Non era nata come personaggio da copertina ma ci è finita sopra comunque. Aloy, protagonista indiscussa di Horizon Zero Dawn e Horizon Forbidden West è sulla primissima copertina ‘digitale’ di Vanity Fair. La divisione italiana della rivista internazionale ha deciso di inaugurare con lei la sua prossima iniziativa. La testata specializzata in moda e attualità, infatti, ha annunciato che da questo momento, ogni settimana, sarebbe stata prodotta una copertina digitale, diversa da quella che presenta la rivista in vendita in edicola. Il motivo di tale scelta ce lo spiega proprio Vanity Fair con un post su instagram.
“Questa è la prima cover digitale di Vanity Fair. Da oggi, ogni settimana, oltre a quella in edicola, arriverà l’altra copertina del nostro giornale, esclusivamente in formato digitale. Una nuova cover con una intervista che aprirà Vanity Weekend, la nuova newsletter con una selezione di recensioni, consigli, suggestioni per il fine settimana. A inaugurare l’iniziativa digitale, abbiamo scelto un’icona altrettanto digitale: Aloy, la protagonista della fortunatissima saga di Horizon, per PlayStation 4 e 5, che torna nella nuova stagione [sic.], Horizon Forbidden West. Un’eroina che, nel mondo dei videogiochi, sta facendo la rivoluzione in termini di rappresentazione spostando l’attenzione dalla differenza di genere al valore della diversità. È una donna forte e coraggiosa, una vera condottiera, con uno scopo ambizioso: salvare l’umanità futura – siamo nel 3039 – dal disastro.” Spiegano su Instagram.
In effetti, negli ultimi giorni, si è parlato molto di Aloy. Un post nato come trollata su twitter ha finito per divenire oggetto di dibattito. Il post si soffermava sul vello facciale di Aloy. Peluria che per tanti ha testimoniato la cura al dettaglio di Guerrilla Games e la potenza grafica di PlayStation 5. Altri, forse troppi, lo hanno visto come un tentativo di inserire una agenda politica votata al femminismo spicciolo all’interno dei videogiochi. Si tratta delle stesse persone che pochi mesi fa si erano lamentate dalla linea di Aloy, giudicata troppo grassa.
In realtà l’intento, speriamo condivisibile, di Guerrilla Games è quello di proporre un personaggio più realistico. Aloy, insomma, non nasce per soddisfare l’occhio ma per descrivere una persona, una donna, normale, in possesso di caratteristiche uniche e comuni allo stesso tempo. E se anche volessimo proprio etichettare queste caratteristiche come effetto di ‘sciatteria’ basta ricordarci del contesto in cui Aloy è inserita. Insomma, straordinariamente perfetta nella sua normalità.
Aloy non è più soltanto la protagonista di un videogioco. In un modo o nell’altro si sta trasformando in una icona, un simbolo se vogliamo di trasformazione culturale. L’eroina del digitale si appresta, in un certo senso, a diventare eroina nel mondo reale. In maniera analoga, ma ancora diversa, rispetto a una certa Lara Croft. Lara è stata forse la prima vera protagonista femminile di un videogame a metterci la faccia (Samus Aran, di Metroid, era apparsa 10 anni prima ma con indosso un’armatura che la rendeva irriconoscibile). Non più una principessa da salvare ma donna votata all’azione e all’avventura. Lei, l’archeologa, però rispondeva ancora a quei canoni estetici Hollywoodiani che ci accompagnano tutt’oggi. Aloy, invece, rappresenta una evoluzione ulteriore del paradigma. Il suo aspetto fisico è irrilevante. Sono le sue azioni e le sue gesta che contano.
Con l’occasione del lancio del gioco, Sony ha inaugurato diverse installazioni artistiche dedicate in giro per il mondo. Per l’Italia si è scelto di collocare una statua a Firenze. L’opera reca il titolo di ‘Placeholder‘. Il motivo? Aloy è lì a tenere il posto di tutte quelle donne che nonostante il loro contributo alla storia – o nella finzione scenica – una statua non l’hanno mai avuta. E nonostante sì, sia una mossa di marketing, non si può fare a meno di apprezzare il messaggio che Sony e Guerrilla Games hanno deciso di lanciare.
Sì, dunque. Aloy decisamente non era nata per essere ‘da copertina’. Ma siamo felici ci sia finita comunque con la giusta motivazione. E ora, tutti nell’ovest proibito!
Fonte: Vanity Fair