Eiji Aonuma, storico autore della serie Zelda a partire da un certo Ocarina of Time, ha fatto nuovamente centro. The Legend of Zelda: Tears of the Kindgom ha infatti conquistato un metascore stellare su Metacritic e ha conquistato anche noi di Gametime, come potrete vedere nella nostra recensione. Digital Foundry non è stata da meno, con John Linneman che è rimasto piacevolmente sorpreso dal gioco.
Ricordiamo che la stessa Digital Foundry aveva esposto più di una perplessità sul comparto tecnico del gioco, apparentemente così bello da risultare impossibile su Nintendo Switch. Questo aveva portato i giornalisti a ipotizzare l’annuncio di una versione potenziata della console, annuncio poi mai arrivato. Questo significa che il gioco non ha subito downgrade sin dall’annuncio? Non esattamente. Digital Foundry ha infatti dovuto far presente che la qualità grafica mostrata nel primo reveal ufficiale non è stata raggiunta.
Detto questo, il lavoro svolto da Nintendo è encomiabile e riesce a sfruttare davvero ogni briciolo di potenza di Nintendo Switch, aiutata anche da AMD FSR 1.0. Con una risoluzione di partenza di 900p, poi upscalata in 1080p, il gioco non presenta particolari differenze rispetto al predecessore. L’immagine è un pelo più definita, ma sul discorso risoluzione ci si può fermare qui.
Ciò che ha colpito il team è il framerate. Con l’arrivo della versione review, contenente la patch D1, il gioco ha subito un miglioramento netto nel framerate. The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom gira a 30fps nella maggior parte degli scenari, con solo poche situazioni a mettere alla frusta la console. Un esempio è quando usiamo l’Ultrahand, il potere di crafting. Esso richiede molta potenza e, in scenari particolarmente densi, comportà una perdita anche del 20% nelle performance.
Il discorso si applica anche al villaggio di Cocorico, che risulta essere nuovamente la zona più pesante del gioco, esattamente come in Breath of the Wild. Il gioco, in questa situazione, arriva a scendere a 23fps, e il drop è ancora maggiore se utilizziamo Ultrahand. Nulla di particolarmente proibitivo, e in generale il miglioramento rispetto al predecessore è netto, soprattutto a fronte di tutte le migliorie grafiche sul pop-in e sulle nuvole, sempre in 2D ma generate proceduralmente.
The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom è dunque, a conti fatti, Breath of the Wild elevato all’ennesima potenza. Considerando che parliamo di quello che, per GQ, è il gioco migliore di tutti i tempi, l’affermazione di Linneman ha un certo peso.
Fonte: Digital Foundry