica ove persino una forbice costituita da sole dieci unità parrebbe essersi rivelata troppo ridondante, la nostra attenzione deve in ogni caso concentrarsi sulle cifre inferiori all’8 di rappresentanza, giacché è proprio in quella fascia che il circuito va fatalmente in tilt. Il motivo è spaventosamente ovvio e risulta legato proprio alla crisi della recensione cui accennavamo pocanzi. Vedete, la stragrande maggioranza degli utenti sa benissimo che non avrà bisogno di leggere un testo per decidere se acquistare un prodotto da 9 o 10 e, con ogni sfumatura suggerita dal caso, basterà nutrire un certo interesse riguardo al tema trattato da un videogame per interpretare un 8 come semaforo verde. Voti più interlocutori come 7 e 6 rappresentano, al contrario, un problema annoso giacché sottintendono la necessità di orientare la propria scelta in base a quanto scritto nella review. Anziché sobbarcarsi l’onere di mandar giù venti o trentamila caratteri di elucubrazioni tecniche, si preferisce pertanto arrotondare il tutto per difetto, sulla base dell’inammissibile proporzione che vede 7 stare a 4 come 6 a 2.
Prima che a qualcuno salti in mente di sentirsi offeso da queste considerazioni, ci teniamo a rimarcare che non tutti siano risultati vulnerabili a questa forma di abbrutimento sintetico. Ciò nonostante, tocca prendere atto che il proliferare dei portali di meta-valutazione e la rilevanza che essi rivestano nel mercato contemporaneo certifichino una tendenza tanto netta quanto allarmante, che lascia ben poco spazio a recriminazioni di sorta.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: si può ancora invertire la rotta e sottrarsi ai barbari dettami di questa grottesca tombolata? Difficile a dirsi, ma se la testa dice no, il cuore propende per il sì… Un sì basato sul sospetto che, magari anche in solo retro pensiero, nessuno possa dirsi realmente soddisfatto di vivere all’ombra di una marziale dittatura dei numeri. Sotto sotto, sappiamo del resto tutti che, dietro l’inesorabilità del voto, si nasconda un oceano di sfumature e siamo altrettanto consapevoli che esse vadano analizzate a parole e metabolizzate attraverso la lettura.
Se il grande pubblico dovrà senz’altro metterci la volontà, spetterà in ogni caso ai critici effettuare la manovra più ardita: piuttosto che allinearci stancamente ai criteri di regime certi che ormai tutto è perduto, dobbiamo fare di più e farlo meglio, si trattasse finanche di ignorare linee guida, tag, SEO e tutti quegli stereotipati artifizi che rendono ogni recensione uguale all’altra. E a chi sostiene che, così facendo, anticiperemmo soltanto il definitivo collasso del sistema, chiedo di domandarsi che senso avrebbe attendere nell’indolenza che il destino faccia comunque il suo corso, senza provare per l’ultima volta a far vero giornalismo d’opinione.