Nintendo Difference o sudditanza psicologica?

Nintendo

Chiunque ami sul serio i videogame non può che nutrire sentimenti pressoché analoghi nei confronti di Nintendo: a prescindere dai gusti personali, è difatti impossibile mettere in discussione il contributo che la casa di Kyoto abbia offerto al processo di emancipazione del medium. Per molti di noi, quest’amore affonda peraltro radici in un’infanzia dorata, i cui ricordi alimentano un legame che va ben oltre quello vigente tra produttore e consumatore. Nell’ultimo ventennio, la figura del Nintendo-Fan è andata però radicalizzandosi sempre di più, fino a trasformarsi nel più iconico esemplare di integralista videoludico: un vero e proprio samurai moderno disposto a tutto pur di sostenere la causa, si trattasse persino di negare le evidenze e andare contro i propri interessi. Al contrario di quanto accade per ogni altro brand, nel caso di Nintendo il richiamo della fede non sembra limitarsi alla sola sfera dei videogiocatori, ma tende a espandersi anche in territorio critico, dove ogni giudizio legato all’operato della compagnia viene spesso arrotondato per eccesso. Alimentata costantemente dall’eccessivo entusiasmo riservato dai più nei confronti di ogni iniziativa promossa dalla Grande N, quella che fino a qualche anno fa potevamo etichettare come una sorta di sudditanza psicologica sembra essersi ormai consolidata in una serie di postulati scientifici, rei di alterare la narrativa comune e spingere i più a gridare al miracolo anche quando ci sarebbe in realtà da storcere il naso.

L’aspetto più delicato della questione riguarderebbe, in ogni caso, l’accondiscendenza mostrata dai media nei confronti delle rispettive politiche commerciali: a parità di condizioni, nessuno mai si sarebbe, ad esempio, sognato di riservare ad aziende come Microsoft e Sony la medesima indulgenza di cui ha finora goduto Nintendo sul versante dei prezzi. Di fronte a questa sorta di doppiopesismo che è parso ancora una volta lampante a seguito della presentazione di Switch 2, fioccano spiegazioni talvolta inconsistenti: sarebbe davvero ridicolo ipotizzare che, come sostengono taluni, la ‘benevolenza‘ di cui godrebbe Nintendo nasca soltanto dal timore che i suoi cultori possano imbracciare le armi nel caso in cui qualcuno si lasciasse scappare una perplessità di troppo. Altre interpretazioni appaiono, invece, più interessanti come quella secondo cui, agli occhi di tanti, il marchio Nintendo incarni per i videogame ciò che il marchio Ferrari rappresenti per le automobili. Nonostante le prestazioni delle ultime console ‘Made in Kyoto‘ possano ricordare più quelle di una comoda utilitaria, il retaggio storico del brand conferirebbe ai titoli Switch un valore tanto speciale da giustificare l’irritante sapidità dei costi, nonché la relativa immunità al naturale processo di svalutazione del prodotto. Peccato che i videogame non invecchino però come il vino! Pur riconoscendo l’innegabile efficacia di classici del calibro di Super Mario Odyssey e Breath of the Wild, pretendere che il loro prezzo rimanga pressoché invariato a quasi dieci anni dal day-one risulta improprio almeno quanto chiederci di pagare una Switch 2 quanto una PS5 o una Steam Deck.

In relazione a un modello di business che, alla luce delle novità emerse, risulta ben più aggressivo di quello adottato da altre compagnie percepite come manifestazione fisica del ‘Male in Terra‘, viene in tal senso da chiedersi perché mai una fetta così larga di pubblico continui a inquadrare Nintendo come ultimo baluardo di virtù rimasto nell’industria. Da dove salta fuori, in sostanza, l’assunto in base al quale i creatori di Mario siano gli ultimi socialisti rimasti a combattere il dilagare del capitalismo? Difficile trovare una risposta che possa vantare adeguata oggettività: rigettando a priori ogni fantasiosa teoria del complotto e mettendo da parte il fanatismo delle più estreme frange di supporter, saremmo tuttavia tentati di ricondurre il tutto ad un grande, anzi grandissimo miracolo di marketing. Nel corso degli ultimi quarant’anni, Nintendo ha saputo difatti coltivare la propria immagine con notevole astuzia, arrivando a trasformare ogni eventuale punto debole della sua offerta in un vezzo esclusivo. Dimostrandosi stoicamente insensibile alle sirene macro-economiche delle joint multinazionali è diventata un modello di integrità; preservando la propria line-up di classici da ogni contaminazione modaiola ha poi codificato i princìpi di un format liturgico: infine ha elevato i fan a custodi di una tradizione idealmente perpetua, riuscendo a convincere ognuno di loro d’esser parte integrante di un movimento ‘puro‘ … E lo ha fatto così bene da rendere ogni obiezione assolutamente irrilevante.

Al punto in cui siamo, stabilire se Nintendo costituisca o meno il meglio che questo settore possa offrire non importa del resto a nessuno giacché, in un modo o nell’altro, la maggior parte di noi dà già per scontato che lo sia. A costo di passare per apostati, sarebbe tuttavia giunta l’ora di mettere in discussione ogni dogmatico preconcetto per sostituirlo con un approccio più sobrio, obiettivo e, all’occorrenza, severo: indulgere ostinatamente nell’idolatria corrisponderebbe infatti ad sostenere questa distorta lettura di mercato che ha portato Shuntaro Fukuwara e soci a ritenersi così intoccabili da permettersi strategie economiche sempre più elitarie e convinto il rispettivo fandom ad accettarle a priori, col tipico fervore del fondamentalista.