Siete gamer appassionati? Vi conviene dirlo al prossimo colloquio di lavoro. Secondo una ricerca commissionata da YouTube a CensusWide, i rappresentanti della GenZ (soprattutto) appassionati di Gaming hanno buone possibilità di ottenere il posto di lavoro per il quale si candidano, a patto di menzionare la loro passione al recruiter.
Nel corso dell’indagine sono stati proprio i recruiter a rispondere ad alcune domande sul tema. Quasi 7 su 10 (il 69%) hanno affermato che citare quella passione in loro presenza potrebbe portare a un esito positivo del colloquio di lavoro. Il motivo è presto detto: il 64% degli addetti ai lavori afferma che i gamer avrebbero dalla loro una carta in più.
Gamer avvantaggiati nella ricerca di lavoro: perché? Lo spiegano i recruiter
Alcune delle esperienze accumulate pad (o mouse e tastiera) alla mano si trasformano in soft-skill sul posto di lavoro. Capacità che, sempre secondo i recruiter, i videogiocatori sarebbero più propensi e bravi a trasmettere ai colleghi. Peccato, dicono ancora gli intervistati, che ai colloqui questa passione emerga poche volte. Solo 4 su 10 candidati appartenenti alla GenZ cita il gaming tra gli hobby praticati. Genuino disinteresse o paura di un vecchio stigma? Difficile da dirlo.
Più facile, invece, capire quali siano le competenze tanto agognate dai recruiter e assorbite in anni e anni di sudore davanti allo schermo. Secondo i responsabili HR, i gamer sviluppano problem solving, pensiero strategico e capacità di mantenere la calma anche sotto pressione. E proprio queste sono le caratteristiche che, dicono sempre i cacciatori di talenti, possono fare la differenza tra un “assunto” e un “le faremo sapere”.
Giovani diffidenti: per loro solo un hobby
I microfoni dei ricercatori sono poi passati sotto al naso dei giovanissimi. La GenZ, ora tra i 18 e i 26 anni, pare concordare su alcuni punti. Anche secondo loro è vero che giocare permette di assorbire alcune soft skill. Sono 9 su 10 i giovani che citano il gaming come hobby. Quasi la metà gioca regolarmente, 4 su 10, invece, in maniera più occasionale.
Tra i ‘gamer’ però serpeggia una certa diffidenza circa l’opportunità di menzionare la passione nel CV. Il 68%, infatti, è convinto ancora che parlare di videogiochi durante il colloquio di lavoro potrebbe lasciare una brutta impressione al recruiter, il resto trova invece che possa essere una buona idea. Ma solo il 40% di loro lo farebbe davvero. Il motivo? Pur consapevoli di garantirsi così un argomento jolly durante il colloquio, solo il 22% degli intervistati è convinto che il gaming offra davvero loro delle carte in più.
Cosa dicono gli esperti?
“Le competenze acquisite attraverso il gaming possono essere molto importanti nel mercato del lavoro di oggi. E proprio al gaming è stato riconosciuto il merito di aver contribuito a incoraggiare le persone ad avvicinarsi al settore tecnologico. Gli hackathon, ad esempio, hanno generato un chiaro crossover tra gaming e programmazione. Quando si tratta di includere il gaming come parte del proprio CV, la questione è come renderli pertinenti al lavoro per cui ci si propone o come questi rendono un candidato più interessante come potenziale dipendente” dice Ian Storey, Director di Hays, azienda specializzata proprio nel recruiting.
“Non sorprende che i gamer abbiano compreso il legame tra gaming e lavoro. Il gaming può aiutare a sviluppare importanti capacità occupazionali, come comunicazione, intraprendenza e adattabilità. Un gamer può creare connessioni tra ciò che sta facendo in un videogame e ciò che potrebbe dover fare nel lavoro o nello studio, e sentirsi sicuro di avere gli strumenti a sua disposizione per avere successo, perché ha fatto qualcosa di simile nel proprio videogame preferito.” E aggiunge: “Per decenni ci è stato detto che praticare uno sport di squadra, ad esempio, è una buona cosa. Lo stesso si può dire dei videogiochi di squadra. Infatti, nel mondo digitale il tipo di cooperazione online richiesta dai videogiochi è forse più rilevante che mai” chiosa Mathew Barr, Senior Lecturer in Computing Science all’Università di Glasgow. Barr studia il legame che intercorre tra gaming e attività professionali.
Insomma. Volete far colpo? Mettere i videogiochi tra gli hobby sul CV non farà certo male. Ovvio, la parte difficile è arrivare al colloquio. Lo sa bene quell’ingegnere che ha fatto ricorso a una IA per inviare 5.000 candidature ma con scarsi risultati.