Skull and Bones: Ubisoft si tiene a galla – Recensione PS5

L'oceano di promesse del Live-Service targato Ubisoft si è in parte infranto su uno scoglio.

skull and bones ubisoft singapore

Siamo partiti Gordon Pym e siamo tornati Long John Silver. Così potremmo riassumere la nostra esperienza in Skull and Bones fino a questo momento. Se, infatti, all’inizio della nostra storia eravamo animati dalla stessa curiosità del personaggio di Poe, dopo ore in ammollo nelle acque dell’Oceano Indiano non potevamo non sviluppare la stessa resilienza tipica del pirata ideato da Stevenson. Uscito dopo 11 anni dall’inizio dei lavori – cominciati a ridosso di Assassin’s Creed Black Flag, di cui doveva essere una espansione – Skull and Bones rappresenta l’opera prima per gli studi Ubisoft di Singapore. Probabilmente, però, sarà anche l’ultima.

Il gioco, che mentre scriviamo sta vivendo Raging Tides la Stagione 1 (di 4 del primo anno) del Live Service, non sta performando come sperato. Lanciato a metà febbraio, i report descrivono una situazione server disastrosa. Secondo un report di Forbes, nelle acque dell’Oceano Indiano ci sono già meno giocatori di quelli presenti nella Metropolis di Suicide Squad: Kill the Justice League. Qui la recensione del gioco di Rocksteady.

Al timone, mozzo. Skull and Bones ci promuove capitano fin troppo presto

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Nel corso di questi 11 anni di sviluppo, il gioco ha cambiato direzione e natura più volte. Se, infatti, tutto era nato come estensione di AC IV Black Flag, un titolo cioè completamente incentrato sugli scontri navali ma senza Illuminati e Templari di mezzo, nel giro di qualche anno le direttive sono cambiate. Ora un RPG story-driven ma open world, ora un multiplayer basato sugli scontri navali, ora un survival le cui attività a terra avrebbero richiamato Rust. Tutti cambi di direzione avvenuti con conseguente dilatazione dei tempi e sforamento del budget. Da ognuna di queste pelli, Skull and Bones conserva una cicatrice. Diluito, insomma, come il Grog (Rhum misto acqua).

Le premesse narrative sono piuttosto basilari, ma vengono introdotte solo successivamente. Siamo subito infatti gettati nell’azione: il gioco comincia con uno scontro navale dal quale non possiamo che uscire sconfitti. Naufraghi, ripareremo insieme a due altre persone su un Dai (una piccola barca da pesca). Eletti capitano dai compagni di sventura, faremo rotta verso l’isola di Saint’Anne, HUB principale del gioco e luogo dove tutto verrà chiarito.

Siamo parte della ciurma del pirata Scurlock. La nave sulla quale viaggiavamo faceva parte della sua flotta. L’affondamento di questa ha rappresentato un danno per Scurlock che si trova così sotto di un galeone, di un buon numero di uomini e di un capitano fidato, soprattutto. Qualcosa – probabilmente il plot armor – convincerà il suddetto che noi siamo la persona giusta per andare al comando di un manipolo di uomini e riconquistare quanto perduto. Oro, argento e soprattutto onore. E poi, oltre quello, a detta di Scurlock abbiamo anche le carte in regola perché il nostro nome diventi famoso in tutti i sette mari… tanto vale provarci, no?

Da qui in poi, Skull and Bones si perde già

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Il mio primo Bedar, soprannominato “Ginger”

Esaurite le – blande – premesse narrative, siamo già abbastanza liberi di esplorare purché ci accontentiamo di farlo a bordo del Dai iniziale. Qualora invece cercassimo una esperienza più completa, saremo pressoché costretti a darci da fare per le viuzze di Saint’Anne e soddisfare le richieste del carpentiere, del falegname e del fabbro. Solo così potremo accedere ai primi progetti per costruire una imbarcazione più evoluta e dotata di qualche arma con cui attaccare e difendersi. La prima che verrà sbloccata è il Bedar. Piccolo e agile, il Bedar ci permetterà di avventurarci per mare sperando pure di sopravvivere.

In tutto ci saranno circa una decina di imbarcazioni diverse da sbloccare, ognuna con le proprie caratteristiche e le possibili ‘build’ da applicare sopra. Dagli agili brigantini ai maestosi galeoni alle resistenti golette. Ogni nave differisce dalle altre per capienza della stiva (uno degli aspetti di cui tenere conto), velocità massima raggiungibile col vento in poppa (espressa in nodi), resistenza (salute) dello scafo e disponibilità di slot per armi e arredi addizionali. Questi elementi li approfondiremo più avanti, ma senza scendere nel dettaglio.

Non riusciremo subito a salpare a bordo di navi più grandi. Prima, dicevamo, sarà necessario soddisfare le richieste di tre delle figure più importanti di Saint’Anne: il Carpentiere, che costruirà le varie navi, il Falegname, che si occuperà di realizzare per noi preziosi strumenti di lavoro, e il Fabbro, a cui è demandato il compito di armarci con l’artiglieria pesante. Prima di avere accesso a una nave completa, dovremo completare quelle che sono né più né meno che fetch quest: recuperare cioè materiale necessario alla costruzione.

Come accadde per The Day Before, l’impressione che abbiamo avuto è che la parte iniziale, intesa come quella che precede l’avventura vera e propria, sia stata volutamente allungata nella speranza di sfondare il muro delle due ore di gameplay. Sia chiaro, si tratta di un sospetto basato sulle impressioni avute giocando, ma non abbiamo potuto fare a meno di pensarci.

Il gameplay loop stanca piuttosto velocemente

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Skull and Bones, abbiamo detto, ha cambiato più volte pelle. Il concept iniziale – quello di espansione di AC IV interamente basato sulle battaglie navali – risulta parecchio diluito. Resta l’idea di un mondo condiviso dai videogiocatori che qui si improvvisano pirati. Siamo insomma di fronte a un multiplayer always on-line (sia su PlayStation 5 che su Xbox Series X/S è necessario essere abbonati ai relativi servizi per avviare il gioco).

Una volta dentro, dicevamo, condivideremo le isolette e le acque dell’Oceano Indiano sia con le varie fazioni presenti in-game, sia con altri giocatori. La mappa si aprirà davanti a noi man mano che esploreremo. Dapprima ci muoveremo all’interno di un’area circoscritta. Il gioco ci permette però il free roaming. Ciò significa che qualora volessimo potremo spendere tutto il nostro tempo a esplorare. Le dimensioni della mappa sono comunque piuttosto contenute.

Per ciò che attiene le varie fazioni, ce ne sono circa una dozzina. Approfittiamone per illustrare subito una delle meccaniche all’interno del gioco. Non esiste uno schieramento definito contro cui combattere. Per citare un personaggio che qui probabilmente ha poco a che fare: “gli amici di oggi sono i nemici di domani”. Esistono, chiaramente, comportamenti diversi: I Fara, per esempio, saranno già molto diffidenti mentre i membri del Popolo del Mare molto più amichevoli.

Di base, comunque, attaccare una o più navi di un determinato schieramento attirerà su di noi l’avversità di tutte le altre imbarcazioni battenti la stessa insegna. Più volte affonderemo imbarcazioni di un determinato schieramento, maggiore sarà il tempo necessario a far tornare una situazione di neutralità. Un periodo durante il quale potremmo essere attaccati a vista e inseguiti qualora ci avvicinassimo troppo ai vascelli dei nostri avversari.

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Gli altri due sopravvissuti all’affondamento del

A tal proposito, a che schieramento apparteniamo noi? Nominalmente noi, così come tutti gli altri giocatori umani, facciamo parte della grande flotta dei pirati di Saint’Anne. Questo, comunque, non ci impedirà in alcun modo di attaccarci a vicenda nel tentativo di sottrarre risorse da una nave. Certo, è previsto anche un sistema di alleanze che permette la formazione di piccole flotte (fino a tre giocatori e altrettante navi), che si troveranno a far scorribande insieme.

Un sistema frustrato però dall’assenza di una chat vocale, ad esempio, che rende molto più macchinosa la comunicazione con altri gamer, specie se – ad esempio – fossimo gli unici della nostra cerchia di amici ad aver scelto la via del mare. Insomma, l’idea di una piccola flotta è suggestiva, ma preclusa a chi si trovi a giocare con sconosciuti. Il resto delle poche interazioni possibili è costituito da emote basilari come il saluto e il balletto.

Questo, unito all’apparente assenza di un vero e proprio criterio di accesso ai sever, dove quindi convivono gamer già di livello più avanzato fianco a fianco con completi novizi, dà una certa idea di unfairness specie nel caso in cui dovessimo trovarci sotto il fuoco delle bombarde nemiche. Il senso di solitudine e di un ‘mondo contro’ si acuisce ulteriormente nel momento in cui ci trovassimo – disgraziatamente – ad accettare contratti con richieste superiori alle nostre possibilità.

Non siamo corsari. Quasi

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Non che ci vengano affidate delle vere e proprie Lettere di Corsa, di quelle che solitamente i sovrano rilasciavano a navigatori con licenza di assaltare quella o quell’altra fazione nemica, ma poco ci manca. Non ci saranno solo gli NPC ad affidarci determinate quest. Potremo anche accettare gli incarichi presenti nelle varie bacheche presenti negli insediamenti che visiteremo, un sistema molto simile a quello visto in The Witcher 3, per fare un esempio immediatamente riconoscibile per tutti.

Per ognuna delle missioni viene fornita una breve descrizione dei compiti da svolgere e un elenco delle ricompense che potremo attenderci. Materie prime che faranno da ingredienti per la costruzione di armi, munizioni, mobilia ausiliaria e intere imbarcazioni; argento (la valuta utile per gli acquisti di progetti e altri oggetti in-game); e soprattutto “Infamia”, la vera misura del nostro valore sul campo. Maggiore l’infamia, maggiore il nostro livello, maggiore la reputazione agli occhi di Scurlock.

La crescita di questo parametro ci darà idealmente accesso ai progetti per la costruzioni di imbarcazioni e armi più avanzate con le quali affrontare missioni via via più impegnative e quindi remunerative. Altre attività minori potrebbero essere individuate anche per mare. Stipulare un contratto con una imbarcazione in difficoltà ci impegna a difenderla da attacchi, scortarla a destinazione sana e salva o partecipare a una battaglia fianco a fianco.

Il problema è subito palese: tolto il recupero di determinati materiali e l’assalto a quella o quell’altra imbarcazione di una certa fazione, la varietà di attività possibili si esaurisce piuttosto velocemente. Certo, siamo pirati: che altro ci aspettavamo di fare se non assaltare vascelli ed esplorare i mari?

Qualche rinuncia di troppo?

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Se le attività in mare sono limitate, quelle a terra sono ancora minori. Fatta eccezione per l’interazione con gli NPC per motivi di trama, per l’accesso ai vari shop (a Saint’Anne ognuno è specializzato in qualcosa), a terra non c’è sostanzialmente altro da fare. Non sarà possibile nemmeno reclutare uomini o donne da imbarcare. La nostra ciurma salterà fuori sostanzialmente dal nulla man mano che costruiremo navi più grandi.

Attività interessanti da fare ‘in prima persona’ come l’abbordaggio di una nave nemica o l’assalto a un insediamento vengono demandate alla nostra ciurma. Nel primo caso, addirittura, basta danneggiare a sufficienza lo scafo nemico e mettersi nella corretta posizione per avere un successo assicurato. Quand’anche Ubisoft Singapore possa aver avuto l’idea di inserire un qualche tipo di combattimento ‘di persona’, nella versione retail non se ne trova alcuna traccia. Un’assenza che pone Skull and Bones parecchio indietro rispetto a quello che è percepito come il suo concorrente più prossimo: Sea of Thieves.

Condurre la nave risulta però soddisfacente

Va però sottolineato che la navigazione in mare aperto restituisce un certo senso di soddisfazione. La velocità della propria imbarcazione, che varia in base al numero di vele spiegate e alla direzione del vento, viene resa efficacemente. Parte del merito è, probabilmente, di DualSense. Durante i combattimenti, oltre l’indicatore dello stato di salute dello scafo, potremo renderci conto dei danni ricevuti proprio dallo stato in cui versano le vele. Maggiore il danno, più strappate appariranno.

A proposito, finché l’indicatore non raggiunge lo zero saremo pur sempre in grado di riprenderci con l’ausilio dei kit di riparazione (veri e propri medikit che però richiedono un periodo di cool-off prima di poter essere riutilizzati, così da evitarne lo spam). Esistono poi determinati tipi di armi che possono provocarci veri e propri danni di stato: sarà necessario quindi tenere a mente questa possibilità una volta ottenuto l’accesso agli strumenti difensivi della nave.

La combinazione di questi con armi diverse e via via più avanzate ci permetterà di mettere a punto una vera e propria build personalizzata che risponda alle nostre esigenze e al nostro stile di navigazione. Bisogna però ammettere che, almeno nella nostra esperienza, ben poca differenza si percepisce tra le diverse tipologie di cannoni. A maggiore potenza di fuoco corrispondono maggiori danni per gli avversari. I pochi guizzi strategici vengono demandati all’impiego di armi a corto o lungo raggio ed, eventualmente, bombarde o armi incendiarie.

Forse meglio implementata poteva essere la meccanica di “stamina”. Imponendo infatti alla ciurma di armarsi per la velocità massima farà apparire una barra della stamina che si esaurirà in modo relativamente rapido. Questo ci impedirà di mantenere la velocità massima troppo a lungo imponendoci o una pausa o il consumo di cibo cotto preparato presso uno dei fuochi presenti a terra (o acquistato in uno shop).

Skull and Bones: tiriamo le somme

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Risolviamo un dubbio: Skull and Bones può essere molte cose, ma non certo un Quadrupla A. Un’attesa lunga dieci anni (per quanto prime le prime idee fossero addirittura antecedenti), che è però stata funestata da numerosi cambi di rotta. È solo un miracolo che l’intero progetto non abbia finito con il naufragare.

Questo, però, non gli ha impedito di arenarsi più volte. Copiose le occasioni in cui abbiamo parlato di rinvii. Le voci dei quality tester che per primi hanno messo le mani sul gioco poche speranze lasciavano al grande pubblico.

Non siamo certo di fronte alla situazione disastrosa che veniva descritta. Ubisoft Singapore si è con tutta evidenza impegnata per mettere sul mercato un prodotto accettabile. Abbiamo speso diverse ore per mare. Tolto qualche sporadico rallentamento, specie nei momenti di sbarco/imbarco, non ci è parso di ravvisare i leggendari bug che hanno contraddistinto altre grosse produzioni del publisher francese.

Va segnalato come, in termini grafici, la differenza tra i momenti in nave e a terra sia piuttosto evidente. Ciò detto, questo non impedisce a Skull and Bones di regalare di tanto in tanto qualche scorcio interessante.

Peccato per un gameplay che, alla lunga, potrebbe stufare molti videogiocatori, specie quelli meno interessati al grinding. Certo, siamo pur sempre di fronte a un live-service il cui funzionamento – non lo nascondiamo – ci ha a tratti ricordato quello di GTA Online. A risollevare le sorti di Skull and Bones adesso dovranno pensarci gli eventi in-game. Eventi che, con buona probabilità, verranno portati a termine da quei pochi che saranno riusciti a organizzarsi in squadre affiatate e a raggiungere livelli di evoluzione sufficienti.

A proposito. Come ogni live-service, anche Skull and Bones prevede degli acquisti dallo shop in-game (da non confondere con i negozi dei vari NPC cui ho fatto riferimento per tutta questa recensione). Attraverso valuta reale è possibile acquistare soprattutto accessori cosmetici per la propria imbarcazione e la propria ciurma. Acquisti, dunque, perfettamente opzionali e non necessari per proseguire nel gioco.

La parola passa a voi. Avete giocato a Skull and Bones? Lo state ancora giocando o avete preferito tornare coi piedi per terra?

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
6.5
skull-and-bones-ubisoft-si-tiene-a-galla-recensione-ps5Avete presente come la foschia che copre il mare all'alba distorce e sfuma i contorni? Così ci è parsa la natura di Skull and Bones: un live service che nulla offre di davvero diverso rispetto a tanti altri competitor sul mercato eccetto l'ambientazione piratesca. Un pregio? Dipende dai gusti, ma di certo non basta questa scialuppa a navigare un intero oceano. Le promesse di Ubisoft? Come onde si sono infrante sugli scogli.