La nostra recensione di Fire Emblem Warriors: Three Hopes, in uscita il 24 giugno 2022 su Nintendo Switch.
Sono passati ben cinque anni dalla prima collaborazione tra Nintendo e Koei Tecmo nello sviluppo di Fire Emblem Warriors. Quest’anno, vedremo di nuovo i due franchise unire le forze per l’uscita del nuovo entusiasmante titolo: Fire Emblem Warriors: Three Hopes. Il titolo è un action role-playing game in stile hack and slash sviluppato da Omega Force e pubblicato da Nintendo.
Come il suo predecessore, il gameplay ricorda molto la serie di Dinasty Warriors. La trama riprende le vicissitudini di Three Houses ma è più un “what if”. Nonostante sia un genere largamente – e anche ingiustamente – bistrattato, quello del musou sembra fare particolarmente gola a Nintendo negli ultimi tempi. Alcune delle sue saghe principali, del resto, si son concesse delle digressioni nel picchiaduro ad arene, e basti già solo pensare al recente Hyrule Warriors.
Ora è tempo che Fire Emblem passi al musou, e che abbandoni i vecchi tecnicismi per lanciarsi in scontri molto più forsennati. Three Hopes, spin off di Three Houses, è proprio questo. Per quanto ai fan di vecchia data non suonerà totalmente nuovo un Fire Emblem totalmente action, i nuovi si ritroveranno sicuramente estraniati da questo pesantissimo cambio di rotta.
La domanda quindi sorge spontanea: ne è valsa davvero la pena?
Chiariamo subito che, a differenza del musou di Zelda, Fire Emblem Warriors: Three Hopes è più difficile da definire canonico. Se Hyrule Warriors in qualche modo cercava di fare luce sul passato degli eventi distruttivi già visti in Breath of the Wild, questa costola di Fire Emblem ripesca a piene mani quanto già narrato in Three Houses: tre casate si fanno la guerra, e saranno tantissimi i volti familiari a tornare.
Stavolta, però, con al centro un nuovo protagonista. Protagonista che in qualche modo sembra impattare in prima persona sugli eventi già conosciuti per cambiarli, nel piccolo e nel grande. Possiamo chiamarlo quindi un “what if”, più una voglia di riraccontare una storia già vista ed espanderla, piuttosto che volerla proseguire in chissà che modo. Del resto, i multiversi ormai sono la grande moda, e Fire Emblem Warriors: Three Hopes sembra volersi ascrivere a questa nomenclatura.
In ogni caso, non aspettatevi la verve e la cura vista nel capitolo principale. Gli eventi sono narrati molto più velocemente, e l’introduzione dei vari personaggi è molto meno accentuata che in passato. Questo significa che una conoscenza della trama originale è comunque richiesta, se si vuole capire appieno cosa sta succedendo.
Ciò che sorprende, invece, è come va ad estenderla con nuovi dialoghi e interazioni, soprattutto coi tanti comprimari. Sotto questo aspetto, questo musou prende quasi l’aspetto di un’espansione. Se narrativamente è difficile da catalogare, quello che possiamo sicuramente confermarvi è che il feeling da Fire Emblem c’è tutto. Anzi, non ci fossero state le battaglie per mezzo, avremmo spesso persino dimenticato di non stare giocando a un capitolo principale.
Questo feeling è stato mantenuto, per assurdo, anche nelle fasi d’azione. Per quanto strano possa sembrare, Three Hopes non è un musou come tutti gli altri. Pur non centrando in pieno l’obiettivo (e di questo ne parleremo poi), prova comunque a mantenere l’impronta della saga primaria, pur traslandola in una matrice completamente differente. C’è persino la possibilità di mantenere il permadeath, per dire, e ogni nemico e alleato è costellato da una sequela di debolezze e vantaggi che quasi lo fanno sembrare uno strategico.
Certo, la legge pura delle mazzate scavalca comunque tutto, ma è carino che abbiano provato a mantenere i capisaldi della serie strategica anche nel passaggio a un genere che, di strategico, ha poco o nulla.
Ci si ritrova quindi spesso a decidere come dividere le proprie truppe nella conquista dei vari avamposti, e a scegliere con più cura quale alleato spedire contro il cattivo di turno. La possibilità di cambiare classe dà anche un buon tocco di varietà al gameplay. Un aspetto da non sottovalutare, soprattutto in un genere famoso per non esserlo mai chissà quanto.
Stringere legami a casa propria e vedere i risultati sul campo di battaglia ha sicuramente il suo fascino, ma Fire Emblem Warriors: Three Hopes non riesce comunque a scappare dall’ombra del musou, quella che solo in parte ha colpito Hyrule Warriors e che invece qui impatta leggermente di più.
Il gioco, per sua natura, non riesce a uscire dai classici canoni del genere e può finire per sembrare davvero ripetitivo più prima che poi. In parte, la profondità strategica e la personalizzazione degli eroi rimandano questa sensazione, che comunque giunge lesta anche già solo durante la durata della prima campagna.
Non aiuta un comparto grafico scialbo e poco ispirato, ben al disotto delle potenzialità di Nintendo Switch. Ancora, sappiamo benissimo che gli ambienti spogli e la arene quadrate vuote sono un classico del musou, ma un maggior occhio di riguardo verso la direzione artistica avrebbe sicuramente aiutato a tamponare questa problematica.
Fire Emblem Warriors: Three Hopes, sotto questo aspetto, fa veramente poco per mascherarla. Il risultato è quantomeno un frame rate stabile sia in modalità docked che portatile, quindi riusciamo a trovare un senso al pesante downgrade.
Fire Emblem Warriors: Three Hopes, sorprendentemente, è un titolo rivolto tanto ai fan dei musou quanto agli aficionados classici della saga strategica. Prende un po’ da entrambi i mondi, creando un miscuglio peculiare di azione e tattica, ma senza raggiungere chissà quali vette né nell’uno né nell’altro aspetto. Le possibilità son tante, la longevità soddisfa, ma ci vuole davvero poco perché diventi “il classico ennesimo musou”, ed è davvero un peccato.
È un peccato perché il feeling da Fire Emblem c’è, così come molte delle particolarità che hanno reso la serie principale un must tra gli hardcore gamer. La sua stessa natura di base potrebbe spingere più di una persona a cercare qualcosa di più vario e profondo, però, ed è un monito da tenere sempre a mente. Un quadro artistico spento e senza sapore, purtroppo, non aiuta ad alleggerirne i problemi.