Murasaki Baby

Il “Murasaki” del titolo sta per “viola”, il colore del palloncino che la “Baby” che completa la denominazione stringe con passione, anche se non troppo saldamente, tra le mani. Baby si risveglia, da sola, all’interno di un mondo grottesco e oscuro, che contempla fantasie e paure infantili concretizzate in architetture contorte e personaggi strampalati al punto da sfociare in terreno surrealista. La stessa Baby non è certo un ideale di bellezza tradizionalmente intesa: disegnata con sfumature di bianco e nero, come tutti i personaggi e oggetti “in primo piano”, è una figurina esile, con grandi occhi sbarrati, pochi capelli arruffati e una grossa bocca piazzata, peraltro sottosopra, sulla fronte.

La bimba, però, è deliziosa nei suoi atteggiamenti, e non passerà molto tempo prima che il giocatore si affezioni irrevocabilmente a lei; è da qui, d’altra parte, che parte il concept del gioco. Saremo infatti chiamati a condurre la bambina nel proprio viaggio verso casa, prendendola per mano grazie al touchscreen di PS Vita, il punto fondamentale di interazione.

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Alcune delle creature ostili possono essere abbattute con il touchscreen, ma non sempre sarà questa la soluzione più adeguata.

Baby afferra senz’altro la “mano” del giocatore, e si lascia guidare da lui.
L’idea fa certamente tornare alla mente Ico (e l’influenza di Fumito Ueda è tra le molteplici che si avvertono in questo lavoro), ma in questo caso non esiste un altro avatar a mediare il processo, che è, in termini sia pratici che emotivi, nelle mani del giocatore. Naturalmente, condurre indiscriminatamente Baby verso il lato destro dello schermo (l’azione è quella di un side-scroller) non porterà a termine il viaggio in tempi brevi. Il mondo di gioco è denso di pericoli e situazioni inquietanti davanti alle quali la bambina si ferma, lasciando andare il fido palloncino: l’oggetto funge, in qualche modo, da barra di energia, e permettere che venga fatto esplodere o semplicemente allontanato eccessivamente dalla protagonista equivarrà al game over.

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Il mood “blu” può far piovere dalle nubi cariche, mentre quello “arancio” fa comparire delle pale che, messe in movimento, creano una corrente d’aria.

Baby va quindi condotta con criterio: inutile forzarla all’interno di una caverna buia, nella quale si rifiuterà di entrare; sarà prima il caso di illuminare l’anfratto spostando all’interno di esso una fonte di luce.
Allo stesso modo, alcune delle creature ostili possono essere abbattute con il touchscreen, ma non sempre sarà questa la soluzione più adeguata. Un’altra utile meccanica si rivela infatti essere quella dei “mood”, che corrispondono indubbiamente a stati d’animo, pur concretizzandosi nei colori e la conformazione dello sfondo: i fondali (che possono essere alterati grazie al pannello touch posteriore della console, in un processo che somiglia al mutare rapido di “quinte” teatrali) sono ricoperti da colori forti, e comportano presenze che, attivate dal giocatore, si ripercuotono sull’azione che si svolge in primo piano. Il mood “rosso”, per esempio, fa comparire sulle colline in secondo piano dei mostri sospesi a rami: scuotendo la console, questi cominceranno a ondeggiare, spaventando i personaggi principali. Il mood “blu”, allo stesso modo, può far piovere dalle nubi cariche, mentre quello “arancio” fa comparire delle pale che, messe in movimento, creano una corrente d’aria. Sfruttando le varie possibilità, bisognerà condurre Baby attraverso il difficile cammino. Si è anche fatto riferimento alla possibilità di insegnare alla protagonista, tramite le proprie azioni, cosa è buono e cosa è cattivo, in maniera arbitraria: non è chiaro, tuttavia, in che modo ciò influirà sulla progressione di gioco.

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Murasaki Baby sembra un prodotto davvero intrigante, non solo per l’estetica peculiare, ma soprattutto per la concezione matura delle meccaniche di gioco che non vengono sviscerate a ogni istante con indicazioni “a prova di idiota”, ma lasciano il piacere della scoperta e il senso di un costante e inquietante pericolo, spingendo a riflettere e a escogitare soluzioni che legano sempre l’azione fisica di gioco agli avvenimenti del gameplay.

C’è da essere orgogliosi della matrice tutta italiana del titolo: prodotto da Sony, è infatti realizzato da OVOSONICO, piccola startup italiana (diretta da Massimo Guarini, ex game director di Grasshopper Manufacture) che crea nella villa adibita a studio ogni aspetto del proprio titolo, dall’art design fino alla colonna sonora. È un lavoro appassionato, quello che si intravede dietro questo titolo, e ci auguriamo che conduca a un prodotto finale eccezionale quanto risulta da ciò che si è visto finora.