Kingdom Come Deliverance 2: Il ritorno di Henry – Recensione PC

Kingdom Come Deliverance 2

Il racconto di Henry, il novello Roland dell’omonima chanson francese, prosegue in Kingdom Come: Deliverance 2, che espande il mondo di gioco e conduce in nuovi, iconici luoghi della Boemia del Basso Medioevo dopo il primo apprezzato capitolo che ha fatto parlare molto di sé.




La pubblicazione di Kingdom Come: Deliverance fu abbastanza controversa. L’opera prima di Warhorse Studios fece tanto parlare di sé durante il suo periodo di crowd-funding su Kickstarter, con il team che promise un videogioco che si abbandonava alla simulazione medievale in tutto e per tutto. Tanto per capirci, quello che gli sviluppatori desideravano sottolineare erano che i tempi cupi della storia dell’uomo non furono così straordinari. Sul mercato, c’erano comunque altre proposte che alimentavano un approccio analogo, però non riuscendo a rinunciare alle contaminazioni fantasy in salsa Mount & Blade, con elementi fantastici ed epici dal realismo promesso da Warhorse.

Era il 2014 e Warhorse Studios, team di sviluppo ceco, voleva creare qualcosa di mai visto prima: un RPG in prima persona in cui la storia veniva scritta dal giocatore attraverso delle scelte. Ambientato in Boemia, durante il Sacro Romano Impero, più precisamente nel corso della lotta fratricida tra Sigismondo e Venceslao. In pochissimo tempo, il titolo attirò immediatamente l’attenzione di tanti giocatori e appassionati del genere, che sostennero il team aspettando trepidanti la sua pubblicazione, che arrivò nel 2018, tra il plauso della critica specializzata e non.

A distanza ormai di sette anni da allora, dopo il successo del primo capitolo, Warhorse è uno studio di sviluppo diverso ma con un obiettivo preciso: raccontare una storia più grande in un mondo vasto, ancora più vasto, e con un sistema di gioco aggiornato, non dimenticando la struttura del primo capitolo. Ecco, è bene lo sappiate che Kingdom Come: Deliverance II affina e migliora quanto fatto in passato, inserendo e non tagliando, facendo ciò che è sempre bene aspettarsi da un secondo capitolo che deve mostrare tutte le sue nuove peculiarità. Se vi dicessi che ci sono le armi da fuoco, ci credereste? No, fermi: non pistole o fucili, come avverrà invece con Kingmakers tra qualche mese. Parlo degli archibugi, o meglio: di un prototipo dell’arma che si diffonderà, in seguito, nella seconda metà del 1400. In tal senso, le nuove avventure di Henry di Skalitz Argentea e di Hans Capon sono ambientate durante il 1403, ovvero dopo la conquista al trono di Sigismondo e la prigionia del povero Venceslao.

Se nel primo capitolo lasciavamo un giovane spaventato, incerto per il suo futuro e desideroso di vendetta, in questa prosecuzione Henry è ora consapevole di chi è davvero, e di chi potrà diventare. “Ti do un consiglio, bastardo. Rammenta sempre chi sei. Gli altri lo faranno. Fanne la tua armatura. E non potrà essere usata contro di te“, diceva Tyrion Lannister a Jon Snow in A Game of Thrones. Non c’entra molto con Henry di Skalitz, sia chiaro, ma sappiamo bene che il padre del nostro non è affatto un fabbro, bensì un nobiluomo: Sir Radzig Kobyla. La vendetta, però, è nel cuore di Henry come la sua Theresa. Più o meno.

Da fabbro a cavalier d’arme e core

Assurdo come il proverbio “Ambasciator non porta pena” possa essere incredibilmente fattuale per riassumere la prima ora e mezzo su Kingdom Come: Deliverance 2. Incaricati da ser Hanush e da Sir Radzig di portare una missiva importante al signore di Trosky, Henry e Hans Capon si dirigono in una nuova regione con l’obiettivo di portare dei nuovi signori dalla parte di Re Venceslao, imprigionato dal fratello Sigismondo, ora anche Re di Boemia.

Attaccati improvvisamente dai banditi, i nostri perdono dunque l’importante missiva, l’armatura e le armi guadagnate duramente, e ora sono costretti a sopravvivere senza groschen (la moneta del tempo) e qualunque forma d’aiuto da parte degli abitanti delle aree limitrofe di Trosky, tanto da essere considerati dei vagabondi qualunque. La storia di Kingdom Come: Deliverance si dipana in due regioni, quella di Trosky e di Kuttenberg, città realmente esistenti nella odierna Repubblica Ceca. Henry, pur avendo guadagnato fama e gloria nel primo capitolo, viene tuttavia depotenziato non appena comincia il gioco, costretto a riguadagnare le sue abilità, inclusi i talenti come spadaccino e cavallerizzo. È una scelta che ho apprezzato perché permette al giocatore di focalizzarsi sulle caratteristiche che predilige senza guardarsi alle spalle, oltre ad essere una consuetudine tipica dei seguiti videoludici. Cara ci è la tanto decantata ‘sospensione dell’incredulità‘!

Tornando alla qualità della sceneggiatura, quella di Kingdom Come: Deliverance 2 è superiore di molto alla precedente sotto vari aspetti. Il ritmo della narrazione è alto, e sostenuto da vari cliffhanger sapientemente inseriti all’interno del tessuto narrativo, mentre la scrittura che si focalizza soprattutto sui personaggi principali. È importante sottolineare come l’accento riversato sulla caratterizzazione di Henry abbia aiutato l’immersione nelle vicende e la godibilità dell’esperienza. Il figlio bastardo di Sir Radzig vive persistenti conflittualità causate dagli avvenimenti del primo capitolo, rivivendo spesso l’omicidio perpetrato dai cumani ai danni della sua famiglia adottiva. È un personaggio segnato nel profondo a tal punto da rivivere anche i momenti che hanno portato a quell’avvenimento.

Oltre ad un focus sulla maturazione del personaggio principale, a dipingere il resto è l’amicizia con Hans Capon, che torna a essere una spalla goliardica che strappa il più delle volte un numero esagerato di sorrisi e risate, aggiungendo leggerezza alla narrazione. A tessere un quadro ulteriormente ben congeniato, è la crescita di ogni avvenimento che si staglia nel corso delle sessanta ore di gioco per arrivare alla conclusione della trama principale. Quando sembra che non possa accadere un imprevisto, ecco che ciò che non si era pronosticato succede senza poter porne freno. Non scherziamo quando affermiamo che ogni momento della storia risulta credibile e ben sceneggiato: sicuramente merito di una mole di dialoghi infinita, attraverso i quali si esprimono una moltitudine di personaggi che a loro volta seguono routine di vita realistiche e prestabilite. Oltre a Henry, comunque, si entra in contatto con un nuovo co-protagonista: parliamo del buon Godwin, cacciato dall’abbazia a causa dei suoi vizi in contrasto con la vita ecclesiastica. Nei suoi panni, si passa da difendere un castello importante all’interno della trama di gioco al vestire i panni di un cardinale mandato da Papa Bonifacio.

Meglio evitare anticipazioni. Quello che possiamo confermare è che la storia tiene incollati allo schermo e si presenta matura e ben orchestrata. Da sottolineare, inoltre, delle romance all’interno della vita medievale di Henry in questo secondo capitolo: il nostro, infatti, può intrattenersi in storielle che potrebbero ricordare agli appassionati la parentesi con Theresa, protagonista inoltre dei tre DLC del primo capitolo. Ora impreziosite da una già decantata ottima scrittura, le alternative in fatto di romanticismo saranno molte. D’altronde, è tutto nelle mani del giocatore; sia in amore che in guerra, Warhorse ha inserito dei momenti in cui si dovrà scegliere quale strada seguire per essere dei bravi cavalieri senza macchia, o essere i classici malesseri della vita. Tutto passa nelle mani dei giocatori: non c’è libertà più bella, in un gioco di ruolo.

Kingdom Come: Deliverance sa come far luccicare gli occhi

Qualche riga fa, ho accennato che, a causa di un avvenimento all’interno del prologo, il povero Henry perde tutti suoi talenti, partendo da zero. Essendo un RPG, Warhorse ha optato per questa strada per tornare a sottolineare l’aspetto più importante della sua opera: tutto, ogni singola peculiarità caratterizzante, è nelle mani del giocatore. È bene sottolinearlo, prima di procedere con l’analisi del game design: questo secondo capitolo è migliore in tutto e per tutto del primo. I paragoni sono, purtroppo, inevitabili, perché al lancio la prima proposta ludica dello studio polacco era impresentabile e, talvolta, l’esperienza si presentava funestata da macchinosità fin da subito evidenti, come ad esempio quando ci si approcciava al complesso sistema di combattimento, progettato per essere appositamente tecnico. Era tutto ciò che c’era intorno il problema, come l’uscire fuori dai binari e compiere, quindi, azioni non sempre comuni.

Poi sono arrivati gli aggiornamenti e il duro lavoro, che forse avrebbe meritato una maggiore rifinitura, ma che è stato ripagato con migliorie tangibili e rinnovato apprezzamento da parte del pubblico. Sette anni per cambiare assetto e migliorare le cose sono tanti: Warhorse, con Kingdom Come: Deliverance 2, ha esaltato in termini qualitativi ogni singolo aspetto partendo dal sistema di combattimento fino all’esplorazione. Qualcuno potrebbe considerarlo un more of the same, con le stesse cose viste nel primo e poco altro. Generalmente in concomitanza di un seguito, le opzioni sono essenzialmente due: c’è l’intelligenza di voler mantenere e aggiungere, e poi c’è quella di voler cambiare tutto. Lo sviluppatore ha scelto la prima delle due vie e per esprimere al suo meglio il gameplay ha optato per creare una sinergia di elementi che funzionano.

Ad esempio, è giusto sottolineare che Kingdom Come: Deliverance 2 propone un combat system che si staglia nel tecnicismo attraverso la scherma medievale. Ci sono bravi maestri per apprendere l’arte in maniera oculata sparsi per la mappa: basta cercarli in villaggio o, chissà, là dove il locandiere lo indichi. La scherma medievale si basa sia sull’attacco che la difesa, ma soprattutto è focalizzata sulla deviazione e il contrattacco. Per questo motivo osservare i movimenti avversari e agire di conseguenza è fondamentale.

In basso sullo schermo ci sono tre barre da tenere sott’occhio: la prima è dedicata alla salute, in rosso; la seconda, in verde, al vigore; mentre la terza, inedita, è di colore viola e simboleggia la salute del nemico. Un’aggiunta indovinata che aiuta la lettura dello scontro. Il sistema di combattimento prevede un attacco leggero e delle offensive pesanti, che consumano vigore; dopodiché, bisogna lasciarsi ammaliare dalle parate e, in una misura maggiore, dalle deviazioni e dai contrattacchi immediati. È semplice riconoscerli, anche se potrebbe risultare complesso per chi non è avvezzo ad avere dei riflessi repentini: con il colore verde il gioco consiglierà di pararsi dietro le offensive nemiche; quando compare il blu (che simboleggia due spade che s’incrociano) è bene cliccare il più rapidamente possibile l’attacco da scatenare addosso all’avversario. Non nascondo che ci vuole un po’ di pratica e che, a volte, potrebbe capitare di trovarsi in situazioni complesse da gestire, specie con più rivali a schermo. Attraverso il lock-on della telecamera, infatti, si può selezionare l’avversario che si vuole sfidare, cambiando obiettivo quando necessario. Essendo un videogioco enorme dal punto di vista situazionale, a volte le soluzioni potrebbero essere molteplici: da attacchi a distanza con arco e frecce, a lotte brutali in stile cappa e spada. Bisogna sottolineare che la curva di apprendimento rimane ripida per esigenze simulative, e questo potrebbe scoraggiare qualcuno.

L’aggiunta dell’archibugio, utile dalla distanza per eliminare rapidamente i nemici coincide con un’ulteriore inasprimento della difficoltà, tra la meccanica di carica della polvere da sparo e il sistema di mira. Le regole, di base, valgono come per l’arco e la balestra, ma necessita di pratica e dedizione da parte del giocatore.

Kingdom Come: Deliverance 2, esattamente come il primo capitolo, è un videogioco severo. Sbagliare implica delle conseguenze. Si può finire per sanguinare a causa di un attacco ben assestato, con lo stesso che potrebbe condurci a una rapidità dipartita; e può esserci anche l’attacco che spezza qualunque difesa e diventa, si fa per dire, critico. Il sistema di combattimento è da apprendere non bene, di più, se si ha intenzione di sopravvivere alla Boemia medievale proposta da Warhorse. Altro che Chanson de Roland: qua c’è la guerra vera e il sistema di combattimento qua rappresentato è uno dei migliori in circolazione. Ed è per questo, infatti, che è bene avere ben più di qualche oggetto nell’inventario, se non si vuole fare la fine del topo. Come accennavo, il Medioevo è brutale: Henry può mangiare troppo e avere un’indigestione, può avere la febbre a causa delle ferite, si può ritrovare sporco, puzzolente, e può bere e avere i postumi della sbronza della sera prima!

Questo per dire, insomma, che ogni aspetto della vita è curata nei minimi dettagli. Il personaggio principale può apprendere importanti insegnamenti di alchimia e creare delle pozioni da un banco qualunque, raccogliendo gli ingredienti nei verdi prati di Kuttenberg e Trosky, o comprandoli da un mercante. Questi oggetti sono fondamentali per avere sempre una scelta diversa e rafforzarsi a dovere. Un infuso di calendula – potente o meno – può ripristinare la salute; ma toglietevi però dalla testa che ciò avvenga in maniera automatica, come fosse la classica pozione che si beve e poi passa tutto. No, qua la salute sale piano piano, senza alcuna fretta. E per salvare, un grandissimo classico, che torna in auge anche nel 2025: la mai dimenticata, la sempre utile e forse sottovalutata Grappa del Salvatore, che è bene tenere di scorta nell’inventario nei momenti più intricati della trama; anch’essa si può ottenere semplicemente realizzandola dal banco di alchimia.

Il Medioevo secondo Warhorse

C’è sempre un altro lato della medaglia, negli RPG open world à la Warhorse Studios: le situazioni che si dipanano nel corso dell’avventura. In Kingdom Come: Deliverance 2 ritornano tutte e nel migliore dei modi. Prima non ho parlato dello stealth: in alcuni momenti, specie per quanto concerne la trama principale, puntare sulla furtività potrebbe essere la scelta migliore in assoluto. E, quando poi si aggiunge all’armamentario un pugnale alla cintola da cavaliere, tutto cambia: si possono sterminare i nemici senza troppe problematiche. Certo, senza fare rumore.

La progressione è realizzata ottimamente: i punti da spendere, ottenibili compiendo uccisioni, lavorando alla forgia e creando pozioni e tanto altro, aumentano la forma fisica e concedono la possibilità di ottenere dei talenti. Essi, come colpo preciso e altre peculiarità, aumentano le abilità di Henry quado si tratta di avere tra le mani una spada, un arco, o qualunque arma contundente. Il nostro, difatti, può specializzarsi e potenziare le proprie abilità offensive e difensive. Ciò riguarda, tuttavia, anche cosa avviene fuori dalla lotta; ci riferiamo alla dieta che deve mantenere, alla gestione del cavallo durante le gare e tanto altro. Henry può essere tutto, ma soprattutto di più. Ed è un abitante di un contesto storico che è dipinto in maniera fedele dallo studio polacco, al netto di qualche libertà storica come gli archibugi (anche se si tratta di un prototipo, ammettiamo che è stata una scelta coraggiosa e, forse, non molto in linea con il periodo del tempo; opzione che, sia chiaro, non vanifica affatto il lavoro svolto).

Henry dovrà sia tenere a bada sia la salute, che la fame e il sonno. Qualora non dovesse riposare o rinvigorirsi attraverso il cibo, rischierebbe di avviarsi a una lenta morte di stenti. È bene avere la prontezza di capire gli istanti in cui andare a compiere missioni principali, seguire incarichi e le missioni secondarie, ben evidenti attraverso la mappa. L’inventario, al tempo particolarmente macchinoso, è stato reso più fluido, seppure in termini estetici non sia mutato: resta rappresentato come fosse un affresco.

A proposito di affreschi, torna in auge una ricerca storica attenta del territorio della Repubblica Ceca e del suo passato. Pensiamo al castello di Trosky, che svetta ovunque si percorra la strada, o le chiese e gli interni degli edifici che è possibile esplorare, sia con Henry che con Godwin. L’esplorazione è piacevole perché permette di perdersi nel viaggio all’interno di questo secondo capitolo. Certo, le missioni secondarie e gli incarichi sono dei grandi riempitivi, come andare a farsi il bagno e perdersi tra le braccia di questi luoghi in cui ogni segreto è tenuto sottochiave o appena sussurrato.

Essendo una grande simulazione di vita medievale, è anche vero che l’importante è guadagnare più danari possibile per potenziare l’equipaggiamento, che è bene sempre tenere in ottime condizioni. La cura per ogni aspetto, insomma, è qualcosa che rende l’avventura di Kingdom Come: Deliverance 2 meritevole sotto ogni aspetto, perché propone momenti da vivere con passione e coinvolgimento. Prendiamo come esempio la creazione delle armi: da bravo figlio di fabbro quale è, Henry può apprendere degli schemi attraverso la loro lettura e la pratica. Creare una spada da caccia è la base. Il realismo proposto è in linea con quanto è stato mostrato nel precedente capitolo. Ora è solo migliore, più grande e realizzato meglio, con Warhorse che può essere ben contento di aver creato un secondo capitolo migliore in tutto e per tutto.

Non solo di cappa e spada si vive

Il miglioramento non riguarda solamente il gameplay, lo stile narrativo, la progressione e quanto si è dettagliato nel corso della recensione. Ciò che colpisce molto, anche tanto più di quanto ci saremmo immaginati, è nella grafica del titolo. Lo abbiamo giocato con dettagli su “Ultra“, approfittando inoltre del recente aggiornamento dei driver NVIDIA per mostrarlo al suo al meglio, come potete ben notare dalle immagini. La grafica, in tal senso, offre scorci sensazionali, riuscendo a inoltre a mostrare tutta la sua meraviglia durante l’esplorazione delle ampie aree di gioco che nel resto della produzione, mentre si avanza al suo interno tra le due regioni proposte che, concluso il titolo, possono essere comunque vissute con l’obiettivo di svolgere le missioni secondarie e gli incarichi rimanenti.

Esisteranno dei casi, però, in cui sarà fondamentale svolgere delle quest facoltative immediatamente, perché il gioco, se si giungerà a un certo punto della trama, informerà il giocatore che è bene completi tutte le faccende sospese. Non rendere alcune missioni possibili, infatti, è un peccato per chi intende seguire la sola trama principale. Nonostante alcuni momenti di confusione, tra cui alcun bug che verranno risolti durante il day one, Kingdom Come: Deliverance 2 è un RPG in prima persona incredibile e pieno di vita e di tanta cura e passione. È un videogioco potenzialmente eterno, qualora si desideri avanzare al suo interno, e lo diciamo perché Warhorse Studios pubblicherà nei prossimi mesi ulteriori contenuti aggiuntivi. Henry non è il solo a essere cresciuto, ma lo è soprattutto il team di sviluppo, che aggiunge alla sua incredibile storia un altro tassello. Quello con su scritto “Audentes Fortuna iuvat“. Tradotto, per chi non mastica il latino: “Il destino favorisce chi osa“.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto:
9
kingdom-come-deliverance-2-il-ritorno-di-henry-recensione-pc Il racconto di Henry, il novello Roland dell’omonima chanson francese, prosegue in Kingdom Come: Deliverance 2, che espande il mondo di gioco e conduce in nuovi, iconici luoghi della Boemia del Basso Medioevo dopo il primo apprezzato capitolo che ha fatto parlare molto di...