È semplicemente incredibile. Ogni giorno che passa, le tematiche di Death Stranding tendono a divenire sempre più attuali. Come un profeta armato di sfera di cristallo, l’open world esclusiva (per ora) PlayStation 4 sembra aver stilato una lista infinita di tutto ciò che questo 2020 ci avrebbe riservato.
Parliamo di grandi spunti di discussione sulla razza umana, sulla natura che questi stanno distruggendo. Ma anche di menefreghismo, dell’incapacità di una razza di essere fantasiosa, attiva, unita.
Di Hideo Kojima, storico creatore della saga di Metal Gear e, più recentemente, del discusso Death Stranding, abbiamo già detto praticamente tutto. Le sue critiche politiche e sociali sono seconde solo alla sua incredibile capacità di anticipare, spesso anche di pochissimi mesi, la prossima problematica mondiale.
Non dimentichiamo che Kojima è anche l’uomo dietro Sons of Liberty, che a suo tempo profetizzò l’avvento dei social network e di un internet “Pieno di spazzatura e fake news“, come lo definisce il finto Campbell nel famosissimo dialogo finale. Una rete abitata da persone che vomitano odio, disinformazione e che ogni giorno contribuiscono ad aumentare la pila di rifiuti digitali in cui annaspiamo.
Da un mondo separato a causa di un male invisibile, a una nazione che riscopre la sua forza nell’abbattimento di ogni muro, materiale o concettuale che sia. Questo è invece Death Stranding: un’ode al costruire ponti, legami tra le persone, e mai barriere. Perché, come racconta l’ultima opera di Kojima, è la storia stessa ad anticiparci la prossima estinzione.
E se c’è una cosa che scalda il cuore, è notare come gli stessi interpreti dell’opera abbiano preso a cuore quelle tematiche e le stiano riutilizzando, sui social, al fine di sensibilizzare. Il caso Floyd è solo un’altra faccia marcia della nazione che Kojima, in ogni suo lavoro, attacca aspramente.
Se lo stesso Norman Reedus, giorni fa, ha insegnato a tutti cosa significhi scendere in prima linea e lottare per i diritti delle minoranze, adesso è Tommie Earl Jenkins a prendere il microfono. Il punto di vista dell’attore che ha interpretato Die Hardman, infatti, è interessante per una serie infinita di motivazioni. In primis, per ciò che rappresenta il suo personaggio: un politico bacato, pieno di segreti e che nasconde la sua vera, terribile natura dietro una maschera, simbolo di potere e di morte.
“Che non ci siano più muri tra noi, né maschere a nascondere chi realmente siamo. Che da oggi possa nascere una nuova America”, possiamo infatti leggere sul suo account ufficiale Facebook. Una citazione piccola che, nel contesto in cui era piazzata, pesa come un macigno. Una voce di speranza verso il futuro, ma semplice facciata di tutte quelle bugie che continueranno ad essere fondamenta della nazione.
Quel che dice Death Stranding, tramite il personaggio di Jenkins, è che forse non c’è davvero salvezza. Forse, siamo davvero destinati a essere bloccati in una spirale di corsi e ricorsi storici, come ricordato da Die Hardman. Il nuovo che eredita, volente o nolente, gli errori del vecchio. Ciò non significa che dobbiamo restare a guardare.
“Il domani è nelle nostre mani”, del resto. E, come ci spiegava la sua Amelie, in uno dei finali più indimenticabili di sempre: in veste di esseri umani, abbiamo due scelte.
Restare a guardare, e lasciare che il mondo finisca. O lottare con le unghie e con i denti, sanguinare, sudare, perché quel mondo possa vivere solo un secondo in più.
“Nella società di oggi, tutti cercano di alzare muri“, raccontava anche Hideo Kojima in un’intervista. “Col mio gioco, voglio far capire l’importanza di stringere legami“. Ci son momenti in cui la teoria deve, però, diventare pratica. E con esempi di questo calibro, è ancor più facile diventare eroi anche nella vita vera.
Fonte: Facebook