Tra i topic più interessanti della GDC 2015 non poteva mancare quello dedicato alla simulation sickness che in molti provano quando si trovano di fronte ad uno schermo (e non solo nella VR).
Secondo gli studi del ricercatore Ben Lewis infatti circa il 10% dei videogiocatori soffre di simulation sickness, una percentuale che gli sviluppatori stanno cercando senz’altro di ridurre soprattutto considerando che il futuro dei videogames potrebbe essere proprio la VR.
Secondo alcune teorie, la simulation sickness può essere dovuta a tre motivi: conflitto dei sensi (la mente si aspetta un input ma ne riceve un altro), instabilità della postura (la mente non riesce a trovare tutti gli elementi necessari per sentirsi in equilibrio) e teoria del veleno (il corpo percepisce dei problemi ai sensi dell’equilibrio e li legge come sintomi d’avvelenamento, stimolando la sensazione di rigurgito).
Principalmente queste teorie sono dovute tutte ad una caratteristica umana chiamata Equilibrioception o più comunemente senso dell’equilibrio, ovvero l’insieme delle percezioni visive, muscolari e dell’apparato vestibolare che ci permette di non cadere quando camminiamo.
Lo studio della vista dimostra che la simulation sickness è maggiore nella VR perché gli schermi sono molto vicini agli occhi e il cono visivo dell’occhio umano non riesce ad agire come farebbe sulle lunghe distanze.
Lewis ha dunque proposto agli sviluppatori presenti una serie di accorgimenti per limitare la simulation sickness che possono essere riassunti così:
1) È essenziale ideare il gioco con in mente la piattaforma sulla quale girerà, così da studiarne vantaggi, svantaggi e caratteristiche come refresh rate, latenza, tracking.
2) Settare un frame rate molto alto (almeno 80fps) e una latenza bassissima (al di sotto di 20ms)
3) Evitare luci intermittenti ed effetti blur
4) Limitare il campo visivo: al di sotto dei 30 gradi la simulation sickness sembra scomparire del tutto, ma il campo risulterebbe eccessivamente ridotto quindi è essenziale trovare un buon equilibrio e limitare il campo visivo ricorrendo a soluzioni in-game come caschi od occhiali indossati dal personaggio; in particolare l’occhio percepisce maggiormente il movimento quanto più si trova all’estremo del campo visivo ed eliminare la percezione di quell’area dal gioco aiuta
5) Rispettare le aspettative: movimenti, i feedback che i nostri sensi si aspettano di ricevere
6) Ridurre o evitare movimenti rapidi della camera non controllati dal giocatore come rotolamenti, rimbalzi, cambi improvvisi di velocità e zoom della visuale
7) Supportare lo short play, ovvero dare la possibilità al giocatore di potersi fermare a checkpoints, salvataggi, mettere in pausa e riprendere quando preferisce.
Quest’ultimo punto risulta essenziale in quanto è stato dimostrato che la simulation sickness diminuisce con l’esposizione agli elementi che la causano e questa è la migliore notizia per tutti quelli che provando i primi prototipi della VR ne hanno sofferto: nonostante non siano ancora chiari i fattori che determinano la vulnerabilità di un soggetto, brevi ma ripetute sessioni di giochi aiutano col tempo a superare la simulation sickness e ad abituarsi totalmente alla VR.