Un’esistenza a noleggio

editoriale crisi proprietà digitale e licenze EULA

Quando in un’intervista rilasciata a GamesIndustry.biz nel 2024, Philippe Tremblay di Ubisoft dichiarò che la compravendita di software digitale “non implica l’effettiva proprietà, ma solo la possibilità di usufruirne per un intervallo di tempo indefinito” non svelò chissà quale Segreto di Fatima. Chiunque avesse mai stipulato un abbonamento a piattaforme come Netflix, Amazon Prime, Disney+, Apple TV o Sky sapeva del resto benissimo che ogni contenuto in catalogo sarebbe stato “suo” previo pagamento di un canone e fin quando i titolari dei diritti l’avrebbero permesso. Ciò nonostante, quell’affermazione così tranchant sganciata sui civili senza addolcirla col solito politichese, ha colpito la nostra comunità nel profondo costringendoci a fare i conti con una criticità che, normalmente, avrebbe avuto senso solo se messa in relazione alla natura mortale dell’uomo. All’apice di una civiltà che ruota intorno al verbo avereci siamo invece ritrovati di colpo orfani del concetto di proprietà e condannati, di rimando, ad apprendere le regole di un’esistenza 3.0 in cui tutto è a portata di mano, ma nulla ci appartiene. Gli estremi di questo paradosso lambiscono già da tempo molti aspetti della nostra quotidianità ed è lecito supporre che, ben presto, l’unico elemento concreto del rapporto che ci lega ai provider e, per estensione, ai beni di cui usufruiamo sia costituito dal denaro con cui paghiamo abbonamenti e spazi di archiviazione.

Il patto col diavolo

Come facile intuire, gli equilibri di un sistema economico che nemmeno George Orwell sarebbe riuscito a immaginare, risultano inesorabilmente alterati: non era del resto mai successo nella storia del commercio che un individuo spendesse l’intero valore di mercato di un prodotto senza poterlo ritenere proprio. Va da sé che la licenza di usufrutto si sia subdolamente sostituita all’atto di proprietà e che l’acquisizione sia stata rimpiazzata da un labile accesso condizionato da vincoli spesso estranei alla volontà del singolo investitore. Da un punto di vista tecnico la stessa figura dell’acquirente è destinata di fatto a sparire dal vocabolario, per essere sostituita dalla più aberrante concezione di consumatore: un misero vassallo che, pur di preservare il suo posticino alla mensa del popolo, alimenta di tasca propria un circuito destinato unicamente ad arricchire il Signore Feudale di turno. Logicamente, in un’equazione che non prevede l’equo scambio tra produttore e compratore, non può esservi spazio per diritti, negoziati, garanzie, compensazioni e rassicurazioni. Nel momento in cui l’entità cui abbiamo arato i campi per anni dovesse ritenere che il gioco non valga più la candela, si limiterà pertanto a staccare la spina per dedicarsi allo sfruttamento di un altro ecosistema… E quando proveremo a sbattere i pugni sul tavolo, ci sarà fatto cortesemente notare che detta eventualità era prevista dal patto EULA (End-User License Agreement) che abbiamo siglato cliccando sulla voce “accetto” posta in calce ai papiri che ci vengono sottoposti ogni volta che accediamo al titolo che avremmo appena comprato.

Crisi di identità

In un futuro prossimo dove l’idea stessa di proprietà costituirà solo il vago retaggio di un passato analogico e i prodotti di cui disponiamo avranno carattere unicamente effimero, è verosimile ipotizzare rischi concreti anche per la nostra identità digitale: a ben vedere, l’ipotesi che anche quest’ultima possa andar soggetta a vincoli contrattuali, rinnovi periodici, canoni sempre più esosi e procedure di approvazione via via più rigide, fatica in effetti a rientrare in previsioni meramente distopiche. E allora che si fa? La domanda è tanto lecita quanto futile, giacché i buoi hanno già lasciato i recinti da un pezzo. In questo senso sarebbe più indicato chiederci se esistano ancora margini per tutelare quel po’ di autonomia che ci resta. È opinione diffusa che l’unico antidoto all’esistenza on-demand consista nel puntare sul mercato fisico in ogni contesto possibile e non soltanto acquistando libri, videogame, film e dischi in detto formato, ma anche attraverso una previdente opera di stampa delle nostre foto e i nostri documenti più sensibili giacché, anche in questo ambito, i parametri di accessibilità rimangono legati alle esigenze dei provider. È chiaro che, in un mondo che spinge maledettamente forte per tagliare ogni residuo legame tra i beni tangibili e la linea di mercato, procurarsi il materiale costituirà impresa sempre più faticosa, ma l’alternativa è sicuramente peggiore. Senza l’indipendenza assicurata dal concetto di proprietà, ogni individuo non è che un cliente perpetuo, orfano di reali diritti e costantemente in balia di forze economiche che non può controllare.

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